19- Valentina

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Mi risvegliai intontita. Ero confusa su che cosa fosse successo la notte precedente. Una certezza però c'era. Avevo visto Matteo baciare Martina Botto. Mi ricordavo di essere tornata a casa con Jess e che ero da sola, ma poi... I ricordi divennero confusi. Non capivo se avessi dormito con Matteo oppure no. Non avevo sentito nessuno rincasare, ma ero sicura di averlo abbracciato tutta la notte. -Ugh, ma perché è tutto così confuso?- Dissi tra me e me, massaggiandomi la fronte, come se potesse aiutarmi a ricordare. Piccoli frammenti di suoni che avevo sentito poco prima di cadere nell'incoscienza riaffiorarono nella mia memoria. Delle scuse, una voce spezzata, la sua voce, dei singhiozzi e... Altre scuse. Non ero molto sicura, poteva essere tutto un sogno. Mi alzai dal letto e scesi le scale. Quando entrai in cucina, vidi proprio Matteo ai fornelli. Un moto di rabbia m'investì e decisi di mettere a tacere i miei sentimenti per ascoltare il mio orgoglio. -Hai proprio una faccia tosta eh?- Dissi. Lui si voltò, i suoi occhi blu, spenti, mi avvolsero. Nonostante la sua espressione amareggiata, non c'era nulla che potesse farmi cambiare idea. Il mio cuore era in frantumi, il mio orgoglio ferito e la mia fiducia era stata sventrata brutalmente. Il dolore era troppo. -In che senso?- Risi istericamente e in modo inquietante. -Oh, non fare lo stupido, lo sai molto bene cosa hai fatto!- Lui deglutì rumorosamente. -So cosa ho fatto, ma tu come lo sai... Oh aspetta... Forse perché anche tu non mi dici tutto, giusto, Fenice?- Disse tagliente. Non mi feci smuovere. - Mio caro, vedi abbassare la cresta immediatamente. La stronza ora sono io, quindi sei pregato di tacere. E comunque, giusto per informazione, non te l'ho detto perché il mio contratto me lo impedisce, e anche perché esiste questo principio chiamato cazzi propri, ovvero quelle cose che non si è tenuti a sparare ai quattro venti.- Dissi fumante di rabbia. -Detto ciò, rimane il fatto che ti ho visto. Ti ho visto baciarla. Non lo puoi negare. Non l'hai nemmeno respinta! Ma ti rendi conto? L'altro ieri mi baciavi come se ne dipendesse della tua vita, illudendomi che ci fosse qualcosa, mentre poi ti trovo attaccato ad un'altra! Per giunta Martina Botto, regina assoluta delle stronzette figlie di papà. Ma mi prendi per il culo?- Dissi così incazzata che sbattei il pugno sul tavolo. -Mi prendi sul serio per il culo? Io ti ho fatto vedere chi sono, io mi sono fidata! E tu? Tu cosa mi hai dato? Un bel cazzo di niente! Io ero pronta a farti vedere ogni mia crepa; anche se ci conosciamo da poco, perché ho avuto un po' di amore e sono così disperata che mi è bastato per cadere ai tuoi piedi. Apprezzo quella briciola di affetto che mia hai dato, ma ti odio per ciò che hai fatto. Avrei preferito non conoscerti, rimanere la povera stronza solitaria che ero, non conoscere nulla di questa stupida storia di Anna e rimanere alla mercé dei miei finché non fossi stata in grado di mantenermi da sola. Ma invece no, ti ho conosciuto e quello che era iniziato come una caccia al passato è diventato un dormire con me,  siamo diventati amici e poi mi hai baciata. Ed eccoci qui, io sull'orlo di un esaurimento e tu con la faccia da funerale. Ma ho una domanda, Matteo: ti è mai importato qualcosa di me?- Chiesi, dopo il mio monologo. -Eh? Rispondimi! Ti importava di quando stavo male? Ti importava quando ti ho fatto vedere i miei tagli? Ti importava quando ti ho dato il mio regalo? Ti importava davvero baciarmi? Ti importava davvero quando stanotte mi chiedevi scusa?- Chiesi con la voce spezzata e le lacrime che premevano per uscire. Lui non rispose e questo mi fece così male che dovetti reggermi al muro per non crollare. - A quanto pare no.- Decretai fredda.  -E invece sì, Valentina! Cazzo se m'importa! Tu sei la prima ragazza che mi parla solo perché sono io e non perché sono popolare o perché sono il figlio di un ricco! Abbiamo riso, abbiamo parlato e ci piacciamo a vicenda. Io ti ho aperto la porta verso il mio cuore, ti ho cullata quando stavi male, ti ho presa in braccio quando non ti reggevi, ti ho fatta ridere quando non ne potevi più... Ma ora sembra che tu sia pronta a buttare tutto. Non ti capisco.- Chiusi gli occhi e sbattei la testa contro il muro. Le lacrime iniziarono a scendere copiose lungo le mie guance. Il mio era un pianto silenzioso e stanco. Aprii gli occhi e gli chiesi l'unica cosa che non mi sarei mai aspettata di dire. -Vai via- Sussurrai. -Ti prego-  Dissi con la voce spezzata. -Ho bisogno di pensare. Ho bisogno di... calmarmi e ragionare.- Dissi scivolando lentamente verso il pavimento. Puntai i miei occhi nei suoi e l'unica cosa che fui in grado di leggere era dolore. -Capisco. Quando ti sentirai pronta, saprai cosa fare.- Disse. Si alzò e prese le chiavi che aveva appoggiato sul tavolo. Uscì senza dire nulla e io mi abbandonai ad un pianto disperato. Il mio cuore mi implorava di seguirlo e baciarlo, scusarmi con lui e chiarire, ma il mio cervello, mi remava contro. Mi diceva che era giusto così, mi diceva che lui aveva sbagliato. Mi diceva che dovevo fargli male. Era questo il mio problema: quando qualcuno mi faceva male, dovevo farlo anch'io. Il mio obbiettivo non era vincere, il mio obbiettivo era fare male. Sentivo il bisogno di distruggere. Anche per questo avevo preso la decisione di mandarlo via, sapevo che se non lo avessi fatto, avrei davvero distrutto ogni cosa. Perché l'altro problema, era che nel momento in cui distruggevo, non pensavo alle conseguenze, che poi mi crollavano addosso come un macigno. Mi ricordai della volta alle medie, in cui una ragazza particolarmente stronza aveva litigato con me, ma io l'avevo ferita ancora di più e lei si era presa il disturbo di distruggere tutti i pochi rapporti umani che avevo creato. Rimasi in quel dannato pavimento per tre ore, a rimuginare su tutto, a rivedere tutte le scene delle ultime dodici ore, a pensare a quanto stessi male e quanto mi mancasse in realtà Matteo. Pensai a che cosa sarebbe successo se non gli avessi detto niente. O se non lo avessi mai visto. Ad un certo punto mi venne fame, quindi mi alzai e trovai un pentolino di latte, ormai freddo, sui fornelli. E affianco, delle fette biscottate alla marmellata. Mi ritrovai a fissarle con un sorriso triste. Le presi e iniziai a mangiare, e anche se era ora di pranzo feci colazione. Una volta finito, misi la musica a palla per risollevarmi il morale. Ballai e feci il mio solito concertino privato. Una volta finito, ero di nuovo sul pavimento, col fiatone e un senso di vuoto. In quell'ora e mezza capii che lo avrei perdonato. Lo avrei perdonato qualunque cosa avesse fatto, perché la voglia di averlo con me, il desiderio delle sue labbra, il bisogno si sentire la sua voce e il volerlo stringere si fecero troppo forti. Il mio cuore implorava il suo amore e io ero troppo stanca di farmi bastare il nulla che avevo avuto prima. Ero stanca di dirmi che ero destinata a essere sola. Sapevo che mi bastavo, perché io, da sola, sono comunque sempre stata abbastanza, ma una volta assaggiato l'amore, non ero più sicura di bastarmi. La voglia di correre da Matteo era così forte che dovetti farmi forza per distrarmi. Andai di sopra e presi il quaderno di Anna. Decisi di leggere quello. Man mano che leggevo la verità veniva a galla. Ero arrivata al punto clou del diario, quello che spiegava. Anna parla molto di Pierpaolo e dice che i loro incontri divennero più frequenti, ma sapevano che non avrebbero potuto continuare, quindi lei spezzò una collana e diede una metà a lui e l'altra se la tenne, come simbolo del loro amore. Si giurarono di non toglierla mai. Purtroppo, come da previsioni, il padre di lei venne a sapere dei loro incontri segreti e la obbligò a sposarsi immediatamente con uno dei ragazzi dell'alta società. Il giorno prima del matrimonio, Anna e Pierpaolo giurarono che avrebbero per sempre ricordato il loro amore e portarono le collane da un'incantatrice che fece un sortilegio alle metà. Il sortilegio imponeva che i discendenti si sarebbero passati le collane e il giorno che i due si sarebbero rincontrati, ciò sarebbe significato che le due anime si sarebbero ritrovate. Sugellarono il patto con il sangue e fecero giuramento. I due si divisero per sempre e tennero fede alla propria promessa. Una frase, l'ultima frase del quaderno, recitava:

Ebbene, forse in un'altra vita il nostro amore sarà destinato ad esistere.

Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il vaso. Un'esplosione di ricordi che non mi appartenevano mi appannarono la mente.

Sto correndo in un campo di grano. La stagione della mietitura è alle porte. Il vestito lungo intralcia un po' la mia corsa, ma non ci faccio caso. Le spighe mi punzecchiano la pelle scoperta delle braccia, mentre scivolo in questo mare dorato. La mia risata riempie la radura. -Non riuscirai a sfuggirmi, piccola peste!- Una voce maschile giunge alle mie spalle. E' una voce dolce e piena di divertimento e spensieratezza. Io continuo a correre, ma una presa dolce e resistente mi circonda il braccio. Mi volto ancora ridendo e osservo il ragazzo davanti a me. Ha la pelle leggermente più abbronzata della mia, i capelli castani e gli occhi... Gli occhi di un azzurro mozzafiato.  Come Matteo. Rivoli di sudore mi colano sulla fronte e l'affanno per la corsa non mi permette di parlare. Una leggera brezza si solleva, regalandomi dei brividi causati dal contrasto con il sudore. -Vieni, prima che ti prenda un malanno. Non voglio una Principessina malata!- Quel nomignolo... Lo seguo, agganciando il mio braccio al suo e il ricordo si spegne nella distesa dorata.

Il ricordo mi lasciò confusa. Avevo appena vissuto... La mia vita precedente? E gli occhi del ragazzo... Gli occhi della persona che amavo, sono gli occhi della persona che amo. Mi venne in mente una frase che mi diceva sempre la nonna: Saprai riconoscere la persona che ami dagli occhi. Tu innamorati degli occhi di una persona, perché i capelli diventeranno grigi, i denti si rovineranno, il volto invecchierà e la voce anche. Ma gli occhi... Gli occhi rimangono gli stessi della prima volta. E non intendo di colore, ma di spirito.  Un altro ricordo mi prese alla sprovvista.

La notte stellata incombe sulla tenuta e io la osservo dalla mia finestra. Osservo la luna, portatrice di sogni e speranze e confidente di tutti coloro che non sanno esprimersi alla luce del sole. Un fruscio proviene dall'albero vicino a me e vedo sbucare un volto familiare. -Pierpaolo, cosa ci fai qui a quest'ora?- Chiedo sottovoce. -Sono venuto a darti la buonanotte!- Risponde. Sorrido. -Attento, potresti farti male.- Lo ammonisco. -Tranquilla, Principessina, ho tutto sotto controllo.- mi risponde. Sale agilmente sul davanzale e con un saltello mi raggiunge. Lo abbraccio e il suo profumo mi culla. Sa di estate. Mi fa ondeggiare. -Cosa ci fai ancora sveglia a quest'ora?- Mi chiede. -Osservavo la luna. E' così bella, non trovi?- Dico sognante rivolta verso la sfera bianca. -Già...- Sospira lui. Mi volto e lo vedo osservare me. -Ma stai guardando me.- Una risata bassa sgorga dalle sue labbra. -Stavo osservando il suo riflesso nei tuoi occhi.- Mi dice con semplicità. Un sorriso genuino spunta sulle mie labbra. Ci sediamo sul davanzale e piano piano il sonno mi accoglie, tra le braccia di colui che amo.

Rimasi intorpidita, ancora bloccata a metà tra le due realtà. Un ultimo ricordo mi venne concesso.

Mi trovo seduta sul mio letto. -Il nostro amore non può durare.- Dico con voce spezzata. -Mio padre non vuole permetterci le nozze e anzi, ha mandato ordine di anticipare il mio matrimonio con Geraldo al più presto.- I singhiozzi scuotono il mio corpo. -Lo so amore mio. Appunto per questo oggi andremo da un'incantatrice in città per fare in modo che le nostre anime saranno legate per sempre. Non so come, ma so che lei ci aiuterà. Non può cambiare sorte di questa vita, ma può intrecciare il filo del destino per fare il possibile. Non so se funzionerà, ma voglio sperarlo.- Dice mentre mi accarezza la schiena. -Anna...- Non avevo ancora sentito il mio nome. Mi scivola addosso come la carezza più dolce. -Lo spero anch'io, amore.- Dico, calmandomi. -In un'altra vita, forse il filo del destino mi riporterà da te e potremo amarci per sempre.- Queste ultime parole sfumano nel vuoto della mia mente.

 - Forse Anna in parte si sbagliava, Valentina. Il destino non è clemente con chi crede di domarlo.- Disse una voce cavernosa, proveniente dagli anfratti della dimensione in cui mi trovavo.

Non afferrai il significato di quelle parole. E la mia mente stremata mi forzò ad un sonno profondo, distrutta dopo aver scavato così in profondità nella memoria di secoli addietro.

Spazio Autrice:

Salve! Partita col botto e finita con una badilata in testa. Bella questa parte. Mi è piaciuta. Tenete a mente le ultime parole parole misteriose, potrebbero essere più importanti di ciò che credete. E ricordatele anche perché è vero: il destino non è clemente con chi crede di domarlo. Questo è stato un capitolo molto particolare, ma è venuto fuori da solo. L'idea iniziale era molto più semplice, ma poi mi sono lasciata prendere ed è uscito piuttosto lungo... 2257 parole! Non credo che riuscirò a scriverne altri altrettanto lunghi, ma si vedrà. Be', che dire, se il capitolo vi è piaciuto votate e lasciate un commento. E ribadisco: il destino non è clemente con chi crede di domarlo.

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