Capitolo 47

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Hazel ricordava l'ultima pioggia dell'inverno, quella che preannunciava l'inizio della primavera e pensò che, per la prima volta nella sua vita, la bella stagione non avrebbe portato una rinascita, ma si era presentata sottobraccio con la morte.

La pioggia picchiava continua e lenta sulle due bare affiancate.
A Ishtal c'era un solo cimitero e un solo profeta a diffondere la benedizione dei santi, ma né Lucian, né Liz avevano goduto della loro protezione mentre erano in vita, e gli dei dimenticati non si ssrebbero ridestati solo per accogliere due dei loro figli.

Era assurdo come il tutto si fosse ridotto nelle mani di un padre che era troppo stanco per andare avanti.

Baram camminava solo perché doveva, in una lenta processione dietro suo figlio e una figlia acquisita trasportati sulle spalle dai gemelli, Arees, Brianna e Kaya. Hazel gli stava accanto.
A tratti nemmeno lei capiva se Baram percepisse davvero quello che gli stava succedendo attorno, perché aveva gli occhi persi e la bocca quasi schiusa.

«Ho settant'anni» fece lui, d'un tratto. «Ho combattuto in una rivolta, ho vissuto una guerra, ho affrontato una minaccia terrorista per anni» la voce era bassa e arrabbiata. «Mio figlio aveva tutta la vita davanti. Quella di Liz era appena iniziata.»

Hazel deglutì e cacciò indietro il nodo che aveva in gola.
C'era tempo per le lacrime, adesso le sue le aveva cedute a Kaya che camminava sostenendo quasi del tutto sola la bara di Lucian.

Hazel prese sotto braccio suo nonno.
«Dovevo esserci io al loro posto» disse lui, «La morte non ti guarda in faccia. Ma potevo fare di più.»

Era lo stesso tormento che lei si portava addosso. Soprattutto, perché era tutta colpa sua.
Lei poteva, anzi, lei doveva fermare Aidan. Avrebbe dovuto farlo.

E il suo supplizio si sarebbe fermato lì se non avesse trovato la sua invenzione distrutta al centro del castello.
Non aveva detto a nessuno di averla trovata, o che successivamente l'avesse raccolta e portata a casa.

Qualcuno l'aveva modificata, ne era certa.

Ma la verità era che non sapeva perché si fosse messa a studiare la sua invenzione, a ripararla, a scoprire cosa mancasse. Forse l'aveva fatto per nervosismo, o perché era sotto shock, sola, e non sapeva fare altro, perché per tutta la sua vita, in ogni momento difficile, smontare, studiare e costruire erano comunque delle costanti.

Perciò, Hazel sapeva che fosse colpa sua.
Sapeva che la sua magia era stata usata.
Non sapeva come, non sapeva da chi, né se tra le persone a cui aveva venuto l'invenzione di nascondesse un netereale, o se anche loro erano stati derubati.

Aveva ancora tante domande, le affollavano la testa e le impedivano di parlare, di riflettere, di fermarsi.

Hazel camminava, perché doveva farlo.
Ascoltava suo nonno, perché voleva farlo.
Ma se avesse potuto, sarebbe stata ferma e in silenzio e dopo un po' sarebbe andata a cercare Aidan.

Perché lui non c'era.

L'ultima volta che l'aveva visto era ricoperto del sangue di Lucian e Liz. Sapeva che Arees fosse andato a cercarlo, ma poi avevano smesso tutti quanti; non per cattiveria, ma perché nessuno aveva le forze per continuare. Nemmeno lei, la responsabile di tutto.

La pioggia diede loro un po' di tregua quando raggiunsero il cimitero in collina. Era strano che fosse tanto vuoto un giorno dopo il disastro al castello, ma tutta Ishtal si era raccolta verso il mare dove, invece, si sarebbero tenuti i funerali del re.

Perciò, nessuno badò a Baram quando si fermarono sotto ai cipressi e disegnò i simboli di protezione degli dei col gesso sulle bare di Lucian e Liz e poi, subito sopra, abbozzò una stella a dieci punte. Séiros, la loro Casa, il tatuaggio che Liz desiderava con tanto ardore e che non avrebbe mai ottenuto.

Nethereal, Vol. 2 - L'Ordine del CaosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora