L'ASTA: 23

2 1 6
                                    

Nel preciso punto centrale della fronte di Gowon, c'era un profondo buco.
Sangue e pezzi di cervello erano schizzati fuori, erano sparsi sul pavimento di fianco al suo corpo privo di vita.

Shonari, Matope e Mandisa si alzarono in piedi, ad osservare confusi e arrabbiati.
«Tu!» urlò la figlia di mezzo. «Lurido essere inferiore, come hai osato!?»
«Guardie!» chiamò il più grande a gran voce. «Catturatelo!»
«Scordati qualsiasi clemenza essere inferiore» disse il più piccolo. «Ti faremo vivere l'inferno, ti uccideremo lentamente.»
In men che non si dica, le centosedici guardie presenti all'asta arrivarono alla sala principale. Trenta di queste circondarono il bersaglio e gli puntarono i fucili contro.

Il bersaglio intanto, Alessio, rimase impassibile. Con la pistola indirizzata verso i Figli e un gran sorriso stampato in volto. Si leccava i baffi e gli rideva in faccia.

«Arrenditi o apriremo il fuoco» urlò una delle guardie alle sue spalle.
Alessio abbassò il braccio in cui teneva la pistola e si volta verso di loro. Sempre sorridente.
«Mostra l'altra mano!»
Il ragazzo calò la testa proprio verso la mano nascosta nel giaccone arancione.
«Questa?» domandò mentre la fece uscire velocemente per poi sparare alla guardia che cercava di dargli degli ordini.

Mentre quello si accasciava a terra gli altri aprirono il fuoco, ma il cecchino, repentino, si lanciò fra le poltrone, riuscendo così a schivare la sfilza di proiettili che altrimenti lo avrebbero fatto diventare un cola pasta.

Andreas si era goduto lo spettacolo dall'alto.
Si tenne forte alla ringhiera e si sporse, in modo forse troppo pericoloso, aveva tutto il busto fuori.
«Wow» esclamò stupito, come se stesse al cinema.
Prese il rampino e lo legò intorno ad uno dei pilastri che aveva intorno.
Tornò a guardare giù. «Avvisate quando organizzate queste cose.»
Si mise in piedi sulla ringhiera e si buttò di sotto.

Si fermò appeso a testa in giù dando una capocciata ad un soldato. Richiamò il rampino e con una capriola riuscì ad atterrare sui suoi piedi.
Corse subito verso Mandisa e compì un salto rotante verso di lei, riuscendo così a colpire la sua testa in sforbiciata, manco fosse una palla al novantesimo in finale di Champions League.
Mentre ella franava sul pavimento, il piccolo tedesco rimise i piedi a terra e attivò il cannone.
E per molti nemici la storia finì in quel momento.

I ricchi potenti schiavisti menefreghisti, andarono, in file disordinate, verso l'uscita, intimoriti dal risvolto dell'asta.
Qualcuno anche arrabbiato. Giustamente, come avevano potuto quegli idioti fermare la compravendita di essere umani?

Si avvicinarono convinti alla porta. La donna messa davanti a tutti, però, sbatté contro qualcosa, qualcosa di grande.
Si accorse che ciò che aveva davanti era una pancia. A bocca aperta alzò quindi, lentamente, lo sguardo. I suoi occhi si incontrarono con un volto oscurato, si videro chiaramente solo quei lucenti occhi verdi, e poi una nube di fumo che fuoriuscì dalla bocca.
«Nessuno entra, nessuno esce.»
Disse Michael abbassandosi leggermente per incutere quel timore in più alla folla. Concluse il tutto con una grassa risata.

«Avevate detto che non avreste fatto casini» si lamentò Biel, profondamente preoccupato mentre si nascondeva dietro la spalliera di una delle poltrone.
«Sì, lo avevo detto» gli rispose Peter, mentre osservava attento Michael entrare in scena dopo aver sbarrato l'entrata e ammassato in un angolino i ricchi viziati non combattenti.
«Non mi pare che voi stiate facendo niente, anzi, tutto il contrario.»
Peter gli mise le mani sul spalle e provò a tranquillizzarlo. «Non devi preoccuparti amico, adesso ci penso io.»
«Va bene» si calmò, si fidava delle parole dell'inglese.

Biel, dunque, osservava il ricco addentrarsi di soppiatto nella battaglia. Si incamminò verso i Figli, lo vide chiamare verso di sé Shonari. Appena il sudsudanese si avvicinò a lui, lo colpì con un pugno che lo rimandò a sedersi sulle poltrone.
«È questo è il tuo modo di risolvere?» esclamò incazzato Biel.
Scosse la testa e poi corse di nuovo a ripararsi.

Matope si nascondeva silenzioso tra le poltrone vip. Nel casino totale, prese, all'oscuro di tutti, una pistola lanciarazzi.
Andò verso il palco e la puntò verso gli schiavi. «Se non sarete venduti allora non vi resta altro che morire.»
Il colpo partì e andò a scontrarsi contro di loro.

L'esplosione dovette aver creato uno strano effetto ai suoi occhi, era convinto di aver visto qualcosa di strano.
“Qualche gioco di luce” pensò lui.

Mentre il fumo si dissolse però, Matope notò sorpreso le figure degli schiavi ancora in piedi.
Davanti a loro due strani individui: un samurai blu con le spade spianate e di fianco un tizio con un costume verde.
«C'è qualche problema?» domandò incattivito Manuel.
«Mi sembra esagerato» affermò poi Erik.
Manuel fece segno agli schiavi di scendere dal palco e andarsi a riparare.
A passo lento si diressero verso Matope.
«Il coniglio non scappa» osservò Erik. «Vuole affrontarci.»
«E noi lo accontenteremo.»
«Facciamogli male.»

Mandisa intanto si era rialzata. Intontita, riuscì ad andare verso Gowon. Controllò se fosse effettivamente morto, e lo era.
Attenta a non farsi vedere, cercò di trascinarlo lontano dalla battaglia.
«Muori sereno padre, adesso li uccidiamo tutti.»
Prese il fucile che aveva nascosto sotto la tonaca ed iniziò a sparare.
Scelse Alessio come bersaglio, ma il cecchino schivò molto facilmente i proiettili, grazie sia alla sua agilità, ma anche grazie alla mira indecente della donna.

Alla fine arrivò Andreas che assestò un colpo del suo cannone lì, vicino a lei, mettendola così in fuorigioco, almeno per qualche minuto.

Matope invece indietreggiò con calma con una pistola, normale stavolta, quella lanciarazzi l'aveva persa, indirizzata verso Manuel ed Erik che continuarono a tormentarlo.
I due ragazzi contemporaneamente dovevano anche occuparsi delle guardie che venivano ai lati e alle spalle, o almeno, Erik lo faceva, parando con le sue lame e usando le stesse, oppure la mitragliatrice, per rispondere.
Al samurai poco interessava, tanto se lo colpivano non gli sarebbe accaduto nulla.

Continuarono fino a quando Matope sbatté sulla grossa gamba di Michael, il quale, incazzato come al solito, lo afferrò e lo lanciò via, quasi addosso a Biel.
«Era nostro» lo rimproverò Manuel.
«Occupiamoci dei soldati» lo sgomitò Erik.

Anche Shonari era di nuovo in piedi, dopo il violento pugno ricevuto da Peter.
Trovò sul pavimento la pistola lanciarazzi del fratello minore e subito la raccolse.
Si alzò deciso ad usarla, ma venne attirato da dei rumori alle sue spalle.

Un'ascia venne usata contro la sua testa. L'affilata arma venne poi tirata indietro, portandosi con sé il cervello di Shonari.

Sascha alzò gli occhi, un numeroso gruppo di guardie avanzava verso di lui.
Fissò il suo sguardo su di loro.
Dalle sue spalle veniva liberata una specie di ombra che man mano occupa tutta la sala. Tutto era diventato buio, e nel buio totale, gli occhi rossi di Sascha erano l'unica cosa che gli schiavisti e i loro sottoposti poterono vedere.
«Puntate!» urlò Matope.

Obbedirono tutti. Sascha aveva decine e decine di armi che puntarono alla sua testa, ma non sembrava affatto preoccuparsene.
Matope non distolse lo sguardo da lui, e nemmeno Mandisa. Entrambi iniziarono a sudare e a perdere un po' di sicurezza.
Stessa cosa i soldati, ai quali iniziarono a tremare le mani.
Sascha richiamò a sé quella specie di ombra, che passò attraverso i corpi spaventati e urlanti dei nemici.
E alla fine svennero tutti, esausti dalla paura.

«Wow» commentò Alessio. «Ti sei proprio impegnato.»
«Che schifo» osservò disgustato Peter il cervello per terra.
«Lessie prima ne ha fatto cadere un po' anche lì» fece notare Andreas.
«Io mi sono divertito» ringhiò il gigante.
«Dov'è finito quello?» domandò Erik.
«Io ho fame» disse Sascha toccandosi la pancia.

«Che ne facciamo di quelli rimasti in vita?» domandò Manuel.
«Li rinchiudiamo qui» propose l'islandese.
«Non credo che abbiamo l'autorità...» cercò di spiegare Erik senza, però, essere preso in considerazione.
«Ci sta» Alessio sembrava d'accordo con Sascha.
«Cosa!?» Erik cercava ancora la loro attenzione.
«Sì secondo me possiamo farlo» continuò il cecchino.
«Gr... lo penso anche io.»
«Perfetto» concluse Peter. «Imprigioniamoli e leviamo le tende.»
«Non abbiamo messo nessuna tenda» gli ricordò Michael.
«Andiamo a trovare i due che comandano dopo» annotò Andreas.
«Ok amico. Adesso vedo dove è finito Biel e ci faccio portare lì. Dove sarà andato?»
~~

L'ultimo schiavo rimasto nelle celle stava finalmente abbandonando la casa d'aste.
«A quanto pare il destino mi vuole dare ancora una possibilità.»

Diop avanzava indeciso verso il grosso buco che si era creato nella struttura.
Aveva ancora senso provare a combattere, provare ad avere giustizia, vendetta?

I FRA: Una nuova eraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora