Capitolo 28

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UN MESE DOPO.

La cosa più brutta dell'aggirare un problema, dello scappare, è che prima o poi bisogna tornare indietro e affrontare tutto.

Prendendo ad esempio la mia situazione, lasciare per un mese il college, non è stata affatto una buona idea, perché adesso che sto varcando la soglia del cancello nella macchina di papà l'ansia mi sta salendo a palla.

La mia caviglia ci ha impiegato poco più di un mese a ritornare completamente a posto, ma il mio cervello non ha ancora elaborato che tra esattamente dieci minuti rincontrerò tutti, compresi loro due.

In queste ultime due settimane mi sono isolata completamente, da chiunque. Non parlavo, non ascoltavo nessuno, sembravo un'eremita.

Avevo paura e ho paura tutt'ora di riaffrontare tutto, non tanto Mara, Babi e Caro, quanto Stefano.

Gli ho detto cose, prima di andarmene dal college, di cui mi sono pentita esattamente dieci minuti dopo finita la conversazione. Perchè sono una persona debole. Allo stesso modo ho cercato di mettere un freno ai miei sentimenti per Stefano. Non gli ho scritto, non gli ho parlato per telefono, ho evitato casa sua durante le feste. L'unico segno di vita da parte sua sono stati gli auguri di Natale e da parte mia gli auguri di buon anno. Anche quando parlavo con Vale, Tom e le ragazze, cercavo in tutti i modi di non chiedere di lui, ma non parlare di una persona non vuol dire non pensarla.

E' stato più doloroso di quanto mi aspettassi e tuttora non mi sento completamente pronta a rivederlo perchè c'è sempre una parte di me che gli perdonerebbe qualsiasi cosa.

<<Siamo arrivati. >> mi avvisa sorridente mio padre.

Ho passato questo periodo a casa come se fossi in terra straniera. Negli ultimi cinque anni non mi è mai capitato di ammalarmi a tal punto che dovessero mandarmi a casa, quindi erano cinque anni che non passavo più di dieci giorni di fila a casa con la mia famiglia. E' stato strano.

<<Già. >> mi limito a rispondere prima di scendere dalla macchina contando, finalmente, solo sul sostegno delle mie gambe.

Quella struttura enorme mi appare davanti e proprio come la prima volta che l'ho vista, mi dona quel senso di timore, di inquietudine, ma anche di curiosità. C'è sempre stata quella curiosità che, ancora oggi, mi spinge a muovere il primo passo verso l'ingresso.

Comincio a camminare e il rumore dei sassolini sotto le mie scarpe mi riporta alla prima volta che, mano nella mano con Caro, ho attraversato il cortile.

<<Emma, ti porto le valigie in camera?>> mi domanda mio padre, ma io sono troppo occupata ad osservare il residence per degnargli uno sguardo. <<Tranquillo, Daniele, faccio io.>> mi pietrifico.

Ero preparata, più o meno, al fatto che l'avrei rincontrato, ma non al fatto che lui sarebbe stato il primo che avrei rivisto. Non ero preparata per niente. <<Ciao Ste!>> sento il rumore di alcune pacche sulla spalla, segno che si stanno abbracciando.

Lui e mio padre hanno sempre avuto un bel rapporto, proprio come io ce l'ho con il suo. Siamo cresciuti l'uno nella casa e nella famiglia dell'altro e, a parte sua madre che mi odia per motivi a me totalmente oscuri, è un po' come se la mia famiglia avesse adottato lui e la sua me.

Mio padre mi viene vicino e mi saluta, raccomandandosi di non fare comunque troppi sforzi, poi riparte.

Rimaniamo soli, io e lui divisi solo da una mia valigia. Ancora non mi sono girata a guardarlo e non ho intenzione di farlo. Inizio a camminare senza controllare se mi sta seguendo o meno. Mi guardo intorno contenta di aver trovato tutto proprio come l'avevo lasciato. Gli armadietti sono sempre lì, la bacheca degli annunci è sempre pianissima, il brusio dalla mensa arriva forte e chiaro, le scale sono coperte sempre dalla stessa moquette blu. 

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