26. Quasi come un Drakmira

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Nella soffitta, immersa in una penombra surreale, trovarono Lirael seduta sul bordo del letto, con le spalle tese e il viso impassibile, solo un accenno di sfida negli occhi di un azzurro pungente. La luce violacea dell'ametista incastonata nella parete gettava sul suo viso un'ombra fredda, che si rifletteva nei suoi capelli neri, raccolti in una coda che ricadeva sulle spalle scoperte e sulla canottiera chiara. Al suo ingresso, il gruppo si sistemò cautamente nel poco spazio libero, tutti attenti a non oltrepassare la barriera magica che la teneva confinata.

Kael si fermò per ultimo, osservandola forse più a lungo di quanto avrebbe voluto. C'era in Lirael qualcosa di tormentato, una bellezza inquieta che lo respingeva e lo attirava insieme. Sentì l'attrazione crescere nel suo petto, e con essa il mormorio delle ombre che lo accompagnavano, che sembravano scuotersi e accorrere, tese verso di lei come un eco oscuro e selvaggio. Era come se quelle ombre percepissero in Lirael una minaccia e una promessa, e la reclamassero.

Nassy, che non si era lasciata sfuggire il modo in cui la stava fissando, gli diede una leggera gomitata. Kael si riscosse, imbarazzato, distogliendo lo sguardo, sebbene le ombre continuassero a stringersi attorno a lui, irritate, come animali inquieti.

Fu Eldrin a spezzare il silenzio con il suo solito tono calmo. «Che occhi di ghiaccio,» mormorò, studiandola con una curiosità pacata. «Proprio come quelli della mia terra. Piacere, io sono Eldrin.»

Lirael lo fissò, immobile, senza proferire parola, e il resto del gruppo colse la sua ostinazione, quel silenzio ribelle che vibrava nella stanza come una lama appena sguainata. Mira si avvicinò alla barriera con un vassoio, lo spinse oltre la barriera e lo lasciò lì. Lirael non si mosse, lanciando solo un'occhiata rapida al cibo; le labbra serrate, rimase immobile, come una statua che non conosceva né fame né paura. Mira, abituata a quel mutismo, si allontanò e chiuse la porta dietro di sé, lasciando che la tensione nella stanza si addensasse.

Nassy, sempre impaziente, non resistette e fece un passo avanti, con le braccia incrociate sul petto e il mento sollevato. «Non abbiamo tempo da perdere,» disse, risoluta, una scintilla di rabbia nei suoi occhi. «Prova a parlare, almeno stavolta.»

Lirael lasciò vagare lo sguardo su di loro, scivolando da Eldrin a Nassy e infine su Kael. Quando i loro occhi si incontrarono, Kael sentì il peso di quella connessione, come un filo che lo legasse a lei contro la sua stessa volontà. Il mormorio delle ombre attorno a lui s'intensificò, quasi fosse una risposta, una scossa viscerale che lo faceva avvertire il suo stesso potere. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma quella sensazione lo tenne lì, e sentì le ombre mormorare più forte, quasi a inneggiarla, come se la riconoscessero.

Eldrin avanzò, rompendo quel momento. «Lirael, giusto?» domandò con voce tranquilla, sedendosi su una vecchia poltrona accanto al letto, con un'aria gentile. «Comprendiamo che tu possa avere le tue ragioni per essere silenziosa. Ma è importante che questa situazione si risolva. Noi siamo qui per aiutarti, o almeno per capire cosa sta succedendo. Non siamo tuoi nemici.»

Lirael serrò le labbra e distolse lo sguardo, puntandolo sul lieve bagliore dell'ametista. «Allora perché mi trattate come una prigioniera?» domandò, e la sua voce tagliente attraversò la stanza come una lama di ghiaccio.

«Perché ti sei introdotta di notte in casa nostra, » replicò Nassy, fissandola senza battere ciglio, «con due coltelli.» La sua treccia, ormai sciolta e aggrovigliata, cadeva ribelle attorno al suo viso, ma lei non sembrava accorgersene, fiera e immobile.

Lirael guardò Nassy con un lampo di rancore negli occhi, ma non rispose, lasciando che il silenzio parlasse per lei. Kael, nel profondo, sperava che Eldrin, con la sua calma, riuscisse a farle abbassare la guardia.

AB UMBRA LUMEN - Dall'ombra viene la luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora