XVI

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Mi svegliai con un mal di testa insopportabile, il tipo che ti fa venire voglia di rimanere sotto le coperte per sempre. Kumo, il gattino, mi stava leccando il viso come se fosse il suo modo di dirmi che era ora di alzarsi. Amavo quel piccolo felino, era l'unico che riusciva a farmi sorridere anche nelle giornate peggiori. La sveglia continuava a suonare senza sosta, e ogni volta che provavo a spegnerla, sembrava ripartire con ancora più insistenza. Alla fine, mi rassegnai e mi alzai, non potendo tirare contro il muro il mio telefono.
Sapevo che quella giornata sarebbe stata una merda. Non c'erano dubbi. La mattina già era iniziata male e, con il pomeriggio che mi aspettava, non poteva che peggiorare. La scuola non era mai stata il mio posto preferito, ma ultimamente era diventata ancora più insopportabile. Tutti lì continuavano a guardarmi e chiedermi autografi.
Ma il vero problema non era la scuola. No, quello che mi pesava davvero era il pomeriggio. Sarei dovuto andare indietro da Federico.
Mi alzai a fatica dal letto, con Kumo che mi seguiva mentre mi trascinavo verso la cucina. Ettore e Anita non erano in casa, a quanto pare erano usciti presto per delle visite mediche. Mi versai del caffè, cercando di ignorare quella sensazione di vuoto che mi stava schiacciando il petto, ma non riuscivo.
Alla fine, mi gettai sul divano, prendendo la decisione che, fin quando non mi avesse chiamato Strange, sarei stato lì a cercare di dormire o a cazzeggiare.

Erano le tre del pomeriggio quando arrivò la chiamata. Non avevo mangiato un cazzo per pranzo e non avevo intenzione di farlo, almeno non finché sarei stato senza Federico. Mancava davvero così poco e quando arrivò la chiamata di Strange subito indossai la tuta e mi precipitai da lui.
«Salve...» Lo salutai, quando entrai in casa sua.
«Eccoti qua.» Mi disse, andando a prendere qualcosa dalla sua stanza per poi tornare. Tra le braccia aveva letteralmente Federico, o almeno, una sua perfetta copia. Era in plastica, ma era così realistica che quasi sentivo Federico con me. Mi avvicinai di più, ma Strange disse di stare in dietro. «Ho fatto un incantesimo, non assomiglia per niente a Federico in realtà, ma ho fatto un buon lavoro.» Annunciò fiero di sé. Era di buon umore e sorrideva -cosa che faceva davvero raramente- ma, secondo me, da ridere non cera proprio nulla.
Arrivò il momento, Strange aprì il portale e subito mi ritrovai da tutt'altra parte.
Ero ai piedi del palazzo da cui era caduto Federico, ma non era notte. Guardai Doctor Strange sconcertato, ma neanche lui sapeva darsi una spiegazione. Un bambino subito corse verso di noi, era così familiare, ma non sapevo dove l'avevo già visto.
«Mamma, andiamo a prendere il gelato? Ti pregooo.» Pregò la madre che gli si avvicinò sorridendo. Capii subito dov'eravamo quando la vidi. Quel bambino ero io, avevo sei anni all'incirca e mia madre era ancora una donna dolce e premurosa. Il bimbo si voltò di scatto nella mia direzione e appena mi vide si nascose dietro la madre. Beh, si, ero un po' cagasotto da bambino. Alzai leggermente la maschera, così da far vedere le mie labbra, e gli sorrisi. Non ricambiò subito, ci volle un po', ma arrivò un sorriso radioso da parte sua, così bello che mi fece venire voglia di tornare quel dolce e innocente bimbo.

𝐒𝐩𝐢𝐝𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧 𝐢𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐡𝐞 𝐦𝐮𝐥𝐭𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐞 𝐨𝐟 𝐦𝐚𝐝𝐧𝐞𝐬𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora