Erano le sette passate quando arrivai a casa con la promessa che domani saremmo andati ad un altro lido.
Mentre facevo la doccia i ricordi di poche ore prima mi invasero la mente, distraendomi del tutto e facendomi perdere la cognizione del tempo.
Avevamo vinto con molta differenza di punti e, nonostante il monegasco fosse davvero impedito, notai che ci mise molto impegno nel non farmi perdere.
Lando e Carlos non si erano arresi e avevano giocato pure abbastanza discretamente; eppure la mia esperienza e la tenacia, che non era servita molto alla fine, di Charles ci avevano portato ad una vittoria più che meritata.
Potevo ancora sentire la sua mano che sfiorava la mia, o la sensazione ardente che provavo ogni volta che posava gli occhi su di me.
Ma specialmente ricordo la sua risata e il suo entusiasmo all'ultimo punto, quando fu lui con una schiacciata a chiudere la partita.
Si era girato verso di me scuotendo i pugni in aria e poi mi aveva avvolto le braccia in vita, sollevandomi da terra e facendomi girare a lungo.
Avevo sistemato le braccia attorno il suo collo e avevo riso.
Del suo entusiasmo, del mio entusiasmo, e delle sue braccia strette al mio corpo.
Quando mi mise a terra mi guardò negli occhi e quel secondo sembrò quasi infinito.
La felicità gli stava bene, avevo deciso.
Gli occhi gli brillavano e le fossette erano più marcate che mai per via del suo sorriso genuino.
Ricordo di aver pensato in quel momento, per la prima volta di tante a venire, che lui era veramente mozzafiato.
Il suo sorriso smagliante, le sue mani che si erano appigliate alle mie spalle scuotendomi leggermente, e i suoi capelli mossi e ancora bagnati che erano sistemati disordinatamente sulla fronte.
Non c'era un singolo aggettivo che riuscisse a descrivere quanto bello fosse in quel momento.
Avevo realizzato che stavo trattenendo il fiato e mi ero girata verso i nostri avversari, prendendo finalmente respiro e guardando le loro facce sconfitte.
Avevamo scommesso nel bel mezzo della partita che chiunque avesse perso avrebbe pagato il pranzo a tutta la comitiva il giorno dopo.
Non che avessero di problemi in questo, ovviamente, ma era bello sapere che questa volta il pranzo me lo avrebbero offerto lealmente.
Lando mi aveva guardato fintamente deluso e mi aveva detto che la nostra amicizia era ufficialmente terminata; e io avevo riso portandogli un braccio intorno alle spalle, con non poche difficoltà, promettendogli che la prossima volta avrei giocato con lui.
Kika e Pierre, alla fine, erano tornati a casa in anticipo perché dovevano andare ad un appuntamento quella sera e per nessun altro motivo.
I ragazzi, che avevano messo Pierre in viva voce per chiedergli una spiegazione, lo avevano preso in giro non convinti e lo avevano costretto a chiudere la chiamata per la quantità di cose oscene che stavano dicendo.
Mi ero messa una mano in faccia nascondendo il mio divertimento e mi ero tolta la maglia per mettermi il copricostume, la borsa che mi penzolava tra le braccia.
Avevo passato la maglietta a Lando che aveva scosso la testa con enfasi, insistendo che avessi dovuto tenere la maglia perché di McLaren non avevo niente ancora.
Avevo obiettato ma infondo sapevo che non ci fosse niente che potessi fare per fargli cambiare idea, così avevo scosso la testa e gli avevo dato un bacio sulla guancia salutandolo arresa.
Avevo successivamente dato un abbraccio veloce ad entrambi i piloti Ferrari chiedendogli di salutarmi Pierre e Kika nel mentre, quando Carlos mi aveva messo le sue mani sulle spalle e mi aveva guardato con intensità negli occhi.
"Non metere quella maglia," Mi aveva detto indicando la maglia arancione di Lando, e io avevo riso scuotendo la testa.
Lui aveva annuito energicamente e aveva continuato con convinzione.
"No, davvero! Ti porterò la maglia di Ferrari, che è molto meglio." E il suo accento spagnolo si sentiva fortemente.Era bravo con l'italiano ma gli mancava la sicurezza e fluidità che caratterizzava il monegasco nel parlare questa lingua.
Avevo annuito e sorriso gentilmente, accettando la sua offerta perché sapevo che neanche lui avrebbe accettato un no come risposta.
Successivamente mi ero avviata a piedi verso casa, la testa sempre tra le nuvole.
Avevo detto ai ragazzi che quella sera non sarei uscita poiché sarei rimasta a tenere compagnia a nonna, con la quale non cenavo da tanto tempo.
E in questi giorni alla fine non eravamo state insieme a lungo.
E sapevo quanto sola si sentisse da quando i miei cugini erano partiti per iniziare vita altrove; quindi mi ero ripromessa di portarle felicità a più non posso fin quando ne avevo la possibilità.
Mi ero a fermata a prendermi un paio di cornetti per la via di casa, e come tante volte prima avevo fatto, appena sulla soglia del salotto avevo scosso la busta con enfasi e osservato il suo volto illuminarsi.
Mi ero lasciata i capelli bagnati e avevo accettato entusiasticamente quando nonna si era offerta di spazzolarmi i capelli, sapendo che non lo avrebbe fatto per bene perché non aveva più la forza di una volta.
L'avevo resa felice però, e sentii gli occhi bruciarmi al pensiero di lei tutta sola il resto dell'anno.
Nonno era uscito e sapevo che, nonostante anche lui sentisse la mancanza dei nipoti, lui con la possibilità di andare fuori riusciva a svagarsi un po'.
Cenammo solamente io e nonna con, se possibile, uno dei miei piatti preferiti: le sue piadine.
Nonna era un'ottima cuoca e non c'era veramente niente che non sapesse cucinare bene se non i dolci; eppure io e mio fratello ogni sera, sin da bambini, chiedevamo sempre e solo la stessa cosa.
La piadina.
Perché come la faceva nonna non la faceva nessuno.
Le raccontai della mia giornata e parlammo del più e del meno, lei che ogni tanto mi diceva qualche aneddoto dei suoi tempi e io che spalancavo la bocca stupita ai suoi racconti completamente folli.
I tempi erano cambiati, questo era certo.
Avevo poi preso il vassoio di cornetti e ne avevo afferrato uno al pistacchio, mentre ne passavo uno al cioccolato a nonna.
Ci eravamo sistemate sul suo letto e ci eravamo viste un film vecchio, uno di quelli per cui nonna impazziva ma di cui io non ricordavo mai il nome.
E quando nonno quella notte entrò in camera e ci notò addormentate, chiuse dolcemente la tv e andò in cucina, mangiandosi il cornetto che avevo lasciato precedentemente per lui sul bancone.
E si addormentò nella camera difronte la mia, nel lettone che tanti anni prima aveva ospitato ogni singolo nipote e che sapeva solo e soltanto di nostalgia ormai.
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Gocce d'estate[C.L]
RomansaDove una ragazza persa incontra un ragazzo ancora più perso e insieme ritrovano la via di casa. Oppure. Martina ha ventun anni e nessuna idea di chi sia, di cosa voglia a fare e quale siano le sue aspirazioni. E quando si ritrova improvvisamente a...