7.

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«E' morto come?» chiese di nuovo lo sceriffo. 

Era anziano e sordo ma Michael iniziava a pensare che soffrisse anche di amnesia. I suoi baffi bianchi erano ingialliti dal fumo di sigaretta. A Michael ricordarono il maltese che aveva avuto da bambino.

«L'hanno colpito con un vaso di fiori!».

Lo sceriffo scribacchiava fitto su un tovagliolo, in una grafia incomprensibile. Michael si sentiva davvero stressato, avrebbe perso i capelli continuando così. Sentiva già la stempiatura avanzare. 

Qualcuno bussò alla porta.

Dotty, la vecchia segretaria, entrò portando un vassoio traballante. Caffè e deliziose ciambelle sembrarono risvegliare l'interesse dello sceriffo.

«Allora sceriffo, manderà qualcuno a vedere?» insistette Michael.

Lo sceriffo spazzolò caffè e ciambelle, ingozzandosi come un pellicano.

«Ah,mi scusi, non le ho nemmeno offerto un morso» biascicò appena ebbe finito tutto. Michael sollevò una mano stizzito. Non esisteva che assaggiasse uno di quei dolci tutti unti. Aveva già avuto la sua "giornata carboidrati" per quel mese.

Il suo stomaco, però, brontolò per la fame.

«Va bene, signor Pollan. Andrò a controllare io stesso».

Lo sceriffo si alzò dalla scrivania e cercò di darsi un tono nonostante il suo metro e dieci di altezza.

«Le assicuro, signor Pollan, che a Pie Town ci sono solo brave persone. Non ci sono assassini qui».

Michael lasciò la stazione di polizia.

Percorse la strada fino a casa sua in solitudine, accompagnato dall'odore del mare e dal grido lontano di alcuni gabbiani. Non fece altro che guardarsi le spalle temendo di essere aggredito dall'assassino.

Quando aprì la porta di casa Aaron Carter gli corse incontro.

«Oh, non hai mangiato neanche tu» disse Michael prendendo in braccio il gatto.

Aveva lasciato Manhattan perché si era sentito solo e sperduto tutto il tempo, anche se in una grande metropoli. In quel momento, anche in una minuscola città di pescatori, si sentì ugualmente un pesce fuor d'acqua.

Guardò fuori dalla finestra, verso la Piazza.

L'insegna di Starbucks illuminava la strada più dei flebili lampioni, rovinati dalla salsedine. Si chiese se Tom fosse a casa da solo o in compagnia.

Era troppo codardo per andare da lui.

E poi, dopo tutto quello che aveva passato quel giorno, non se la sentiva proprio di farsi spezzare il cuore.

Il telefono squillò all'improvviso facendolo sobbalzare.

Aveva appena messo in faccia una maschera in tessuto piena di siero ma si decise a sollevare comunque la cornetta.

Pazienza, l'avrebbe tutta impiastricciata.

«Michael?» la voce dello sceriffo all'altro capo lo rassicurò. Michael aveva già il cuore in gola immaginando una di quelle telefonate horror alla "Scream".

«Padre Nicholas sta bene. Bè...più o meno. Comunque non è morto, ho parlato con suor Maria».

Michael tirò un sospiro di sollievo. Era anche un visionario.

«Aaron Carter» disse triste al gatto che gli faceva le fusa strusciandosi sulle sue gambe «forse nemmeno questo è il mio posto. Vorrei solo una risposta alla mia vita».

Guardò le stelle fuori dalla finestra. Era un po' che non si fermava ad osservare la notte. Lo fece sentire bene.

«E' davvero questo il mio posto?».

Sospirò mettendosi sotto le coperte, appena toccò il cuscino si addormentò. Cadde in un sonno così profondo che prese a russare, non riuscì nemmeno a sognare Tom.

L'indomani mattina, in modo inaspettato, arrivò la risposta che aveva chiesto. Nella buca delle lettere, assieme alla posta, trovò un volantino colorato.

«Questo è il posto giusto per te! Candidati come prossimo Sindaco di Pie Town».

Il sorriso tornò sulle labbra di Michael.

Si vestì di tutto punto e si diresse al Municipio.

Maratona a Pie TownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora