Capitolo XXI: La Caduta della Luce

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Capitolo XXI: La Caduta della Luce

Alle otto, Vallya venne ad avvisarla che Rakau l'attendeva per la cena. Veldhris aveva passato il resto del pomeriggio rinchiusa nella sua stanza a rimproverarsi, sconvolta dalle proprie reazioni alle attenzioni della sua mortale nemica. Pensò di rifiutarsi di scendere, ma poi concluse che, così facendo, avrebbe denunciato fin troppo chiaramente il suo turbamento. Pertanto, si riassettò l'abito, raddrizzò la magnifica collana di rubini, si mise gli orecchini che Vallya le aveva portato, opportunamente modificati, e seguì la domestica che la portava alla saletta da pranzo privata di Rakau, al primo piano.

L'attendeva una tavola imbandita principescamente: posate d'argento, piatti di fine porcellana, coppe d'oro incrostate di gemme, bottiglie di cristallo lavorato, tovaglia di candido bisso, una profusione di candele di autentica c'era da api profumata, fiori dai colori delicati, il tutto incorniciato dall'arredamento lussuoso della sala, i cui mobili erano di legni pregiati quale mogano, ebano, palissandro e teak, dai peculiari colori sapientemente accostati a formare un assieme armonioso.

Rakau le andò incontro e le porse galantemente il braccio, come avrebbe fatto un uomo. Dopo una breve esitazione, Veldhris decise di accettarlo, sforzandosi di rimanere perfettamente controllata, ma le sue dita ebbero un fremito irrefrenabile quando si posarono sul braccio della Signora dei Draghi.

Rakau se n'accorse, ma non lo diede a vedere; l'accompagnò al tavolo e le scostò la sedia perché vi si accomodasse, ma prima di sedersi a sua volta le prese una mano tra le sue. "Sei bellissima", le sussurrò con passione, ripetendo il complimento del pomeriggio e fissandola con sguardo acceso e posò le labbra sulle dita affusolate-

Veldhris le ritrasse di scatto. Non era stato un moto di repulsione, bensì un estremo tentativo di sottrarsi ad una cosa che, con orrore, si era accorta di colpo di desiderare spasmodicamente: il contatto di quelle labbra sulla propria pelle, il sintomo di un desiderio riprovevole, disgustoso e... sacrilego, che lei condannava senza riserve. Doveva alzarsi, fuggire, fuggire da Rakau e delle sue tentazioni, soprattutto fuggire da se stessa... ma rimaneva lì, prigioniera di quello sguardo dal fascino invincibile, come la preda davanti al serpente.

Ancora una volta, Rakau non fece una piega e si sedette come se nulla fosse accaduto. Batté le mani e come d'incanto apparvero efficienti e silenziosi camerieri, che cominciarono a servire una ricca cena dalle pietanze esotiche. In seguito, Veldhris non avrebbe ricordato nessuna delle vivande, poiché lo stomaco contratto le permise di ingoiare solo qualche boccone a caso e di assaggiare un po' di vino bianco. Ancora una volta malediceva la capacità acquisita bevendo alla Fonte dell'Arcobaleno, quella facoltà di leggere chiaramente in se stessa che si stava rivelando un'arma a doppio taglio, i cui svantaggi facevano sbiadire i già scarsi vantaggi.

Le portate, sei o sette in tutto, si susseguirono senza incidenti, accompagnate dal piacevole sottofondo delle melodie eseguite con maestria da alcuni musici, nascosti in una nicchia. Alla fine, Veldhris non resse oltre la leggera conversazione che Rakau, senza sforzo apparente, portava avanti da quasi un'ora e cui lei aveva finora risposto soltanto con atoni monosillabi. "Che cosa vuoi, Rakau?" l'aggredì bruscamente, interrompendola e fissandola con aria di sfida.

Rakau posò le spalle contro lo schienale della sedia imbottita rivestita di raso, rilassata, e le sorrise con un'aria di lieve scherno. "Mi sembra evidente a chiunque, bella principessa", rispose.

"A me no", ribatte Veldhris, caparbia. "Dimmelo tu."

Lo sapeva, in realtà lo sapeva perfettamente; ma non voleva ammetterlo, e se Rakau avesse addotto una qualsiasi altra spiegazione, lei vi si sarebbe aggrappata con tutte le sue forze.

Vana speranza: lo sguardo di Rakau posato su di lei era eloquente quanto le parole che seguirono, pronunciate con voce bassa e vibrante. "Voglio te."

Veldhris si sentì soffocare. Qualcosa le aveva afferrato le viscere e gliele stava stritolando, ma non era dolore quello che sentiva, bensì piacere. Respinse con orrore quello che le pareva una mostruosa, sacrilega debolezza, e per reazione, o per difesa, lasciò che la collera dilagasse in lei, cancellando ogni altra emozione. Abbatté i pugni sul tavolo, facendo tintinnare le stoviglie e minacciando di mandarle in frantumi, e balzò in piedi, rovesciando la sedia. "Come... Come..." proruppe, boccheggiando. Lo sdegno le toglieva letteralmente il fiato. "Come osi!" urlò infine, fuori di sé.

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