Quando vivevamo con papà

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Del fatto che i miei sono stati veramente assieme e che noi fossimo una famiglia normale ho un ricordo vago almeno quanto quello della mia stanza da bambino che era diventata tutta verde: so che è successo, ma posso dirlo con certezza solo perchè me l'hanno raccontato.
Ogni tanto capita che mia madre mi dice:《Quando vivevamo con papà》, oppure mi racconta di quella volta in cui aveva portato mio padre a casa e mia nonna aveva commentato:《Quest'uomo non mi piace, ha gli occhi da matto》. Che poi conoscendo mio padre, non c'è da escludere che si fosse presentato mezzo fatto.
Ma mi succede di ripensare anche a episodi molto più reali e concreti: ad esempio, mia madre che spacca le cose nell'appartamento di mio padre, quando ormai vivevano già divisi. Io, che all'epoca ero un bambino, le chiedevo:《Ma cosa fai?》. E lei mi rispondeva secca di starmene zitto.
Penso che per mia madre non sia stato facile e che comunque abbia capito subito che era impossibile organizzare una vita assieme a un uomo che un giorno c'era e il giorno dopo chissà dove minchia se n'era andato, quando sarebbe tornato e, soprattutto, "come" sarebbe tornato.
Un giorno, per esempio, mio padre ha preso il Pandino rosso, ha caricato il suo cane e se n'è andato a fare un giro fuori città. Vicino a casa nostra ci sono diversi campi, in parte coltivati, in parte abbandonati, dove mio padre faceva spesso dei giri. Mi ricordo che una volta ne abbiamo parlato e lui diceva che gli piaceva andare in mezzo alla natura perchè lì se ne poteva stare tranquillo.
《Pà, sei vecchio》gli rispondevo, prendendolo per il culo perchè mi sembrava una roba da sfigati.
《Vedrai che quando avrai la mia età ci andrai anche tu.》
Ed ecco che puntualmente, quando ho bisogno di pensare un pò e starmene per conto mio, me ne vado per i campi, gli stessi in cui ci andava lui.

Bè, comunque, mio padre, in uno di questi giri, si è ribaltato con la macchina. Non so cosa sia successo: magari si era preso qualche droga o, semplicemente, come ha raccontato lui, aveva liberato il cane, questo si era messo a correre dietro la macchina, gli si era parato davanti, e lui aveva dovuto sterzare di colpo, finendo per ribaltarsi. Non sapremo mai cosa sia successo veramente, ma sta di fatto che poco dopo doveva portarmi da qualche parte e si è presentato con la macchina mezza accartocciata e ricoperta di fango.
Di certo, mio padre è sempre stato al centro di episodi molto fuori dal comune. La cosa bella che so, però, è che tutti ricordano ridendo tutte le storie che lo riguardano. Nessuno le ricorda con paura, con dolore. In qualche modo tutti gli volevano bene, anche se capitava che chi non lo conosceva ne fosse intimorito.
Una volta, ad esempio, ero alle elementari, sento qualcuno che suona il clacson come un pazzo sotto la mia classe. Suona una volta, due volte, va avanti per cinque minuti, forse dieci. Stavamo studiando qualche tabellina, la maestra prova a spiegare, ma non si sentiva niente. Così si scoccia e si alza per vedere chi sia. Io ho una sorta di presentimento e me ne rimango immobile mentre tutti i miei compagni si precipitano alle finestre.
《È tuo padre, Emi, è tuo padre.》si mettono a urlare.
A quell'epoca non ero ancora in grado di spiegare la sua malattia e quindi ho detto che era ubriaco, che mi sembrava meglio che definirlo malato o matto. O che ammettere con gli altri che mio padre aveva dei problemi seri.
Vado quindi alla finestra fingendo indifferenza, ma un pò mi vergogno. Mio padre, di sotto, mi riconosce e si mette a chiamarmi, come se potessi mollare tutto e andare a fare un giro con lui. Io ritorno al mio posto e lui continua a suonare per altri dieci minuti.
All'ultima campanella manca almeno un'ora. Mio padre ha smesso di suonare e io spero che se ne sia andato: immagino in che stato sia e mi vergognerei davanti ai miei compagni. Quando esco, però, è ancora lì, lo senoo gridare verso di me:《EMI, EMI》.
《Dai, oggi ti porto io a casa》mi dice.
Salgo, un pò titubante con mezza classe che mi guarda e so che mio padre non c'è con la testa, ma ovviamente rimango seduto e spero che non succeda niente di brutto. Lui parte come un pazzo, sgommando con il suo Pandino rosso con due adesivi di pantere alle fiancate, che tutti alle nostre parti associano immediatamente a lui.
Ci infiliamo nelle vie strette del centro storico di Vimercate andando a cento all'ora, nonostante ci sia il limite dei quaranta. Noi passiamo e tutti si appiattiscono contro i muri delle case, superiamo il ponte e lui continua a sgasare e intanto canta non so più quale canzone. Provo a dirgli gentilmente che forse sta andando un pò troppo veloce e che sarebbe meglio rallentare cercando di non farlo incazzare.
Non ci riesco.
《Non so guidare, secondo te?》è quello che mi chiede, accellerando ancora di più e girando la testa verso di me.
Un attimo dopo, entra nel parcheggio del discount davanti a casa a una velocità pazzesca, tira il freno a mano di colpo e magicamente parcheggia tra due macchine ferme a un paio di metri l'una dall'altra. Una roba da stuntman hollywoodiano. Io apro gli occhi e vedo che in una delle due auto c'è seduta una ragazza, probabilmente ad aspettare qualcuno che è entrato a fare la spesa. Mi guarda impietrita, e io non so che dirle.
Mio padre esce dalla macchina, entra nel discount, si beve una birra, due minuti dopo torna e come se nulla fosse mi dice:《Ti porto da tua nonna, allora, andiamo a mangiare? Mi è venuta fame》.

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