Capitolo IX: Il Regno Sotterraneo

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Capitolo IX: Il Regno Sotterraneo

Per un tempo interminabile, a Veldhris parve di sentirsi fluttuare in un grigio nulla, i sensi ottenebrati, la mente confusa. Non percepiva più il proprio corpo e più si sforzava, meno ci riusciva. Il panico s'impadronì di lei: era morta? Cercò disperatamente di captare qualcosa al di fuori dei propri pensieri sconnessi, ma era inutile: era una mente priva di corpo. Doveva essere morta, non c'era altra spiegazione. Ma non voleva rassegnarsi, troppe cose dipendevano da lei! Invano tentò di ribellarsi, ma non c'era niente da fare. Esausta, smise di lottare e si abbandonò ad una quieta disperazione.

Era finita.

Non avrebbe più cercato la Corona di Luce.

Non avrebbe più avuto la possibilità di battersi contro l'Oscurità.

Non avrebbe più riabbracciato Roden, Kareth e Kejah, né rivisto Sekor e...

Già, e Freydar? Era con lei quand'era accaduto... cosa? Che cosa era accaduto?

Veldhris si concentrò e ricordò la scena presso lo Stagnospecchio: lei era in piedi, guardava l'acqua scura, e vicino a lei c'era il capitano. E poi? Quelle scene della sua città, Tamya... suo padre e Arton che si picchiavano... ma com'era possibile? Tamya era stata distrutta quasi tre mesi prima! Doveva essere un inganno dell'Oscurità! Sì, non poteva essere diversamente: Rakau aveva scoperto l'Erede di Arcolen e l'aveva fatta cadere in una trappola per eliminarla. Ah, no, questo non glielo avrebbe permesso tanto facilmente!

Veldhris s'accorse d'un tratto di percepire di nuovo il proprio corpo. Cercò di muoversi, ma non le riuscì. Con uno sforzo immenso, arrivò a socchiudere gli occhi ed a mettere a fuoco la vista. Poté così vedere che si trovava in una caverna – ben asciutta ed areata come avrebbe in seguito appurato – illuminata da uno strano, diffuso bagliore lievemente verdognolo poco rassicurante. Era stesa a terra, supina, e quando riuscì finalmente a muovere la testa, girandola verso sinistra scoprì Freydar sdraiato accanto a sé, prono, gli occhi chiusi. Tentò di chiamarlo, ma la voce si rifiutò di uscirle dalla gola. Rassegnata, attese: le forze le stavano lentamente tornando.

Volgendo gli occhi qua e là, notò le loro sacche, che giacevano poco lontano, rovesciate ma intatte. Poco dopo si sentì chiamare. "Veldhris!"

La voce era stata poco più di un roco sussurro.

Voltò la testa verso di esso. "Freydar! Stai bene?"

Non riuscì a celare il sollievo che provava, né le importava.

Il principe aveva aperto gli occhi e la stava guardando. "Non riesco a muovermi", le disse, faticosamente.

"Non sforzarti", lo esortò Veldhris. "Passerà. Io sto già meglio."

Tacquero: era ancora troppo difficile parlare.

Poco a poco, le forze tornarono e finalmente, a fatica, riuscirono a trarsi a sedere.

Veldhris si passò le mani sul viso, cercando di scacciare l'intontimento che ancora provava. "Hai idea di cosa sia successo?" domandò a Freydar.

Il capitano scosse la testa e non riuscì a reprimere una smorfia di dolore: gli sembrava d'avere un'ascia piantata nel cranio. "Non lo so", rispose infine. "Ricordo che eravamo sulla riva dello Stagnospecchio... Poi ho visto..."

S'interruppe bruscamente, corrugando la fronte.

Veldhris gli lanciò un'occhiata. "Allora anche tu hai visto qualcosa", constatò, come tra sé. "È successo lo stesso a me. Ho visto Tamya, la mia città. E c'era mio padre che si picchiava con... con un giovane che conoscevo. Io mi sono buttata tra loro per fermarli... e poi più nulla."

La Cerca della Corona di LuceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora