1. Louisville

9.5K 536 6
                                    

Qualcosa mi picchietta su una spalla.
«Signorina, siamo giunti a destinazione» una voce dolce mi costringe ad aprire gli occhi. Davanti a me c'è una hostess tutta truccata coi capelli neri legati in uno chignon e gli occhi azzurri. Odio gli occhi azzurri. Mi fanno venire in mente troppi ricordi che invece voglio solo soffocare.
Mi tiro su ad un tratto ansiosa e scendo velocemente dall'aereo, ignorando Miss Sorriso.
Trotterello nell'aeroporto per un po'. Recupero la valigia, compro qualcosa da mangiare e poi aspetto un taxi.
Dove sorge l'aeroporto non c'è praticamente nulla, solo strade che si diramano verso la città. Mi sembra di guardarmi dentro, è tutto così... vuoto.
Dopo minuti che mi sembrano ore, un taxi si ferma e salgo, indicando al tassista l'indirizzo del palazzo dove ho preso un appartamento, che si trova all'interno del campus. Per fortuna ho trovato uno degli ultimi posti rimasti.
Scendo dal taxi e pago il ragazzo afroamericano con gli occhi neri che mi ha accompagnata. Mi guardo intorno ed un vago senso di ansia mi riaffiora alla gola, assieme ad un'irrefrenabile eccitazione ed un forte senso di libertà. Mi viene di nuovo da piangere, ma strizzo gli occhi e percorro la via cementata fino al palazzo nel quale risiedo. Sorge in mezzo ad un prato ben curato, vicino alla facoltà che dovrò studiare: medicina.
È tutto programmato, tutto molto comodo. Devo evitare che il mio carattere prenda il possesso della mia nuova vita.
In Australia ero sempre la prima a combinare casini, fare scherzi e cacciarmi nei guai. Volevo che le persone guardassero i disastri che combinavo, e non la mia vita incasinata; ma ora ho la possibilità di cominciare una nuova vita, una nuova vita in cui devo evitare di dare nell'occhio ed attirare l'attenzione.
Cerco per un po' di liberare la mente e di limitarmi semplicemente a guardare ciò che mi circonda.
Quando entro nel palazzo, una ragazza con i capelli castani e gli occhi grigi mi blocca. «Scusami, saresti?» chiede con aria scocciata ed un forte accento britannico.
«Uhm... Liz Jones» dico dubbiosa.
«Jones... Jones... Jones...» mormora concentrata sfogliando delle cartelline. «Ah! Eccoti: Elizabeth Amber Jones, dall'Australia, stanza ventotto» dice sempre con lo stesso tono dandomi le chiavi.
Le osservo. «Solo Liz» dico stringendole e cercando di placare i battiti del cuore.
«Come?» chiede ancora più scocciata.
«Non chiamarmi... Senti, sono solo Liz» dico brusca. Chiudo gli occhi e mi impongo di darmi una calmata. Mi sono ripromessa di non dare nell'occhio.
«Come ti pare» sbuffa, minimizzando con un gesto della mano.
Sospiro e mi avvio verso le scale, trascinandomi dietro la pesante valigia.
Non appena arrivo davanti alla porta in legno, sorrido infilando la chiave nella toppa ed entro.
Accendo le luci ed appoggio in terra la valigia, stiracchiandomi. Finalmente.
L'appartamento non è particolarmente grande. Ci sta una salone - dove sono io - in cui ci sono la sala da pranzo ed il salotto, divisa da un séparé c'è la cucina, infine, sulla destra, c'è la mia camera da letto e vicino il bagno.
Non è nemmeno un quarto della mia vecchia casa, ma va bene così.
Passo il pomeriggio a sistemare le mie cose ed a riempire armadi, scaffali e ripiani.
Non appena ho svuotato la valigia, afferro la borsa ed esco per fare la spesa, salutando la mia allegra portinaia.
Il vento mi fa ondeggiare i capelli, a tratti sento anche freddo, anche se siamo ai primi di settembre.
Persa nei miei pensieri, non mi accorgo dell'ostacolo che intralcia il mio cammino, e cado in avanti. Prima che sbatta vistosamente a terra, due braccia muscolose mi afferrano per la vita.
«Scusa, non ti avevo vista, tutto okay?» chiede una voce preoccupata.
Mi scosto i capelli dal viso con una mano e mi trovo a tu per tu con gli occhi verdi più belli al mondo.
«Ehm... sì... cioè, scusa, sono io ad essere inciampata, mi... mi dispiace» balbetto sentendo il sangue affluire alle guance.
Occhi verdi ride e mi rendo conto che mi sta ancora tenendo per i fianchi e che i nostri volti sono a pochi centimetri di distanza. Prima che possa fermarlo il panico mi cresce in petto e spazza via ogni altra sensazione.
Mi tiro indietro incrociando le braccia.
«Stai bene?» chiede di nuovo il ragazzo avvicinandosi di un passo.
«Io... sì... scusami... grazie... ciao» ansimo e me ne vado a passo svelto, sentendo il panico allentare la morsa sul mio stomaco. La sua presenza così vicina mi ha riportato alla mente le mani di mio fratello, il suo respiro caldo... Rabbrividisco e cerco di non pensarci.
A quanto pare passare inosservata non fa per me.

***

Poso le borse della spesa sul tavolo in cucina ed inizio a sistemare quello che ho comprato.
Per tutta la durata della spesa un paio di occhi verdi hanno torturato il mio cervello, ed insieme a loro il panico misto ad imbarazzo per la figura disgustosa che avevo fatto.
Scuoto la testa e sospiro, rassegnandomi alla mia mancanza di eleganza. Mi ripeto l'ennesima volta che ciò che devo fare non è attirare l'attenzione sul mio combinare casini per distoglierla da me, ma semplicemente evitare di attirarla.
Ripetendomi il mio nuovo mantra consumo un pasto leggero ed ascolto ogni rumore attorno a me. Dei tacchi che percorrono il parquet al piano superiore, lo zampettare di un cane nella stanza accanto, il rumore del frigorifero, il ticchettio dell'orologio...
Terminata la mia breve cena, mi sposto sul divano, godendomi la mia nuova stanza e la mia nuova quotidianità. Niente risate sguaiate davanti alle partite di football, niente bottiglie di whisky che ricoprono il pavimento, niente tentativi di stupro... È tutto così tranquillo, tranquillo come l'ho sempre desiderato.
Accendo la televisione e guardo per l'ennesima volta Titanic. Magari tutti fossero come Leonardo DiCaprio...
A metà del film mi chiedo cosa faranno mio padre e mio fratello quando scopriranno che sono scappata. Probabilmente papà si produrrà in una delle sue risate sguaiate e sorseggerà whisky fino a svenire, dicendo che "la sua polpettina è davvero una gran burlona", e mio fratello probabilmente darà di matto, proverà a cercarmi, ma non mi troverà. Mai più.
Davanti alla televisione stringo la tazza di tè che mi sono preparata e mi prometto che non gli permetterò mai più di farmi del male, né a lui né a nessun altro.
Il film finisce, mi alzo e vado a letto, anche se è abbastanza presto, dopo il viaggio e tutte le emozioni che ho provato sono stanca morta. Non ho nemmeno il tempo di rivivere la giornata che cado in un sonno profondo, accompagnata da stupendi occhi verdi.

FriendsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora