AB UMBRA LUMEN - Dall'ombra viene la luce

4. Onore e responsabilità

Kael si trovava nel cortile interno del Palazzo delle Ombre, il suono dei suoi passi attutito dai ciottoli umidi. Era immerso in un intenso allenamento con i nuovi pugnali noctium, affilati come la sua determinazione, mentre l'aria fresca del pomeriggio portava con sé il profumo della terra bagnata. La luce pallida del sole filtrava tra le alte torri, creando un gioco di ombre danzanti che si muovevano come spettri sui pavimenti di pietra. Intorno a lui, i guerrieri Eclisse si esercitavano, il clangore delle lame e le grida di incitamento riempivano l'aria.

Nonostante il fervore dell'allenamento, Kael si sentiva teso. In un duello a lama corta contro Kieran, la sua mente continuava a distrarsi, vagando verso Nassy che si trovava dall'altra parte del cortile. Non si erano più rivolti la parola dopo la notte scorsa, e il silenzio tra loro era carico di tensione, di domande e di dubbi. Una parte di lui era terrorizzata da ciò che era accaduto, mentre l'altra desiderava ardentemente chiarire le cose.

Ricordava i sussurri delle ombre che lo circondavano, un richiamo seducente e oscuro che lo avvolgeva. In quel momento di intimità si era lasciato andare completamente cedendo davanti alle ombre che danzavano attorno a lui. La libertà e la vulnerabilità si erano fusi in un'unica sensazione travolgente, facendogli perdere ogni controllo.

Kieran, approfittando della sua distrazione, lanciò un affondo inaspettato. Kael si trovò disarmato, i pugnali che rotolarono tra la polvere del cortile, e lui improvvisamente per terra. Kieran sorrise, con i capelli lunghi e neri che disordinati gli cingevano il volto sudato, l'aria di scherno sul suo volto amico. «Che cos'hai oggi?» chiese, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. «Non sei mai stato così scarso.»

Kael si scrollò la polvere dai pantaloni con gesti rabbiosi, il viso in fiamme. «Niente,» rispose bruscamente, ma invece di riprendere il combattimento, si diresse a grandi falcate verso Nassy, determinato a sbarazzarsi di quel peso e a chiederle spiegazioni. 

Nassy, intanto, si stava allenando con il lancio dei pugnali. Aveva una precisione millimetrica, ogni colpo andava a segno nel centro del bersaglio incastrandosi con forza, eppure c'era qualcosa di strano in lei e Kael non riusciva a decifrarne le ragioni. Questo lo innervosiva ancora di più.

«Possiamo parlare?» disse allora Kael con voce perentoria non appena gli fu dietro la schiena. Nassy, colta di sorpresa, sussultò e s'interruppe.

«Di cosa?» replicò, poi riprese a colpire il bersaglio con furia. I suoi movimenti erano rapidi e determinati, ma la sua voce tradiva una certa ansia «Non è successo niente.»

Kael esitò, incapace di formulare una risposta. Le parole si accumulavano nella sua mente, ma restavano bloccate sulla lingua. 

Vedendo che lui non si spostava alla fine Nassy si girò di nuovo, puntando i suoi occhi determinati e sicuri fin dentro quelli di lui.

«Ad un certo punto, non sembravi nemmeno più tu,» disse, la voce solo un sussurro «I tuoi occhi, erano rossi come quando combatti,... Che cosa significa?»

«Nas,...» iniziò Kael, allungando una mano verso di lei, ma poi si ricordò di dove si trovava e si fermò a metà strada, l'ansia che si mescolava alla frustrazione. «Io non,...».

Avrebbe voluto dire, non lo so, ma proprio in quel momento una voce anche fin troppo familiare lo colse di sorpresa facendolo trasalire.

«Kael Vespera.»

Suo padre, Dorian, era proprio lì, che lo osservava con il solito sguardo severo. La sua corporatura muscolosa era messa in evidenza dalla giacca nera che indossava, cesellata da motivi che raccontavano le gesta eroiche della loro casata. I suoi capelli scuri, ben pettinati, gli cadevano con eleganza sulle spalle, mentre il suo viso scolpito mostrava lineamenti severi, ma non privi di una certa nobiltà. Gli occhi, di un profondo blu scuro, erano penetranti e attenti, ben puntati sul figlio.