10. Vivi

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Quando tutti erano ormai nelle loro stanze, Kael sgattaiolò nel corridoio e rapido si mosse verso la camera di Nassy. Si sentiva schiacciato da tutto quello che era successo, e non sapeva cosa aspettarsi dal futuro. L'ombra di una guerra ancora più atroce di quella presente aleggiava su di lui, andando ad aggiungersi al peso del suo segreto, della lettera e delle sue preoccupazioni. Voleva solo vederla, riempire la distanza che si era creata tra di loro. 

Non sapeva se era in lui o se non erano invece le sue ombre a guidarlo, ma aveva un vuoto nel petto che non lo lasciava dormire. 

Arrivò davanti alla porta e bussò, piano ma con decisione e il suono sordo riecheggiò nel silenzio del corridoio. Dopo un attimo che parve un'eternità, la porta si aprì, rivelando Nassy.

Indossava una camicia da notte bianca che lasciava scoperte le gambe affusolate e toniche. Le spalline sottili mettevano in risalto le spalle nude, mentre sul torace la stoffa aderiva perfettamente alle sue forme lasciando ben poco da immaginare. 

Curvò le labbra piene in un'espressione sorpresa «Kael?» chiese, e la sua voce era incerta «Che cos...»

Ma Kael non le lasciò il tempo di finire la frase «Shh», le disse, «Fammi entrare». La afferrò per i fianchi per farla indietreggiare ed entrò nella stanza con un gesto brusco, chiudendosi la porta alle spalle. Non voleva che gli altri li sentissero.

La stanza in cui alloggiava Nassy era opulenta come tutte le altre camere in quella casa. Ma aveva un carattere unico grazie alle pareti di un verde intenso e vibrante, che evocavano la freschezza di un bosco primaverile.

Le lampade di ametista, pendenti dal soffitto con eleganza, diffondevano una luce soffusa che danzava sulle superfici, proiettando riflessi purpurei nei loro sguardi.

Al centro della stanza un grande letto a baldacchino, circondato di drappeggi di seta che ondeggiavano leggermente, invitava al riposo e alla contemplazione, mentre un tappeto morbido attutiva i passi.

Gli scaffali erano adornati da libri rilegati in pelle e oggetti d'arte mentre un grande specchio dorato rifletteva l'immagine di Nassy, amplificandone la bellezza. 

«Nas... » Kael, provò a dire qualcosa, ma le parole gli morirono in gola. Aveva un'aria supplicante, come se stesse per cadere a terra stremato. Avanzò di qualche passo verso di lei, con gli occhi scuri incapaci di smettere di guardarla.

Nassy si allontanò bruscamente incrociando le braccia al petto come a volersi proteggere, i suoi occhi blu piegati in un'espressione diffidente «Che ci fai qui in piena notte, Kael?». Parlò con fermezza, ma nel frattempo anche lei si sentiva vulnerabile davanti al fascino di lui e qualcosa nel suo tono s'incrinò.

I riccioli neri, disordinati e selvaggi, cadevano sulla fronte del ragazzo e ne mettevano in evidenza gli occhi scuri, ora fissi su Nassy con una determinazione che bruciava come fuoco. «Volevo parlarti,» disse passandosi una mano sul viso, «sembri arrabbiata.» La camicia che indossava, ancora quella della sera precedente, era aperta e gli cadeva sui fianchi rivelando il torace scolpito. 

Ogni linea e ogni curva del suo corpo raccontavano la storia di un guerriero, eppure, in quel momento, non si sentiva così forte. «Sei arrabbiata per quello che è successo l'altra notte?» chiese infine con decisione.

«Non è solo questo,» rispose Nassy con la voce ferma. Anche lei ora lo stava squadrando, attraversandogli la pelle con le sue pupille blu. «Sei strano ultimamente e sento che mi stai nascondendo qualcosa.» 

Kael si fermò, indeciso su che cosa dire per tranquillizzarla. Odiava mentirle, ma ormai era diventato più abile a nascondere i suoi segreti che non a rivelarli.

«Mi dispiace per l'altra sera, ultimamente sono così teso... ho l'impressione di avere tra le mani un potere che a tratti diventa più forte di me, e mi travolge.» Lui trattenne il fiato, «Ma odio vederti così distante.» 

Lei sorrise, e la pennellata rossa delle sue labbra si stese sulla sua pelle, «Sei tu che non fai che allontanarmi.»

«Nas,.. » Kael iniziava a pentirsi di essere andato fin là, non si sentiva in alcun modo in grado di reggere questa conversazione né avrebbe voluto mentirle. Ma quella sera aveva provato un bisogno viscerale di non trovarsi più da solo, di cancellare tutti i suoi pensieri perdendosi in qualcos'altro. «Io ti allontano quando siamo in pubblico.» Sospirò. «E nel cercare di mettere un freno a questa cosa, penso anche al tuo bene.»

Lei abbassò lo sguardo, si morse il labbro, poi interrompendo quella stasi andò a sedersi sul letto. Kael lo prese come un invito e la seguì, ma non si avvicinò troppo per non incappare in un altro rifiuto.

«Aleric e Kieran sono degli amici e dei fratelli, sia per me che per te. Anche se loro sapessero o pensassero qualcosa su di noi, che differenza potrebbe fare?» Girò il viso verso di lui, e gli si avvicinò. «Tu non me la racconti giusta, Kael Vespera.»

«Allora pensa pure che sono paranoico.» Kael sorrise, cercando di smorzare quella tensione e guadagnare qualche centimetro verso le labbra di lei. «Ma preferisco non correre rischi.»

Quella sera le ombre e i loro bisbigli erano già in lui, ma sentiva di averne il pieno controllo. In più non voleva preoccuparsi di nulla, intuiva che presto la situazione sarebbe precipitata togliendogli ogni via di fuga. Così, si era concesso di spegnere il cervello, e ancora non sapeva se aveva fatto bene o no, ed era determinato a non chiederselo.

Ormai anche lei lo desiderava, le loro labbra erano a un passo le une dalle altre. Così Kael si sporse fino a rubarle un lungo bacio, facendole scorrere la mano tra i lunghi capelli biondi.

«Non puoi venire qui e fare quello che vuoi,» disse però lei, con una luce di malizia negli occhi, «quando poi davanti agli altri non mi degni di uno sguardo.»

«Ho capito,» Kael sorrise e allungò una mano verso di lei fino a sfiorarle la coscia nuda «quindi sei una che preferisce farlo in pubblico?» 

Lei rise, un momento di distrazione che una guerriera non si dovrebbe permettere. Kael ne approfittò, facendo scorrere la mano fin sotto al vestito di lei e sollevandoglielo sopra la pancia levigata e piatta. Poi si fermò qualche istante per guardarla.

«Non liquidarmi sempre così.» Disse lei, senza però opporsi.

Lui iniziò a baciarle la pancia, fino a dove iniziava la biancheria chiara, poi si fermò e alzò il viso per guardarla negli occhi, risoluto «Lo sai che sono serio. Devi smetterla di cercare le mie attenzioni davanti a tutti.» 

A quel punto la fece alzare per sfilarle la camicia da notte, passando le mani sulla pelle calda della sua schiena. Si baciarono a lungo, mentre l'ametista sul soffitto gettava tutto intorno a loro e sui loro corpi riflessi purpurei. 

Anche lei si protese per sfilargli la camicia e nel fare questo disse, provocandolo con uno sguardo d'intesa «Non avevi detto che non poteva durare per sempre?»

Kael che si stava ancora spogliando, disse, «infatti è così,» e le si riavvicinò, tirandola a sé per interrompere ogni fraintendimento con i baci. Da quel momento desiderava solo smettere di parlare. 

Così, insieme, nudi nel letto mentre si abbracciavano, non erano che un uomo e una donna, niente di più. Non c'erano né divise, né missioni, né guerre che incombevano con i loro tristi presagi, c'erano solo i loro respiri, i loro sguardi opachi a testimoniare che erano ancora su questa terra. Vivi.




AB UMBRA LUMEN - Dall'ombra viene la luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora