19. Di ombre vestiti

9 3 0
                                    

Sorpreso di trovare Alaric lì, ad attenderlo, Kael si fermò per un attimo sulla porta.

Il suo amico era un'immagine di rabbia e preoccupazione, con la fronte corrugata e gli occhi scuri che lo scrutavano con intensità. Nella stanza, le pareti blu notte appesantivano l'aria, e il letto ancora in disordine suggeriva il disastro interiore che Kael stava vivendo.

«Avevo bisogno di un po' di tempo per me,» tentò di giustificarsi Kael, ma sapeva che le sue parole suonavano deboli, incapaci di mascherare il senso di colpa che lo attanagliava.

Fece un passo in avanti, la felpa nera che indossava gli stava stretta sulle spalle, mettendo in evidenza i muscoli gonfi, segno di allenamenti incessanti e di un corpo temprato dalle sfide. I capelli neri, resi pesanti dall'umidità della sera, si attaccavano alla fronte, incorniciando un viso che rivelava una bellezza tormentata e gli occhi scuri, carichi di emozioni contrastanti, sembravano scrutare in profondità, guardando dovunque tranne verso l'amico, come se temesse di rivelare troppo

«Non c'è tempo per te in questo momento, Kael!» ribatté Alaric, il suo tono brusco accentuava la tensione nell'aria.

Senza dire nulla Kael si avvicinò alla sedia di legno scuro di fronte alla scrivania, e si sedette. Le gambe di legno, levigate dal tempo, scricchiolarono leggermente sotto il suo peso. Kael cercò di mettere ordine nei suoi pensieri. Ma in quel momento, il richiamo del ciondolo si fece sentire più forte che mai, come una melodia oscura che si insinuava nella sua mente. La tentazione di afferrarlo e lasciarsi cullare dalle ombre che solo lui poteva richiamare era quasi irresistibile.

«Parliamo di oggi pomeriggio!» continuò Alaric, aprendo le braccia in un ampio gesto, come se volesse abbracciare l'intera stanza. Il suo viso ben definito era segnato da linee di tensione, i suoi occhi scuri brillavano di una frustrazione palpabile. «Parliamo di quando hai perso di nuovo il controllo e ti sei messo a terrorizzare un poveretto qualunque.»

Kael strinse i pugni, sentendo il calore della rabbia scorrere nelle sue vene. «Pensala come vuoi,» rispose, cercando di mantenere un tono calmo. «Almeno abbiamo ottenuto nuove informazioni. E il calice.»

Alaric scoppiò a ridere, ma era una risata amara, priva di gioia. «Già, nuove informazioni che avremmo ottenuto anche con metodi meno barbari!» Ogni parola sembrava un colpo diretto, e la tensione tra di loro cresceva come una corda tesa sul punto di spezzarsi.

La stanza, con le sue pareti blu notte, sembrava chiudersi attorno a loro. Kael si alzò, camminando nervosamente su e giù, sentendo il peso dell'energia sottile del ciondolo, che pulsava come un cuore oscuro nel profondo della stanza. 

Per un attimo ebbe paura che anche Alaric potesse sentirlo. Forse avrebbe dovuto dirgli la verità. Mostrargli la lettera. Rivelargli tutti i suoi sospetti sulla profezia. Ma la paura di come Alaric avrebbe reagito lo bloccava. 

In quel momento, Jasper, il corvo, gracchiò due o tre volte dalla sua gabbia. Il suono interruppe i pensieri di Kael e fece voltare entrambi verso l'animale.

«Perché non scrivi ciò che hai scoperto al Palazzo d'Ombra, invece di passeggiare da solo nella notte?» La sua domanda tagliò l'aria come un coltello, e Kael avvertì il peso del giudizio nelle parole dell'amico.

Kael si voltò a guardare Alaric, percependo l'intensità della sua rabbia e il dispiacere. Era evidente che la situazione li stava allontanando; si rese conto che Alaric non lo riconosceva più, e aveva ragione.

«So che sei arrabbiato, Alaric...» iniziò Kael, sperando di far ragionare l'amico. «Se preferisci, puoi scrivere tu il messaggio. Puoi spiegare anche ciò che è successo oggi, se la cosa ti preoccupa. Intendo segnalare anche i miei modi... non convenzionali.»

AB UMBRA LUMEN - Dall'ombra viene la luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora