37. Capitolo Speciale || Complotto

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Drew
Apro lentamente gli occhi, a giudicare dal buio che regna nella stanza mi sono svegliato prima dell'alba, come sempre da ormai cinque anni a questa parte. Quando io e Fable dormivamo l'uno a casa dell'altra ci svegliavamo sempre prima dell'alba, uscivamo sul balcone e osservavamo Chicago svegliarsi sotto i nostri occhi e il sole che faceva brillare i grattacieli. Ho visto così tante albe con lei. Rosa, blu, gialle, arancioni, azzurre... Quando è morta, ecco, da quel momento ho smesso di guardare l'alba. Mi sveglio sempre prima di essa, è come un orologio biologico, meccanicamente mi alzo, mi vesto, mi lavo i denti e aspetto che abbia finito di albeggiare per tirare le tende e lasciare che la luce entri. È una punizione. Mi vieto severamente di concedermi di assaporare quei colori senza lei al mio fianco, mi sembra una sorta di tradimento.
Da quando c'è Liz, ho iniziato ad amare i tramonti. Ne ho visti così tanti con lei: al Luna Park, nel giardino di casa di Annabelle, al campus dell'università quando abbiamo fatto il progetto di astronomia, in riva al lago... Mi fa sentire bene, mi dona un po' di sollievo, il peso di ciò che ho fatto si solleva nel cielo assieme al sole che disegna un arco sfumato dentro esso, poi scompare con lui dietro le montagne, le case. Il problema sta sempre nel mattino seguente, quando mi sveglio e mi ricordo che quel peso non scomparirà mai, perché non mi perdonerò mai. E allora mi vieto di vedere l'alba, perché non me lo merito. Perché Fable non è qui a indicarmi i suoi colori preferiti e il punto esatto in cui il sole sorgerà.
Come sempre allora anche oggi mi alzo, provando a soffocare il consueto peso prima che lui soffochi me. Il braccio di Liz blocca il mio petto contro il materasso, delicatamente lo sollevo e lo poggio accanto al suo viso angelico. Da sveglia è bellissima, con gli occhi color miele che vagano curiosi da una parte all'altra, le labbra spesso arricciate in un'espressione pensosa e i lineamenti piegati in un'espressione acuta. Mentre dorme però sembra così pacifica che spesso ho pensato che fosse un angelo mandato per illuminare tutto ciò che la circonda. Il volto è disteso, le labbra semiaperte e le ciglia sfiorano dolcemente le guance. Mi infiamma il petto guardarla, sono arrivato al punto di non sapere con precisione cosa sia lei per me. So solo che voglio proteggerla e impedire che qualsiasi cosa la ferisca, voglio vederla ridere ed essere felice, ne ha passate tante per la sua età. Proprio come Fable prima di lei. Non posso permettere che anche la luce negli occhi di Liz si spenga.
Quando mi desto dal mio viaggio mentale, mi accorgo di essere in piedi. Meccanicamente afferro la felpa abbandonata ai piedi del letto e me la infilo. Le temperature sono calate precipitosamente in soli due giorni; quando realizzo che per l'appunto la vendetta durante la festa in piscina è stata solo tre giorni fa, sgrano gli occhi sorpreso. In settantadue ore sono successe talmente tante cose che il tempo mi sembra essersi fermato per permettergli di accadere, perché è davvero poco. Inoltre mi sembra che siano passati molti più giorni, invece il mondo mi è crollato addosso ben due volte – quando Liz mi ha confessato il suo segreto e quando Dylan Emerson stava provando a violentarla – e ho perso e ritrovato Liz altrettante in soli tre giorni. La osservo un'ultima volta. Cosa siamo ora? Non lo so di preciso.
Non voglio lasciarla qui, da sola, dopo quello che è successo ieri sera, ma devo assolutamente andare all'università a dare un esame, altrimenti rischierò di perdere il treno verso la laurea a settembre. Scrivo velocemente un bigliettino e lo lascio sul suo comodino, dove la avviso che sono al campus. Teoricamente dovremmo avere lo stesso identico orario, ma pochi giorni fa il mio è cambiato completamente perché due professori se ne sono andati e hanno dovuto tappare i buchi in un modo o nell'altro. In ogni caso, non credo che Liz abbia voglia di andare a seguire le lezioni, quindi la lascio dormire.
Faccio una sosta rapida in bagno per lavarmi, torno in camera e le lascio un ultimo bacio sulla fronte, poi scendo al piano inferiore, indeciso se fare colazione o meno, dopotutto il mio esame è alle nove e sono solo le sette e tre quarti.
Annabelle è poggiata al divano nel salotto e osserva silenziosa ogni mia mossa. Mi torna alla mente la discussione di ieri riguardo la denuncia o meno contro Dylan. Io ero per il sì, lei per il no, alla fine abbiamo deciso di lasciar scegliere Liz. È sempre brutto litigare con lei, è la persona a cui tengo di più al mondo, se non ci fosse lei probabilmente sarei totalmente a pezzi, ci siamo salvati a vicenda un'infinità di volte.
Sorrido e Annabelle ricambia debolmente. Se non la conoscessi come le mie tasche direi che va tutto bene, ma ormai so leggere nei suoi occhi glaciali.
«Che c'è che non va? Stai bene?» so che quello di ieri è stato un forte shock anche per lei, e so che non lo ammetterà mai, ma su questo non mi mentirà, non l'ha mai fatto.
«Diciamo di sì» risponde piano, poi abbandona la posizione contro il divano e prende la borsa. «Andiamo.»
Sorpreso la osservo. «In realtà speravo rimanessi qui con Liz, non vorrei che avesse bisogno di qualcuno e non ci sia nessuno.»
«Credi che non ci abbia pensato?» mi domanda, vagamente piccata. «Io ho solo due lezioni stamattina, una adesso e una alle nove, alle nove e mezza sarò di nuovo qui.»
La abbraccio di slancio, sorpreso da quanto riesca a capirmi ancor prima che io apra bocca. «Grazie mille, Annie.»
La sento alzare gli occhi al cielo. «Quante volte ti ho detto di non chiamarmi Annie?»
Sorrido sornione. «Abbastanza.»
«Eppure continui a farlo» risponde canticchiando e allungando la "o" finale. Rido e lei mi segue mentre la porta si chiude alle nostre spalle.

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