IL PALAZZO: 19

8 3 15
                                    

Le strade del re nordico e l'uomo dalla pelle scura si incontrarono di nuovo, in una taverna.

Il primo, Oscar III, aveva un viso triste e stanco. L'altro, Lassana Diop, lo guardava seccato, arrabbiato.
La loro attenzione si spostò su un gruppo di uomini seduti al bancone a chiacchierare.
«Avete saputo ciò che è successo? Qualcuno ha distrutto la base in mezzo al deserto ed ha fatto fuori i sette Capitali.»
«Impossibile...» commentò uno di loro.
«Ti dico che è vero.»
«Te lo dico anche io. Conosco uno dell'esercito, pare abbiamo a che fare con quelle persone che hanno mandato in televisione. Quelli di Londra.»
«Esseri umani con poteri qui in Africa? Cosa vogliono questi occidentali da noi?»
«Quello che vorranno gli americani che ci hanno reso praticamente schiavi. Vorranno sfruttare i loro presunti poteri per conquistarci.»

Oscar III si avvicinò, timido, al gruppetto sotto lo sguardo giudizioso di Diop.
«Parlate inglese?» domandò quasi supplichevole, fortunatamente, uno di loro lo parlava. «Ho sentito qualcosa di ciò che dicevate... sapete come trovare queste persone?»
«Non ne abbiamo idea. Ma tu sei un bianco come loro, troveranno loro te e ti salveranno il culo. Non ho altro da dirti.»
«Ma...» subito venne interrotto e invitato ad allontanarsi.

Diop, seduto distante, nell'ombra, voleva vederci chiaro sulla questione.

Si recò, dunque, nelle zone del Palazzo in cerca di certezze.

Situato nel centro della città di Giuba.
Un edificio mastodontico, una cupola sul davanti, quattro altissime torri agli angoli, un ampio spazio all'esterno, tra il cancello e l'entrata principale, e una lunga e altissima cinta muraria.
Ai suoi piedi numerosi edifici più piccoli, ognuno col proprio utilizzo: armeria, infermeria, zona soldati, ecc...

Era appena arrivato un camion, andava verso una costruzione a cento metri dall'immenso edificio, da esso erano usciti dei sacchi. Diop attese fino a quando l'ultimo non fu dentro.

Riuscì a infiltrarsi senza farsi vedere.
Giunse, in poco tempo, in una stanza dove a terra c'erano i sacchi che aveva visto poco prima, e davanti a lui delle barelle, sette in totale e su ognuna di esse un corpo.

«Accidia: un proiettile gli ha trapassato la fronte. Avarizia: buco allo stomaco. Gola: completamente folgorato. Invidia: faccia disintegrata. Ira: spiaccicato. Lussuria: tagli profondi ai fianchi, e sui glutei, e l'ultima sul petto. Superbia: lacerazione del ventre e del collo.»

Incredulo, si passò una mano sul volto. Osservava accuratamente i corpi che aveva davanti. «Chi può aver fatto questo? E perché poi? Che sia vera la storia di questi “superumani”? Avranno a che fare con le pressioni degli USA?»
~~

Clara e i suoi rapitori erano giunti a Giuba.

Viaggiavano tranquillamente per la città dentro una piccola limousine, scortati da uno squadrone di soldati, due furgoni avanti e altri due dietro. Super rinforzati e super armati.

Per la strada non risparmiarono colpi ai civili che, presumibilmente, si erano avvicinati troppo.
Clara osservava straziata i loro corpi accasciarsi al terreno, la scia di sangue che sembrava non voler terminare, le altre persone più in là, donne, uomini e bambini che soffrivano abbracciati, alcuni li trova chinati sui corpi ormai senza vita dei propri cari.

Rimpianse il giorno in cui, sfortunatamente, era entrata a far parte di tutto questo.

«Avanti scendi» le ordinò Lilian, riportandola alla realtà.
Clara, in silenzio, obbedì.
Ancora ammanettata uscì dalla macchina e si fece guidare, anzi, spintonare, verso il palazzo.
«Cosa è successo qui?» domandò, stranita, la ragazza. «Perché c'è questo freddo?»
Le donne al suo fianco fecero un ghigno, ma non le dissero niente.

I FRA: Una nuova eraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora