Capitolo 10

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La presenza di un essere umano, per quanto ancora sconosciuta, placò per un attimo la sua angoscia.

Provò ancora a domandare.

"Chi sei?"

Nessuna risposta.

La replica che attendeva con trepidazione tardava a venire, e quel silenzio spettrale acuiva ancor di più i suoi sensi. Immerso nel buio della cella tese maggiormente le orecchie. 

Ancora nulla.

Che fosse tutto frutto della sua immaginazione? Stava forse avendo delle allucinazioni? Eppure gli sembrava di aver sentito la voce di qualcuno qualche istante prima.

Provò ancora, ma questa volta con la paura che gli opprimeva la gola. Aveva timore di dare ragione al suo IO più profondo, quello che voleva fargli credere di essere impazzito.

Non aveva mangiato né tantomeno bevuto per tutto il giorno. Era stanco e sentiva di non avere la lucidità necessaria per affrontare quell'incubo.

"C'è qualcuno? Per favore, rispondimi!"

"Ma la vuoi piantare per la miseria!?"

Ora non aveva più dubbi. Qualcuno dimorava davvero in quell'immondo sotterraneo. Non era dunque pazzo, almeno non del tutto. Doveva mantenere la calma. 

Spinse più che poté il viso in avanti stringendo con forza le sbarre fra le mani. La ferita sanguinolenta sopra l'arcata sopraccigliare premette sul ferro. Si morse il labbro per non gridare dal dolore.

La voce era indubbiamente di un uomo, un uomo che biascicava a quanto pareva, e che probabilmente non aveva nessuna voglia di parlare.

"Perdonami compagno... dove siamo?"

Seguì una grassa risata interrotta da un violento attacco di tosse. Al termine di quel chiasso rivoltante vi fu un attimo di silenzio e poi sentì chiaramente sputare in terra.

Conosceva bene quella maniera di comportarsi e di parlare. Spesse volte gli capitava di vedere i suoi compagni operai rifugiarsi nelle bettole situate nei dintorni della fabbrica. Erano sempre i soliti. Entravano dentro a quegli angusti locali dove la luce soffusa contrastava con lo scintillio delle bottiglie. Tutti quei vetri apparivano come preziosi gioielli rinchiusi nelle vetrine di una gioielleria. Ci perdevano pomeriggi interi fra bicchieri e boccali colmi fino all'orlo. Entravano felici, a passo spedito, come se ad attenderli ci fosse la più bella delle fanciulle del paese. Parevano contenti come degli innamorati, ma non era di una donna che ambivano la compagnia. Erano completamente devoti al nettare di Bacco, un premio doveroso al termine di una giornata di duro lavoro in fabbrica. Quando a tarda sera quegli sciagurati uscivano da quei locali, mostravano tutti quanti i lineamenti del viso distorti. Le parole uscivano lente, affaticate. Con gli occhi socchiusi rimanevano a fissare la vita che correva troppo in fretta per i loro riflessi rallentati. I movimenti divenivano grotteschi, come burattini i cui fili venivano tirati e poi strattonati all'improvviso.

"Vuoi prendermi in giro o cosa? Stiamo in una cella! A San Sebastian".

San Sebastian? Non ne aveva mai sentito parlare, e poi perché mai uno come lui avrebbe dovuto sapere che proprio lì a San Sebastian c'era un carcere?

"Ma perché me lo domandi. Da dove diavolo... " seguì un sonoro rutto "...ma chi sei tu, e perché non sai che qui stiamo nella prigione di San Sebastian. Non siamo a San Sebastian per caso?"

Per un attimo il dubbio assalì il suo interlocutore. L'ira lo colse all'improvviso.

"Ma tu chi sei? Non sei mica Gorka? Mi stai forse prendendo in giro? Gorka sei tu? Guarda che se mi prendi in giro giuro che quando esco da qui..."

La strega di EibarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora