«Okay, piano...» Jace mi aiuta a salire le scale con un braccio attorno alla mia vita ed uno attorno alla mia borsa e alle mie scarpe. Non dovevo bere così tanto. Dopo l'affronto di Annabelle ero infuriata e mi ero gettata di nuovo nell'alcol, così ora a malapena mi reggo in piedi.
«Tu non toccherai mai più una goccia di alcol» sentenzia Jace non appena mi deposita sul mio letto, dopo non poche difficoltà per aprire la porta del mio appartamento. Due ubriachi non sono una gran bella squadra.
«Oh, sta' zitto» biascico massaggiandomi le tempie.
«Mi stendo cinque minuti» mi comunica Jace un secondo prima di buttarsi a peso morto sul letto, rischiando di farmi rigettare tutti gli shot. Precisamente cinque minuti dopo... russa come un orso.
Sbuffo e mi giro dall'altra parte, ma nonostante sia terribilmente stanca il russare di Jace mi impedisce di prendere sonno. Frustrata mi premo il cuscino sul viso, ma serve a ben poco. Sconfitta, mi alzo, guardo Jace e gli lancio tutte le maledizioni che mi vengono in mente. Afferro il cuscino e mi tuffo sul divano; ancora prima di sistemarlo crollo in un sonno profondo, raramente senza incubi.***
Qualcosa di fisso ed insistente mi martella il volto. Sbatto le palpebre più volte e mi copro il viso con una mano per ripararmi dal persistente sole mattutino.
Sbadiglio e constato di avere un alito che farebbe invidia ai gas tossici delle emissioni nucleari. Non appena mi alzo mi rimetto subito seduta a causa di un capogiro. Mio dio, non berrò mai più. Faccio un secondo tentativo e lentamente mi dirigo in bagno, accompagnata da un mal di testa martellante. Mi spoglio gettando il vestito nel cesto della biancheria sporca e mi lascio cullare dal getto della doccia, sperando che lavi via la puzza di vodka e la mia vergogna. Esco dalla doccia come nuova e mi avvolgo in un asciugamano e con un altro mi friziono i capelli. Il mal di testa è un po' più lieve. Meno male che è sabato.
Entro soprappensiero nella mia stanza e caccio un urlo. «Porca puttana!»
«Che cazzo succede?!» scatta Jace rotolando sul letto e cadendo a terra.
«Mi hai fottutamente spaventata!» strepito lanciandogli addosso una delle sue scarpe. Mi guarda frastornato per un secondo parando il colpo con un'agilità di cui io non sono capace mai, figuriamoci la mattina presto.
«Sei tu che sei piombata nella stanza mentre dormivo!»
«Si dà il caso che sia la mia stanza!» puntualizzo mentre lui si rialza e si stira.
«Ti dispiace se mi faccio una doccia?»
«Sei bipolare» dico fissandolo sconcertata e gli indico il bagno.
Lui mi passa accanto in silenzio, poi lo sento dire in fondo al corridoio: «E copriti, scostumata!»
Scatto fino alla porta del bagno, che lui chiude con una risata terribilmente contagiosa. «Io ti uccido, Dallas!»
«Non ci riusciresti nemmeno per sbaglio» mi sfotte e sento l'acqua scorrere.
«Ah, vuoi vedere?» chiedo con aria di sfida.
«Sono nudo, se entrassi ora vedresti ben altre cose, e vorresti tutt'altro che uccidermi, bambola» vaneggia.
«Pervertito!» esclamo dando una manata alla porta e torno in camera con un gran sorriso divertito. Jace è la persona migliore con cui potessi stringere amicizia, il mio unico colpo di fortuna da quando sono a Louisville. Mi torna in mente Annabelle, poi la scommessa e giro di scatto la testa verso l'orologio: le nove e mezza! Mi catapulto verso l'armadio ed inizio a frugare alla ricerca di qualcosa da mettere. Alla fine ne esco con una maglietta a maniche lunghe con la scritta I Am Too Cool For You – abbastanza ridicola, ci terrei a precisare – ed un paio di vecchi jeans scoloriti e pieni di strappi, ma posso fare finta che vadano di moda.
Mi precipito in bagno e busso con la forza di uno scaricatore di porto, mentre con l'altra mano cerco di allacciare i pantaloni. Jace apre la porta con aria scocciata, ma non appena mi nota mi fissa divertito. «Che succede?»
«Ho appuntamento con Annabelle fra mezz'ora, datti una mossa!»
«E chi te l'ha detto che vengo con te?» resto spiazzata. Effettivamente non ha tutti i torti; arrossisco e distolgo lo sguardo.
«Sto scherzando Liz, dovevi vedere la tua faccia!» scoppia in una risata fragorosa ed io gli tiro un calcio su uno stinco. «Sei una persona schifosa!» sbraito correndo in salotto ed afferrando il primo giubbotto che mi capita a tiro. Quando mi accorgo che è quello che avevo usato alla festa e che è macchiato di vodka alla ciliegia vorrei tirare una testata contro il muro. Nel frattempo vedo Jace passare in corridoio fischiettando seminudo.
«Ti vuoi sbrigare?» piagnucolo senza neppure la forza di urlare, e mi viene in mente una frase che ho letto da qualche parte un po' di tempo fa: A volte mi sento come se la vita volesse vedere fino a che punto resisto. Ecco, è la mia situazione attuale.
«Sono pronto» comunica Jace comparendo in salotto bello come un angelo: indossa un maglione bianco ed un paio di jeans neri aderenti.
«Ma dove li tenevi i vestiti?» chiedo corrucciata.
«In macchina. Sono andato a prenderli mentre tu correvi da una parte all'altra» mi aggiorna con un'alzata di spalle. «Ho fame, facciamo colazione prima?» si lagna.
«Jace. Sono le nove e fottute cinquanta. Come pensi che faremo in tempo se ci fermiamo pure a fare colazione?» chiedo pacata mentre sento la voglia di strozzarlo crescermi in petto.
«Che palle» sbuffa ed afferra uno snack dalla mia dispensa, poi mi affianca e mi guarda in attesa. «Allora?»
La mia voglia di strozzarlo viene sostituita dalla voglia di tirargli un calcio nelle palle. Ma sono troppo sfinita anche solo per alzare un piede, e sento già il mal di testa ritornare a martellarmi la testa. E sono solo le nove e cinquanta di mattina di questa giornata infinita.
Mi giro senza dire una parola e mi dirigo verso l'ascensore, tallonata da Jace. Quando le porte si chiudono e ci dirigiamo all'ingresso, diventa improvvisamente troppo serio. «Perché hai accettato la scommessa di Annabelle?»
Sospiro, davvero non mi va di riportare a galla la storia, già sto abbastanza male. «Mi servono i soldi per realizzare il sogno di una persona a cui tenevo.»
«Afferrato» annuisce e restiamo in silenzio fino al parcheggio.
«Ti accompagno» dice Jace e mi apre la portiera del suo pick up.
«Non sei tenuto, hai già fatto abbastanza» declino l'offerta scuotendo la testa. Fa un mezzo sorriso e mi dà un buffetto sul naso. «Non fare la stupida, Liz.» Nonostante tutto sorrido debolmente e salgo in auto.
«Prossima fermata: edificio di chimica.»
«Che bello» esulto con l'entusiasmo di una che è appena stata investita da un treno merci.
Dopo cinque minuti Jace sta parcheggiando in un posto trovato per miracolo lungo la strada, ed io sto già iniziando a fare esercizi di respirazione per calmarmi e a ripetermi che strozzare Annabelle non è un buon modo per risolvere il mio problema con lei. Scendiamo dal pick up e camminiamo verso l'edificio, mentre ad ogni passo la mia ansia sale sempre di più. Mi ritrovo in breve tempo faccia a faccia con Annabelle, accerchiata dalle sue suddite e circondata da tutto il resto del campus. A quanto pare il nostro dibattito non è passato inosservato.
«Bene» urla Cole zittendo tutti. Credo che sia una specie di "presentatore". Più passano i giorni più il mio piano di passare inosservata si frantuma in pezzi. «Ieri sera le due donzelle hanno accettato una scommessa, ma bisogna renderla valida. A modo nostro ovviamente.» Intercetto immediatamente lo sguardo di Jace alla ricerca di spiegazioni, e lui mi fissa dispiaciuto. Oddio. Cosa non so?
«Fate un passo avanti» eseguo l'ordine trovandomi ad un metro da Annabelle.
«Cole, non ce n'è bisogno...» si avvicina Jace, ma Cole non sta a sentirlo.
«Rendiamo valida questa scommessa! Datevi la mano» porgo la mano ad Annabelle e stringo la sua morbida e curata, con le unghie laccate di rosa.
«Tre... Due...» non capisco davvero cosa debba succedere. «Uno!» Prima che possa capacitarmene un'ondata di acqua gelida mi colpisce in piena faccia, congelandomi letteralmente sul posto. Tutti scoppiano a ridere. Apro la bocca. La richiudo. La riapro. La richiudo.
«Ma che cazzo di stronzata è mai questa?!» strepito sentendo i polmoni prosciugarsi per la forza con cui ho urlato. Cala un silenzio di tomba, tutti sembrano sgomenti. Persino ad Annabelle è scomparso il ghigno divertito dal volto.
«Io... veramente... e siete pure maggiorenni?!» l'umiliazione inizia a lottare per prendere il posto della rabbia. Mi volto stizzita dopo aver mandato tutti al diavolo e corro via, sentendo Jace chiamarmi. Ce l'ho anche con lui, è stata sicuramente una trappola per sfottermi.
Mi chiudo nel mio appartamento dopo aver corso per tutto il campus. Probabilmente mi verrà a breve la febbre. Crollo lungo la porta e la rabbia viene definitivamente sostituita dall'umiliazione e dalla tristezza. Ho fatto quindicimila chilometri per niente. Qui è perfino peggio che a Sydney, almeno lì c'erano Lena e il nostro gruppo. Sento una lacrima solcarmi una guancia e la rabbia torna, questa volta contro me stessa. Mi sono fidata così facilmente di Jace. Sono una tremenda stupida, dopo tutto quello che ho passato ancora non ho imparato a non fidarmi delle persone.
«Liz apri, ti prego» sento la voce di Jace dietro la porta e mi alzo in piedi. Mi asciugo infuriata la lacrima ed apro la porta, sentendo che la maglietta inizia ad attaccarsi alla pelle.
«Che cazzo vuoi?» sputo fuori. Lui fa un passo avanti ma io faccio per richiudere la porta, così alza le mani in segno di resa.
«Mi dispiace. Non pensavo che l'avrebbero fatto, è una tradizione passata ormai.»
«Non ti credo» dico gelida.
«Dai Liz, perché dovrei godere nel vederti umiliata, sei l'amica migliore che potesse capitarmi, non voglio perdere il nostro rapporto ancor prima che inizi davvero» i suoi occhi sputano sincerità, ma non mi convince nemmeno un po'.
«Stammi a sentire, Jace: non ho fatto quindicimila chilometri, dall'Australia all'America, solo per passare quattro anni infernali, quindi stammi alla larga.»
«Liz, per favore, ti giuro che non lo sapevo» supplica. La mia sicurezza inizia ad incrinarsi.
«E perché dovrei crederti?»
«Non... lo so, per fiducia, suppongo» si passa nervosamente una mano fra i capelli.
«Non mi fido di te» mormoro.
«Lo so, ma posso guadagnarmi la tua fiducia. Una sola possibilità.»
«Affare fatto» sospiro ed apro la porta. Jace scatta in avanti e mi abbraccia, mi ha preso alla sprovvista così mi irrigidisco di botto.
«Scusa, scusa» borbotta e mi lascia andare. «Sei fradicia» constata.
Alzo le braccia e le lascio ricadere lungo i fianchi. «Ma va?»
Sentiamo qualcuno bussare alla porta. Incuriosita apro e mi ritrovo davanti la persona che meno mi sarei immaginata di vedere: Drew.
«Annabelle mi ha chiesto di accompagnarti per iniziare la convivenza a casa sua» dice tranquillo.
«Io non vado da nessuna parte con te» dichiaro pronta a richiudere la porta. Mi accorgo che non si chiude. Drew ci ha messo in mezzo un piede.
«Vuoi rinunciare alla scommessa?» assolutamente no.
«La accompagno io, Anderson, non preoccuparti» mi salva Jace.
«Annabelle non ti vuole nei dintorni.»
«Bisogna che Annabelle scenda a compromessi» li zittisco entrambi. «Vado a prendere le mie cose. Drew, puoi andartene.»
«Purtroppo no, Lizzie, Jace non sa dov'è casa di Annabelle. Si è trasferita» fa un mezzo ghigno e a me viene il disgusto ad immaginarli assieme. E mi sento ancora più disgustata a dover passare del tempo con Drew. Chiusa nella sua auto. Il mio stupido cuore inizia a martellare nel petto e sento la rabbia contro me stessa crescere nuovamente.
«Arrivo» mi arrendo e vado in camera a prendere le mie cose. Ha deciso tutto Annabelle, e questo mi fa uscire di testa: la scommessa l'abbiamo accettata in due, e lei ha deciso che il luogo della convivenza sarebbe stata casa sua. Sento di nuovo la rabbia salire, ma mi impongo di restare calma, sono le dieci e devo sopravvivere fino a questa sera, ho bisogno di autocontrollo.
«Ti do una mano» Jace entra nella stanza e prende i miei vestiti dall'armadio piegandoli meglio di come faccio io e mettendoli nella valigia. Allora un talento ce l'ha.
«Mi dispiace» dice all'improvviso passando ai libri.
«Di cosa? Sono stata io ad accettare la scommessa» rispondo mettendo in valigia le foto mie e di Lena. L'ho sfatta una settimana fa e già la sto rifacendo.
«Lo so, ma vorrei aiutarti, e non so davvero come fare.» Le sue parole toccano i tasti dolenti del mio cuore e lo abbraccio goffamente. Jace mi stringe contro il suo petto. Non mi ricordo quanto tempo è che non abbraccio qualcuno, ma è piacevole. «Sopravviverò ad un viaggio in macchina con Drew» la mia voce è attutita dal suo petto.
«Mandami l'indirizzo quando arrivi, così vengo a farti compagnia il prima possibile. Oggi pomeriggio ho gli allenamenti di calcio.»
«D'accordo» sorrido e dopo aver raccolto le ultime cose mi preparo psicologicamente per gli sviluppi della giornata.
Seguo in silenzio Drew fino alla sua auto. Mi prendo il tempo di osservarla meglio: mi sembra una Lamborghini di qualche modello strano. Mio fratello aveva una fissa per le Lamborghini. Rabbrividisco: non è il momento adatto per pensare a lui.
Drew mette in moto l'auto e partiamo con un rombo sfrecciando lungo le strade strette e contornate da edifici bassi. Per quanto Louisville sia piccola e scarsamente popolata, c'è un sacco di gente in giro.
«Mi dispiace» mormora Drew. Non capendo lo guardo e vedo che osserva con la coda dell'occhio il mio giubbotto macchiato di vodka. Mi ero cambiata ma mi ero completamente scordata della giacca macchiata. Che genio.
«Fa niente» taglio corto. Non voglio passare del tempo con lui, per vari motivi: a partire dal fatto che è troppo bello con quegli zigomi alti, due smeraldi al posto degli occhi, i capelli castano ramato, il naso all'insù che gli addolcisce i lineamenti e le labbra carnose che si morde di continuo, poi la sua carnagione, ambrata come se prendesse il sole tutto l'anno... Probabilmente l'acqua gelata mi ha dato alla testa e sto delirando. Distolgo lo sguardo quando gli si dipinge un sorriso sulle labbra. Mi giro verso il finestrino ed arrossisco. All'improvviso Drew si ferma ed io alzo lo sguardo dalla strada e lascio che si posi sulla magnifica villa che ho di fronte: bianca, in pietra, con due scalinate semi a chiocciola che terminano sul bordo di una splendida piscina limpida. È a tre piani, leggermente più piccola della mia precedente, ma con un giardino immenso con una fontana al centro ed una panchina sotto una grande quercia dipinta dai colori dell'autunno.
Nonostante tutto non sono stupita, vivevo anche io in una casa del genere. Drew sembra accorgersene. «È la prima volta che qualcuno non urla meravigliato o impreca davanti casa di Annabelle. Né davanti alla mia auto.» ridacchia.
«Niente che non abbia già visto» dico con un'alzata di spalle. Vorrei prendermi a pugni perché innanzitutto sembro una riccona viziata, e poi perché mi sono lasciata sfuggire un dettaglio che non deve assolutamente sfociare in un discorso. Drew sembra non farci caso, oppure finge, in ogni caso gliene sono grata.
«Ti accompagno alla porta» scende dall'auto e mi prende la valigia. Ma che sta succedendo? Allungo una mano per prenderla ma lui sorride e si incammina lungo il vialetto in pietra circondato da aiuole perfettamente curate. Non riesco a non pensare a quante volte debba averlo percorso per andare dalla strega...
«A che indirizzo siamo?»
«Via Fray 22» risponde, e mi affretto ad inviarlo a Jace. Non voglio restare sola con Annabelle e Drew.
Lui suona il campanello e quando l'oggetto della mia ira apre la porta si defila dicendoci di avere un appuntamento. Mi si contorce lo stomaco, e vorrei tanto non sentirmi così.
«Elizabeth, benvenuta, inizierei ufficialmente la nostra convivenza stabilendo delle regole» si scansa con il miglior sorriso falso che abbia mai visto.
«Regola numero uno: non chiamarmi Elizabeth» ringhio entrando e guardandomi attorno: l'entrata è perfettamente arredata con splendide piante dentro vasi costosi, due poltrone di qualche tessuto pregiato e vari quadri appesi ai muri. Devo ammettere che mi piace un sacco.
«D'accordo» acconsente e mi sento già un po' meglio.
«Chi ha arredato la casa? Ci vivi da sola?» chiedo curiosa, dimenticandomi per un attimo di volerla uccidere. È la prima conversazione civile che facciamo.
«L'ho arredata io e sì, ci vivo da sola»
«I tuoi genitor-»
«Regola numero due: non farmi domande personali!» strilla ed io resto sconcertata per un secondo.
«D'accordo, non ti arrabbiare» stavamo avendo una conversazione civile! Se devo vivere con lei due mesi devo riuscire almeno ad andarci d'accordo, sennò non ne uscirò viva. Questo però è un nuovo dettaglio. Magari non ha avuto proprio un bel passato, e questo può averla resa così... Annabelle.
Si massaggia le tempie e mi porta a fare un giro rapido della casa. Più passo di stanza in stanza più questa casa mi piace e mi spaventa al tempo stesso; è troppo un salto nel passato che sto cercando di lasciarmi alle spalle: il parquet che scricchiola ad ogni passo, le camere enormi e perfettamente ordinate, i balconi che si affacciano sul giardino perfettamente curato e sulla piscina, la cucina enorme, il salotto con una libreria gigantesca – scopro anche che Annabelle ha i miei stessi gusti in fatto di libri, ma sopratutto che legge, e questo me la fa stare già un po' più simpatica –, un televisore al plasma piazzato sulla parete davanti al divano in pelle. Passiamo davanti alla sua stanza, ma lei tira dritto tornando al piano inferiore. «Regola numero tre: non si entra nella mia stanza.»
Continua a snocciolare regole mentre io sprofondo nel divano, sfinita: sono solo le undici e mezza.
«Regola numero quattro: la lavastoviglie si fa una volta per uno. Regola numero cinque: la lavatrice ognuno la fa per sé. Regola numero sei: ognuno pulisce ciò che sporca. Regola numero sette: la casa si pulisce insieme il lunedì. Regola numero otto: ognuno cucina per sé...»
La fermo incuriosita. «Scusa, non hai una domestica?»
«Non mi piace avere gente che gironzola liberamente per casa mia. Fare le pulizie non mi pesa affatto.»
«Allora perché hai accettato questa stupida scommessa?»
«Mettiamo in chiaro un paio di cose, Liz: tu non mi piaci, ma non mi piace nemmeno perdere, quindi vediamo di starci alla larga il più possibile e di intralciarci il meno possibile, vedrai che due mesi voleranno. Oppure puoi andartene e perdere la scommessa, a me faresti solo un favore.»
La guardo ricordandomi perché la odio. «Sei proprio spocchiosa, lo sai? Te l'hanno insegnato che le persone hanno dei sentimenti?»
«Non devi nominare nemmeno gli insegnamenti che mi hanno impartito ed i fattori emotivi, Elizabeth, non sai nulla, tieni chiusa quella boccaccia» sibila stringendo i pugni lungo il vestito beige che indossa.
«Non sei la mia regina, Annabelle, con gli altri puoi pure divertirti a giocare alla principessa, ma con me scordatelo.»
Sembra a corto di parole, ma i suoi occhi sono animati da rabbia bruciante e cieca.
«Così non sopravviviamo nemmeno un giorno nella stessa casa! Stai semplicemente lontano da me» urla e si allontana rapidamente. Sento i rumori dei suoi passi sulle scale e poi la porta della sua camera sbattere.
Scivolo lungo il divano e mi sento morire.
Non posso farcela.
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Lãng mạnLiz Jones si è appena trasferita dalla popolosa Sydney, in Australia, alla tranquilla Louisville, nel Kentucky, America. Più che essersi trasferita, è scappata da un passato di violenze e alcolismo. Non le piace farsi mettere i piedi in testa da nes...