Poltrisco beatamente contro il petto di Drew, che con un braccio mi circonda la vita. Queste dormite senza incubi stanno seriamente iniziando a piacermi. Mi sposto un po' e mi sistemo meglio contro di lui. Le nostre gambe sono intrecciate assieme alle coperte. Provo a riaddormentarmi per gustare ancora qualche minuto questa sensazione così pacifica, ma ormai sono sveglia. Mi giro sulla schiena e stiro le braccia, guardando il soffitto. Drew mugugna qualcosa, poi tasta il letto attorno a sé fino a poggiare la mano sulla mia pancia, e si sposta contro di me. Sorrido e gli carezzo i capelli.
Questa era decisamente l'ultima delle ipotesi nella mia testa, ma non cambierei proprio niente. Drew è tutto ciò che voglio, non mi serve altro per essere felice. Ci ho messo tanto a capirlo, ma alla fine meglio tardi che mai. E se pensare che lo conosco solo da un mese prima mi spaventava, adesso lo trovo stimolante, perché penso a tutte le cose che devo conoscere ancora di lui e a tutte le esperienze che potremo condividere.
Ieri sera è stato fantastico. Siamo rimasti in bagno per almeno venti minuti, lui con la testa poggiata contro la mia spalla e io che lo abbracciavo, trovando finalmente pace nel nostro dolore personale che ormai è diventato condiviso, poi Drew ha aspettato che mi facessi la doccia e la sera mi ha portata addirittura a cena fuori. O forse sono più io che ho portato lui, dato che conosco questa città molto meglio. Abbiamo parlato, mi ha raccontato di come stanno le cose con Jace, dell'intimità che sembra aver rapidamente riconquistato con Annabelle. «Le farà bene avere qualcuno che la ami accanto» aveva detto Drew, convinto, e io ero d'accordo. Ho sperato che si mettessero insieme da quando sono arrivata a Louisville, e non intendo smettere di farlo adesso. Poi abbiamo parlato della mia lettera, di come lui si era sentito leggendola e io scrivendola, ma non abbiamo mai toccato l'argomento "futuro". Non so cosa farò, da questo punto in poi. Ora che sono veramente libera non ho ragione per scappare ancora, potrei anche rimanere a Sydney, ma so che Drew deve tornare a Louisville per laurearsi, oltretutto qui non avrebbe alcun tipo di appoggio e, fondamentalmente, neanche io. Senza un lavoro e senza soldi andremmo poco lontano. Gli unici soldi che mi rimangono sono quelli che ho messo da parte per l'università a Louisville, ma anche ritornando lì non avrei un posto in cui stare, dato che ho comprato il biglietto aereo per Sydney non posso pagare il dormitorio per i prossimi sei mesi. È un bel problema. Mi strofino il volto e scuoto la testa, poi scanso delicatamente il braccio di Drew e mi alzo. Vado in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, che bevo avidamente.
«Cavolo, Liz, da quant'è che non tocchi dell'acqua?» sobbalzo a sentire la voce di Annabelle e mi porto una mano al cuore. È in pigiama, seduta sul divano che si abbraccia le ginocchia. Detesto il fatto che sembri sempre uscita da una rivista, anche senza trucco e con uno stupido pigiama addosso.
«E tu cosa ci fai sveglia?» guardo l'orologio sulla parete e mi rendo conto che sono le sette di mattina. Non è nemmeno tanto presto come pensavo.
«Non avevo più sonno» scrolla le spalle. Mi avvicino e mi metto seduta di fianco a lei, porgendole il bicchiere d'acqua. Annabelle rifiuta educatamente.
«Sei sicura che non sia per Jace?» A sentire quel nome Annabelle, per la prima volta da quando la conosco – ma oserei dire nella sua intera vita –, mostra dei leggeri ma evidenti segni di rossore sulle guance. Sghignazzo coprendomi la bocca con la mano per non svegliare i ragazzi.
«Smettila, Liz» borbotta, e io cerco di fermarmi con scarsi risultati.
«Ho notato che ti carezzi spesso la pancia» le faccio presente, dopo essermi accorta che lo sta facendo anche in questo momento.
«Non...» inizia a replicare, poi abbassa lo sguardo verso la sua mano e si rende conto che ciò che dico è vero. Sospira.
«Va tutto bene?»
«Ho deciso di tenerlo.» E me lo dice così? È così che spara la bomba?
«Ma... cosa è cambiato? Non fraintendermi, sono felice per te ma... wow.»
Annabelle scuote la testa. «Non lo so... ho iniziato a pensare al fatto che è una vita, e che è qualcosa che io ho creato, capisci? Sta crescendo dentro di me e... sarebbe come dare via un pezzo di me stessa, non ci riesco» confessa, mordendosi le labbra. In realtà non riesco a comprendere a fondo la situazione, perché non so cosa si provi a essere incinta, ma so di sicuro cosa si prova a perdere qualcosa che si considera parte di sé. Le passo un braccio dietro le spalle e la tiro a me.
«Qualsiasi sarà la tua scelta... ti supporteremo sempre, promesso.»
«Oltretutto...» aggiunge dopo qualche secondo di silenzio, a bassa voce. «So cosa si prova a crescere senza conoscere i propri genitori, i miei non mi hanno mai dedicato del tempo effettivo, e poi sono morti... non voglio che qualcun altro attraversi ciò che ho passato io, che possa pensare anche solo per un minuto di essere una delusione e che sarebbe stato meglio se non fosse mai nato, non mio figlio.» Scuote la testa convinta, e io rimango colpita dalle sue parole. La prima volta che ho visto Annabelle – e anche per molto altro tempo – non la credevo capace di una maturità del genere, invece è forse quella più adulta fra tutti noi.
«Ehi, Annabelle, ti ricordi cosa ci univa?» le chiedo con un sorriso, lei mi guarda prima confusa, poi risponde.
«Il dolore? La paura?»
«Esatto, ma ora non più. Ora ciò che ci unisce sono le cicatrici, perché abbiamo vinto la guerra. Ti auguro tutta la felicità del mondo, a te a questo bambino» Annabelle mi getta le braccia al collo e mi stringe a sé.
«Ti detesto, Liz, perché sai sempre cosa dire e come far sentire meglio gli altri» borbotta contro la mia spalla. Rido.
«Dovresti esserne contenta» le faccio presente, ma lei scuote la testa e si tira indietro, sistemandosi i capelli.
«Ancora non mi hai detto perché sei qui» le ricordo, facendole intendere che non mi sono bevuta la storia del "non ho sonno". Lei alza gli occhi al cielo e si mette a braccia conserte, ma alla fine si arrende e lo ammette.
«Non mi sento a mio agio con Jace, mi manda in agitazione e non ho più il controllo, e io detesto non avere la situazione sotto controllo.»
«Lo sapevo» dico sicura, assumendo un'espressione vittoriosa, e Annabelle mi tira una gomitata.
«Ahi! Ti ricordo dei miei lividi freschi» scherzo, ma lei torna seria.
«Vuoi parlarne, Liz? Tuo fratello ti ha quasi uccisa, e non vorrei che non ti sfogassi per paura del nostro giudizio» mi incoraggia, e un po' sento di doverle dare ragione. Non mi va di parlare della violenza, dell'abuso, ma lei con me l'ha fatto, si è aperta, e credo di doverglielo.
«È cominciato tutto dopo che mia madre è morta, avevo undici anni... in realtà la violenza è cominciata quando ne avevo tredici, ma i due anni fra la sua morte e l'inizio degli abusi sono stati forse il momento più duro» inizio, e lei mi osserva con attenzione. «Mio padre ha lasciato il lavoro per dedicarsi a tempo pieno all'alcol, e mio fratello... ha iniziato a bere, fumare e fare uso di droga, aveva a malapena quattordici anni, capisci? È stato davvero struggente per me vederlo ridursi in quelle condizioni, ma non avevo idea di come aiutarlo, finché un giorno non è accaduto ciò che mi ha spezzata per sempre... Sam, il bambino che mi faceva un'infinità di disegni, che rinunciava sempre a metà del suo dolce per lasciarlo a me... ha iniziato ad abusare di me. Pensavo che la prima volta sarebbe stata l'unica, perché era ubriaco fradicio, pensavo che si sarebbe mortificato e scusato, pensavo che avremmo superato tutto quello insieme... Ero disposta a perdonargli una cosa così abominevole in nome dell'affetto che provavo per lui, ma non è stato così. Non si è mai pentito o scusato per quello che ha fatto. Sam mi ha distrutta, ha distrutto tutta la mia adolescenza, perché l'ho passata a odiarmi e a invidiare tutte le altre ragazze con le loro famiglie perfette e i loro visetti intatti. Io sembravo già vissuta a quattordici anni, e credo sia la cosa più brutta da vedere sulla faccia di un ragazzino, davvero. Quando manca quell'innocenza, quella purezza tipica e caratteristica di quelli che sono poco più che bambini... sai che c'è qualcosa che non va, qualcosa di tremendamente sbagliato, e quella cosa nel mio caso era mio fratello.»
Faccio una pausa, è sempre difficile parlarne, ma adesso non mi fa più venire quella stretta allo stomaco che invece era tipica quando pensavo o parlavo di lui. Annabelle non dice nulla, ma mi rendo conto della comprensione nel suo sguardo, e questo mi basta per continuare. «Eppure ho sempre continuato a volergli bene, a sperare che un giorno tutta quella merda avrebbe avuto una fine... non è stato così, e quando mi sono resa conto che ero praticamente morta dentro, ho deciso di andarmene, di fuggire. L'ho sempre pensato, ma erano solo quei momenti che abbiamo tutti in cui ti dici: "basta, voglio andarmene"; quando hanno smesso di essere momenti e sono diventati la mia realtà quotidiana, non appena ho iniziato davvero a crederci, ho fatto le valigie e me ne sono andata, perché ho capito che più di così non avrei resistito. E anche se ora ho qualche livido in più, sono felice di averlo fatto, perché se non me ne fossi andata ho paura che oggi non sarei qui, ed è la prima volta che ho paura di non poter vivere in tutta la mia vita. Questo è solo merito vostro, ragazzi, e ve lo devo, mi avete aiutata in un modo che non credevo possibile... anche se all'inizio non ti sopportavo, conoscere te, Annabelle, è stata davvero una delle più grandi fortune della mia vita.» Faccio un profondo sospiro non appena finisco il racconto e sorrido. Non mi sembra di aver fatto altro nelle ultime otto ore. Sono davvero felice, come non lo sono mai stata in questi ultimi sette anni.
«Wow, Liz» sussurra, poi mi stringe la mano. «Anche tu puoi contare su di me, sempre, te lo prometto, questa volta senza stupide scommesse.»
«Senza stupide scommesse» suggello questa promessa silenziosa stringendole la mano a mia volta. «Voglio fare una cosa, oggi che la mia vita riparte da zero.»
«Dimmi pure» i suoi occhi mi scrutano curiosi.
«Voglio andare a casa mia, da mio padre... è tempo di aiutare anche lui a superare questa perdita» dico convinta. Non posso più sopportare che stia tutto il giorno al bar a bere, ora che ho avuto la mia occasione per liberarmi dal dolore devo fare quello che mia madre avrebbe voluto: aiutare gli altri a farlo, in primis l'uomo più importante della mia vita, che era anche quello della sua. Glielo devo: a mia madre, a mio padre e a me stessa.
«D'accordo, ne parleremo coi ragazzi e lo faremo insieme, non sei più sola» sorride, e sono felice di constatare che le riesca con più facilità.
STAI LEGGENDO
Friends
RomanceLiz Jones si è appena trasferita dalla popolosa Sydney, in Australia, alla tranquilla Louisville, nel Kentucky, America. Più che essersi trasferita, è scappata da un passato di violenze e alcolismo. Non le piace farsi mettere i piedi in testa da nes...