GIUBA: 31

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Diop non riuscì a trattenersi. «Certo che siete proprio strani.»

Abbandonò la stanza e uscì fuori, sul balcone.
«Non ti chiederò di fidarti» si voltò e vide che Sascha lo aveva raggiunto. «D'altronde hai visto il mio fallimento, perché dovresti farlo?»
«Il tuo fallimento?» domandò perplesso il sudsudanese. Se quello che aveva fatto era un fallimento, allora la sua battaglia cos'era stata?

«Capisco il tuo pensiero su di noi. Molti, del mio colore, vengono nei paesi più poveri per portare la democrazia, la libertà, ma se ne vanno lasciandosi dietro solo morte e distruzione. E purtroppo continuano a farlo. Non ti prometto che niente verrà distrutto, non so se la battaglia uscirà dalle mura del palazzo, ma posso prometterti che nessun altro innocente morirà. Né la principessa, né il più umile degli abitanti di questa nazione.
«Io so cosa si prova, so cosa vuol dire subire razzismo, in modo diverso, molto, considerando il tema in cui siamo. In un certo senso io sono stato fortunato e non l'ho mai subito in prima persona. Funziona sempre così, no? Non si sa bene per quale motivo, ti odiano.»

Diop portò la testa nelle braccia poggiate alla ringhiera mentre il piccoletto rimase lì fermo dietro di lui.
«Hai dimostrato di essere un buon capitano» disse dopo un po' di silenzio. «Quando ti avevano intrappolato loro hanno subito agito per difenderti. Ti rispettano, si vede.»
«Non ho mai fatto niente per meritarmi questo» rispose il ragazzo in tono triste.
«Forse invece lo hai fatto. E poi ti sei lasciato torturare per fare in modo che non li toccassero. Chi altro avrebbe avuto la forza di fare una cosa del genere? Non so perché ti sottovaluti così tanto, ma credo che tu sia già il loro capitano, sei l'unico che ancora non ha accettato questa cosa.»

Quando rientrarono, tutti puntarono gli occhi sul piccolo velocista.
«Ho finito» disse Peter. «Tutto è stato riparato.»
Sascha fece un cenno, poi si sedette e si mise a giocherellare con un coltellino.
«Siamo pronti» annunciò Erik, attirando l'attenzione del desiderato.
«Sascha» lo chiamò Peter. «Andiamo a finire il lavoro.»
Sascha posò il coltello e fissò i bagliori rossi su Peter. «Va bene.»
«Cosa?» domandò urlando Alessio. «Non ho sentito.»
«Idiota!» gli ringhiò contro Michael. «Ha detto "va bene", è un poco timidino.»
«Zitto ciccione, tu gli stai vicino, io stavo lontano!»
«Non avevi poteri per la distanza!»
«È la vista coglione! Non l'udito!»
«Non urlarmi contro! Stronzetto.»
«Tu non urlarmi contro!»

«Perché?» si domandava fortemente Diop. «Perché?»

«Vi ricordate che l'ultima volta le avete prese in malo modo.»
Mugolii e lamenti riempirono l'aria.
«Biel?» gli urlò Markus. «Ancora qui stai?»
«Giuro che lo ammazzo» strinse i pugni Alessio.
«Vendiamolo ai nemici» propose Stephan.
«Già» concordò Michael.
«Sì, sì» si accodò Manuel. «Sono d'accordo.»
«Dai su» Peter li invitò a sbollire. «Anche se è uno scocciatore ascoltiamo cos'ha da dire.»

«In effetti va tenuto in conto» si intromise Diop, senza essere ostacolato, in confronto a Biel. «Io vi ho visti combattere. Nonostante i poteri e la bravura... In certi momenti combattete anche tra di voi, vi ostacolate, vi mettete e fate una cosa senza dire niente, ognuno combatte per sé.»
«Ma...» il re anche volle intervenire. «Così li stai demoralizzando. Non puoi farli scendere a combattere così.»

«Diop ha ragione» disse Sascha.
Gli altri aspettarono che continuasse il discorso, ma l'imbarazzo, dell'avere tutti quegli occhi addosso, lo spinse a rimanere in silenzio.
«In certi momenti avete anche rischiato di uccidervi a vicenda» si intromise Biel, prendendosi delle occhiatacce.
«Pure?» Diop portò una mano in faccia, le sue opinioni su quei ragazzi cambiavano ogni tre secondi.

«È vero» Alessio si alzò prontamente con voce decisa. «Hanno ragione. La colpa è mia, dovete scusarmi. Sono abituato a interagire in un certo modo. Quando mi trasferii in Trentino venivo sempre preso in giro, deriso, mi picchiavano tutti i giorni. Solo perché sono napoletano.
Non sono... non è facile interagire con gli altri. Non è stato per niente facile da allora. Ho adottato un certo carattere, schivo, introverso, fanculo tutti eccetto me. Ho voluto fare spesso il fenomeno infatti. Ma... con voi è diverso. Io... io vi rispetto.»

«Anche io sono stato picchiato» disse Andreas, dopo qualche secondo di silenzio per assimilare ciò che aveva detto Alessio. Portò i suoi occhi verso quelli del cecchino. «Il mio quartiere era abitato da nazisti. Se non la pensavi come loro... A una certa finii le bugie da raccontare ai miei genitori del perché tornavo con un occhio nero, con un braccio rotto. Non ebbi mai il coraggio di affrontarli. Non ebbi mai il coraggio di raccontarlo. La mia paura ha aiutato quei bastardi a picchiare tanta altra gente. Mi ero chiuso in me stesso, mai avrei pensato di vivere, questo, con voi.»

«È difficile fidarsi dopo aver subito delle cose» intervenne Erik, mentre rimase fermo vicino alla finestra con lo sguardo perso. «Soprattutto quando sono i tuoi "amici" a farti qualcosa. Alla fine sapevo che lo erano solo per aver aiuti a scuola, ma... Un giorno mi dissero che la ragazza più bella della scuola voleva parlare con me. Purtroppo ci credetti. Mi circondarono, mi sbattevano da una parte all'altra, mi strapparono i vestiti da dosso e poi mi appesero in mutande a un albero. I miei amici...»

«Gr...» Michael gli diede qualche colpetto sulle spalle. «Anche a me i miei amici mi fecero uno scherzo del genere. Mi prendevano sempre in giro perché ero grasso. Ma un giorno mi chiusero sotto terra, sotto un gran cumulo di terreno. Sono stato così tanto tempo che è successa una cosa che non ho capito e che poi ha danneggiato il cervello e mi ha reso stupido. Mi chiesero scusa, non pensavano che poteva accadere una cosa del genere. Non hanno mai pagato per ciò che hanno fatto.»

«Io tendevo sempre a escludermi» raccontò Manuel. «Ho un carattere particolare, la gente lo trovava come presupposto per prendermi in giro, per ridere di me, anche quelli che all'inizio facevano gli amici. Una volta reagii e mandai uno all'ospedale, stette in coma per qualche giorno. Nonostante le sue cattiverie, non meritava ciò. Da allora si avvicinavano apposta per fare a botte. E io iniziai a tenermi lontano da chiunque. Da soli si stava meglio, nessuno mi faceva male, e io non facevo male a nessuno.»

«Quando avevo sette anni una donna entrò in casa per violentarmi» prese parola Sascha. «Qui nascono le mie reazioni con le donne. Avevo una vita nel '45. Non volevo più tornare. Avevo una ragazza che amavo, cosa che mai avevo provato. Ma mi fece promettere che sarei tornato nel presente. La lasciai poco prima che morisse. Glielo avevo promesso e mentre esalava il suo ultimo respiro me la ricordò. Lei, i miei amici, sono morti. E io sono tornato qui nel presente a vivere. Isolandomi sarei dovuto riuscire a evitare che potesse riaccadere una cosa del genere. Persone che muoiono, per me.»

«Ah...» sospirò Peter. «Non tutti i ricchi vivono una bella vita. La mia è stata priva di amicizie, amori. Le persone si avvicinano solo per sfruttare la mia "qualità". Ammetto che certe volte l'ho portata a mio vantaggio. Una volta riuscirono a truffarmi, che stronzi. Per colpa mia, mio padre stava perdendo un milione ogni mezz'ora. In circa seicento anni non ci sarebbe rimasto più nulla. Le persone si avvicinavano a me solo per i soldi.»

«Io ragazzi...»
«Mi dio Biel, che cazzo» lo bloccò Markus.
«Amico, è un momento toccante» lo riprese Manuel.
«Biel... amico...» tentennò Sascha. «E dai... su... glia...»
«Potresti stare zitto e rispettare il momento, grazie?» gli chiese Andreas.
«Non hai un minimo di rispetto, di tatto» continuò Stephan.
«Ma... ma...» le labbra di Biel si aprivano e si chiudevano, ma non usciva nessuna parola.
«Anche tu però» lo sgridò Diop. «Sai come sono, te le cerchi.»

Sascha chiamò i Fra a raccolta. Tutti lo guardavano e di nuovo la cosa gli mise imbarazzo, e gli impedì di proferire parola.
«Hai la paura del palcoscenico?» gli domandò Andreas.
«Forse. Solitamente mi piace quando le persone mi guardano. Mi dà l'idea che mi stiano venerando. Al contempo, però, mi dà l'idea che vogliano uccidermi.»
«Che ragazzo singolare» commentò Erik.
«Eh sì, è uno» giustamente gli ricordò Michael. Se non ci fosse lui...
Alessio seguì il flusso. «Erik, ha ragione, perché dici ste stronzate?»
Erik lo guardava storto, mentre il cecchino gli rideva in faccia.

«Ho un'idea» li zittì Manuel. «Torniamo un momento seri.»
«Giusto» dissero simultaneamente Sascha e Andreas, dandosi poi uno schiaffo in fronte, in contemporanea.

«Signori» prese Peter la parola. «Insieme, con tutti i nostri difetti, pochissimi da come ho capito, e con tutti i nostri pregi, che mi sembra siano svariati.»
«Siamo grandi» strinse i pugni Manuel.
«Siamo perfettamente umili» lo seguì Alessio.
«Salviamo questa gente» concluse Sascha.

«Moriremo tutti» scuoteva la testa Diop.
«Potresti essere positivo qualche volta» gli disse il re, con un pizzico di rimprovero. Spintonandolo un pochino.

I FRA: Una nuova eraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora