XXXIII. Quando meno te lo aspetti

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Il ritorno al castello fu felice. Il popolo mi aspettava e potei riabbracciare i miei figli. Erano entrambi cresciuti. Abby in particolare mi arrivava ormai alla spalla. Aveva l'aspetto di un adulto e assomigliava a suo padre. Era tutto suo padre. Lo abbracciai e lo baciai.

Scoprii presto che c'era poco di cui gioire. Gran parte dei beni erano evaporare. A causa di un periodo di siccità i terreni non avevano dato frutti.

Guardai le carte fino a quando gli occhi non mi bruciarono. Janice, seduta al mio fianco, singhiozzava, cercando di nascondere le lacrime dietro le dita.

-Dovreste riposarvi, Dame- mi sussurrava.

-Non ora... deve esserci una soluzione- ma non c'era. Niente soldi. Le palpebre mi si abbassarono e dovetti costringermi ad aprirle. L'amministratore del castello mi aveva spiegato che c'era stato un periodo di carestia. In una simile situazione non potevo chiedere ai miei sudditi di portarmi la decima.

-Dovreste riposare- continuò.

-Non ora... non posso- possibile che non si riuscisse ad arrivare a una conclusione –se ci fosse Thomas potrei chiedere a lui un prestito- gemetti.

-Oh, ci vorrebbe un marito- commentò Janice, singhiozzando.

M'irrigidii, mentre uno strano calore mi avvolgeva il petto. Certo, perché non ci avevo pensato prima io? In un mondo come il nostro l'unica cosa che poteva fare una donna senza mezzi era trovare un marito con molti mezzi. Mi alzai e la sedia cadde a terra. Janice trasalì.

-Dame?-

Non le risposi, ma andai davanti allo specchio. Non era grande ed era graffiato, ma potevo vedere la mia immagine. Il mio viso era bianco, privo di rughe. Non dimostravo più di diciotto anni. Mi guardai i capelli. Erano ancora neri. Sorrisi. –Un marito, sì, potrei trovare un marito- saltai, allungai le mani verso Janice.

Lei indugiò un istante, poi si alzò, mi venne incontro e prese le mie mani nelle sue. Le sentii, ruvide nelle mie morbide.

-Troverò un marito o un amante ricco- dissi, girando insieme a Janice –saremo di nuovo ricche-

Per prima cosa dovevo procurarmi degli abiti. Quelli più belli, che Thomas aveva fatto fare a sue spese, erano rimasti a Vienna. Quelli rimasti al castello erano vecchi, spesso logori.

-Potremo cucirne di nuovi- propose Janice.

Annuii. –Dobbiamo cercare della stoffa-

Percorremmo tutto il castello e prendemmo tutto ciò che riuscimmo a trovare. Tovaglie, tende, copriletti. Janice progettava, descriveva a voce alta come avrebbero dovuto essere i modelli. Io annuivo e pensavo a come avrei potuto fare a incontrare il marito giusto.

Organizzammo una festa con la scusa del mio ritorno. Indossai un abito verde scuro, provocante senza essere volgare.

Janice storceva il naso a ogni invitato che non andava bene per la nostra causa. -Povera Dame-

Il tempo si srotolava. Il  grande orologio suonava le undici di notte. Nessuno andava bene. Sembrava che la sorte giocasse con me.

La porta si spalancò con un boato. Pioggia, nebbia, oscurità. Una figura si ergeva in mezzo a questo, simile a uno spettro. Basilius. Doveva essere lui, come se fosse uscito da un'antica leggenda e mi avesse trascinata via. Arretrai e per poco non inciampai sull'abito. La figura avanzò, il passo deciso. Rivoli d'acqua gli cadevano intorno. Mi spinsi indietro, il cuore barcollante. Era un uomo giovane, vestito completamente di nero. I capelli scuri bagnati gli coprivano in parte il viso. Quando alzò lo sguardo vidi dei lineamenti che arrivavano direttamente dall'altro mondo. Abel. Sì, era lui... no, non era lui. No, era suo figlio Wulf. I nostri occhi s'incontrarono. Fu come se i ruoli s'invertissero. Non ero più io la grande, la matrigna, l'adulta. No, era lui l'uomo che mi fissava con desiderio, come se fossi stata una ragazzina. Avvampai.

Salvia, rosmarino e incantesimiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora