36. Fable

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«Va tutto bene, Liz, va tutto bene.» Sono cinque minuti che Drew ripete queste parole, le braccia strette attorno alla mia vita e la mia testa nascosta contro la sua spalla. Non ho smesso di tremare neanche un secondo, nemmeno la sua vicinanza riesce a cancellare la pressione delle mani di Dylan sulla mia pelle. Quando penso a lui alzo di scatto la testa, la sua figura è distesa immobile sull'asfalto, è buio e non si vede niente, ma mi sembra ci sia parecchio sangue.
«Non guardarlo» mi dice Drew che ha seguito il mio sguardo.
«Nella sua tasca ci sono le chiavi della macchina» dico piano, con voce neutra. Annabelle è ancora intrappolata. Drew mi lascia andare con sguardo timoroso, come se avesse paura che senza la sua stretta possa crollare in mille pezzi, e un po' lo temo anch'io.
Torna poco dopo con le chiavi fra le dita, e sblocca l'auto. Annabelle spalanca la portiera e corre verso di me, saltandomi al collo. «Dio, Liz, stai bene? Mi dispiace così tanto, è tutta colpa mia.»
Scuoto la testa, a dirle che lei non c'entra niente, e ricambio la sua stretta.
«Grazie a Dio sei arrivato in tempo» aggiunge, riferendosi a Drew, e a questo punto finalmente gli faccio la domanda che avrei dovuto porgli subito: «Che ci fai qui?»
Drew fa un piccolo sorriso, poi prende a carezzarmi i capelli.
«Ero al Luna Park, quando Annabelle mi ha chiamato stavo facendo una passeggiata lungo la spiaggia per sgranchire le gambe e schiarire le idee, ero ad un chilometro circa da qui, e sono venuto di corsa.»
«Eri da solo?» chiedo, preoccupata che sarebbe potuto succedergli qualcosa.
Drew sembra titubante, e stringe leggermente le labbra prima di rispondere. «No, ero con Cassie.»
La fitta bruciante che mi logora lo stomaco mi fa sentire uno schifo, non posso farne a meno, ma per fortuna c'è ancora un po' di umanità in me. «L'hai scaricata lì?»
«Beh... credo sia tornata a casa da sola. In ogni caso non è questo l'importante, l'importante è che voi stiate bene.»
Mi abbandono un po' di più al suo tocco delicato sui miei capelli, e anche Annabelle sembra meno corrucciata, finché non ci riporta tutti alla realtà: «Che facciamo con Dylan?»
«Lascialo marcire lì» scatta Drew, la voce più simile a un ringhio.
«Non possiamo» intervengo io, anche se l'idea non mi dispiacerebbe. Mi passo le dita sul labbro inferiore e sento la consistenza del sangue secco. Stringo lievemente le labbra, ignorando il dolore, e reprimo un conato di vomito. Ho in bocca il sapore del sangue misto a quello del whisky, e vorrei solo cancellarlo per sempre. Troppi ricordi familiari che mi fanno stringere lo stomaco e tremare le gambe.
«Dovremmo chiamare un'ambulanza?» chiede incerta Annabelle. «Ci accuseranno di omicidio.»
«Cristo, Annabelle! Non è morto, datti una calmata» sbotta Drew. I muscoli del viso di lei si irrigidiscono un po'.
«Diamoci tutti una calmata» dico io, vedendo che entrambi si stanno riscaldando. Un flebile colpo di tosse proviene dall'asfalto, e tutti e tre ci giriamo di scatto. Dylan si sta muovendo lentamente, finché non si ritrova in piedi davanti a noi. Mi sento mancare, e non solo per ciò che mi ha fatto pochi minuti prima. Il suo viso è una maschera di sangue, i capelli da biondi sono diventati rossi alla radice, il colore del viso non è neanche più distinguibile, gli occhi sono gonfi e il naso è palesemente rotto. Con la coda dell'occhio vedo le mani di Drew che fremono, probabilmente vorrebbe picchiarlo ancora, ma a quel punto saremmo davvero accusati di omicidio. Faccio passare le dita fra le sue, e sembra calmarsi un po', anche se non ha mai distolto lo sguardo dal volto tumefatto di Dylan.
«È stato solo un assaggio, Emerton. Vedi di sparire, o ti assicuro che la prossima volta finirai di nuovo a faccia in giù sul terreno, ma sotto tre metri di terra» dice Drew a denti stretti, e quest'immagine mi fa rabbrividire.
Dylan ride piano, anche se quelli che gli escono sembrano più colpi di tosse che risate. Non ha smesso per un secondo di pulirsi alla bell'e meglio il sangue dal viso, e i suoi occhi sono di nuovo distinguibili. Mi fanno venire un brivido, quello splendido azzurro chiarissimo ora sembra un bianco opaco, minaccioso, gelido.
«È una minaccia, Anderson?» chiede con un ghigno, e mi domando dove trovi il sarcasmo. Ogni parola che dice mi fa venire i brividi.
«È una promessa» decreta duro Drew, Dylan lo osserva un altro po', poi si allontana nel buio del parcheggio, forse per tornare alla festa, forse per sparire per sempre.
Restiamo tutti in silenzio per un paio di secondi, poi Annabelle fa un sospiro e con la sua solita eleganza gira sui tacchi e va verso la macchina. Sembra sempre così calma e ragionevole ma lo so che è spaventata e scioccata almeno quanto me. Io e Drew continuiamo a fissare il punto dove prima era Dylan, poi lui alza lo sguardo su di me. «Sei davvero sicura di stare bene?»
Alzo le spalle e le lascio ricadere pesantemente. Non sto bene, per niente. Mi sento uno schifo.
«Andiamo a casa, okay?»
«Okay» rispondo piano, e lascio che Drew mi prenda la mano e mi porti in macchina. Ci sediamo davanti, Annabelle è dietro e guarda pensierosa fuori dal finestrino, le braccia strette attorno alla pancia. Deglutisco al pensiero che Drew non sa niente della gravidanza, e non ho idea di come potrebbe prenderla, poi se sapesse che è colpa di Gale...
Sfioro con le dita le linee rosse che Dylan mi ha lasciato impresse nella pelle attorno ai polsi e chiudo gli occhi, confortata dal silenzio e dal buio che regna nell'abitacolo. All'improvviso sento il bisogno di non avere niente che mi faccia pressione sul collo, quindi con un gesto secco lego i capelli in uno chignon. Poggio la testa contro il finestrino leggermente aperto, con l'aria fresca della notte che mi riempie le narici e allevia leggermente il peso enorme che incombe sul mio petto. Non voglio pensare a nessuna brutta eventualità, non voglio pensare a ciò che è appena successo o a ciò che succederà, voglio solo chiudere gli occhi e, dentro di me, sperare di non riaprirli mai più.

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