Capitolo 41

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Caleb Veillard atterrò dalla parte posteriore del portale che divideva a metà le rovine del castello di Ishtal.
Aveva chiesto ad Arees di farsi lasciare alla base delle scale distrutte perché conducevano dritte alle stanza di suo padre.

Sapeva che, qualunque disgrazia fosse capitata, lui si sarebbe rintanato lì con una manciata di soldati.
Di fatto, Caleb si guardò attorno e percepì il disumano silenzio. In qualche modo, da quella parte le urla strazianti di chi scappava e chi combatteva non arrivavano.

Li avevano visti in volo, i ragazzi di Séiros che si battevano tra spruzzi di fuoco, vento, fulmini e terremoti, e fu la loro determinazione a scaldargli il sangue nelle vene.
Poiché, mentre i maghi, i suoi simili, rischiavano la propria vita per salvare un continente che ancora non li accettava, suo padre, il sovrano del regno più influente del continente, si nascondeva come un codardo.

E osava ricattare il proprio figlio per le sue mancanze.
Ishtal non aveva bisogno di Roland Veillard, era diventato solo un parassita per il regno, un bugiardo, un padre infame.

Caleb sapeva di essere debole e di trovarsi nella forma fisica peggiore, ma ciò non lo avrebbe fermato dall'avanzare.
Per una volta, per Laretha e Dan e se stesso non si sarebbe lasciato frenare dalla paura o dalla morale.
Quell'uomo lo aveva venduto.
Aveva venduto sua sorella.
Aveva venduto il proprio regno.

Le lacrime che gli si erano asciugate sul viso bruciavano di rabbia e non di sofferenza; e quella rabbia Caleb se la sentiva addosso, lo avvolgeva come un mantello e gli sussurrava parole indicibili.

Imboccò i resti delle scale e poi dovette scendere di nuovo tra cumuli di massi che erano i resti delle pareti del castello.
Sapeva che Roland fosse nella camera nascosta dietro la sala del trono ed era lì che i piedi lo stavano portando.

Il pavimento lucido della sala era ricoperto di polvere e schizzi di sangue; i feriti dovevano essere scappati da qualche apertura laterale, ma l'indomani si sarebbero contate le vittime che giacevano inermi sotto tutte le pietre, le loro tombe costruite con menzogne e vergogna.

«Roland!» urlò.
Si fermò nel mezzo della stanza: la parte posteriore era rinforzata dalla presenza del nascondiglio del codardo, ma il possente trono mezzo rotto sosteneva, adesso, i resti della distruzione e gli stendardi con la fiamma d'argento erano accasciati contro i vetri rotti e il pavimento.

«Sono tornato! Saluta tuo figlio!»

Nessuno rispose, ma sapeva che almeno lui e un paio di guardie dovevano essere lì dietro.
Caleb guardò il pavimento, si fermò in un punto preciso, si accovacciò e spazzò via la polvere mattonella da cui il sangue di Dan era stato ripulito.
Sentiva ancora il suo ansito, il dolore muto che gli si era affacciato sulle labbra e il panico negli occhi.

Caleb lo aveva capito, adesso, che l'ultima emozione di Dan non era rivolta solo alla morte imminente, alla fine della sua vita, ma a quello che si sarebbe lasciato alle spalle. A tutti i progetti che aveva e che non avrebbe visto realizzarsi.

Sguazzò nella rabbia, nell'odio per quello che era stato fatto al suo amico, e si rialzò. Qualcosa, dentro di lui, era cambiato per sempre, sentì il rumore di una consapevolezza che prendeva vita nelle sue membra, abbattendo i granelli del silenzio e demolendo la clemenza.

Ma il rumore non era solo nella sua testa.

I suoi occhi scattarono verso il fondo della stanza; la porta nascosta restava chiusa, ma dalle macerie ammassate a sinistra si fece strada una faccia che si aspettava di vedere.

Adrian allargò la bocca in un sorriso inquietante. «Che sorpresa! Non mi aspettavo di rivederti presto.»
Caleb si sistemò i polsini della camicia sporca e sgualcita con noncuranza. «Immagino che mio padre sia stupito quanto te. A proposito, dov'è? Sono qui per lui, tu sei una perdita di tempo.»

Nethereal, Vol. 2 - L'Ordine del CaosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora