Capitolo 4

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Kir si trovava ai piedi della catena collinare di Isael, la stessa che divideva Newrolong da Varieneo e stava per percorrere il valico che lo avrebbe condotto dal suo vecchio amico. Il buio non si sarebbe fatto attendere ancora per molto, ma entro un ora al massimo avrebbe scorto le prime case del paesello.
Lungo quel sentiero disconnesso, le ossa della spalla avevano iniziato a farsi sentire, a reclamare un po' di riposo, a tal punto da immaginarsi le loro voci nella testa che lo ammonivano ad ogni passo. La ferita aveva pulsato per tutto il tragitto, rendendogli la camminata un inferno. Inoltre, il sangue aveva oltrepassato i bendaggi macchiando anche la camicia presa in prestito.
Cominciava a fare freddo e il solo gilet non bastava a ripararlo dal leggero, ma fastidioso venticello che si era alzato. La strada, inoltre, sembrava non finire mai. Pensò a quanto era bello librarsi in aria sfruttando le correnti senza dover far tutta quella fatica solamente per spostarsi da un posto all'altro. Il cielo non offriva itinerari obbligati. Solo libertà, pura e semplice indipendenza da tutto e tutti.
Sognando mete più ambite, Kir fu avvistato dalla vedetta che gli andò incontro in sella ad un vecchio asino.
«Chi sei?» bofonchiò l'incaricato dando ad intuire di essere un po' alticcio.
L'asino ragliò.
­«Sono Kir Halcon. Le sarei grato se mi permettesse di andar oltre, devo incontrare il vostro capo villaggio. Sempre che Orvo il Lungo lo sia ancora.» disse accennando un inchino.
L'uomo ruttò, rischiando di cadere dall'asino. «Chi?»
«Orvo il Lungo. Non è più il vostro capo?» chiese Kir stupito.
«No... Cioè sì. Insomma, chi sei tu?»
«Kir Halcon.»
«Allora, Kir Alcol...» borbottò l'ubriaco.
«Oh, santo cielo. Halcon... l'unico alcol qui intorno è quello che lei ha ingerito! Mi faccia passare!»
Lo scansò e proseguì oltre.
«Hey! Hey! Dove credi di andare, qui decido io.» disse la vedetta scrollando le briglie dell'animale.
Da poco più in alto una voce tuonò tra le colline. «Alvaro! Lascialo venire su! Diamine, non siamo in guerra. Forza!»
«Ricordavo più calorose le tue accoglienze un tempo?» urlò Kir per farsi sentire.
Orvo portò una mano alla fronte come se ci fosse il sole ad abbagliarlo. «Kir? Dannazione, sei proprio tu? Non ci posso credere!»
Alvaro rimase lì a contemplare il paesaggio come se nulla fosse accaduto, stordito dalla sbronza ancora da smaltire, mentre Kir salì fin al paesello.
Costruito strategicamente sul rilievo più alto, sembrava vegliare sull'intero paesaggio selvatico di erba giallastra e alberi smilzi dalle fronde poco ombrose. Kakarat aveva regole e leggi proprie. Il Consiglio del villaggio, di cui Orvo era il responsabile, provvedeva in maniera esemplare alla gestione delle risorse, lasciando infatti poco spazio agli scambi commerciali con Newrolong, sita non molto più a nord.
Orvo il Lungo, soprannominato così per la statura, era un uomo dotato di grande intelletto e perspicacia. La sua gente lo adorava, riconoscendo in lui una vera e propria guida, persino in ambito spirituale. La carnagione scura, il pizzo brizzolato e i neri capelli lunghi legati dietro la nuca lo rendevano, a prima vista, un po' tenebroso, ma i suoi modi notevolmente garbati erano segno di signorilità d'animo.  Durante il giorno era un attento punto di riferimento per tutta la comunità, mentre di sera dava ampio spazio all'animo da ragazzino imprigionato dentro di se. Amava passare le nottate in compagnia di qualche amico stretto a sghignazzare davanti al fuoco, raccontandosi storie esilaranti, sorseggiando qualche abbondante bicchiere di buon liquore, ovviamente di propria produzione.
Orvo abbracciò calorosamente l'amico sollevandolo da terra. «Benvenuto! Cosa ti porta qui a Kakarat?»
«Oh... giù, giù, giù Orvo.» Stritolato tra la morsa di quelle infinite braccia, Kir ritoccò terra e fece una smorfia di dolore.
«Oh perdonami. Ma che ti sei fatto?» domando dispiaciuto l'amico.
«Lunga storia.» sorvolò Kir «Puoi ospitarmi almeno per stanotte?»
Orvo allargò le braccia. «Non devi neanche chiederlo. Sono sempre in debito, ricordi?»
«Per questo ho fatto tanta strada!» ironizzò Kir.
«Su, vieni. Casa mia e poco più avanti.» fece segno con il braccio indicando la direzione. «Lì, potrai darti una sistemata e rifocillarti. Penso tu sia affamato dopo questa sfacchinata.»
«Divorerei qualsiasi cosa ora come ora.» sorrise.
«Bene. Questa sera si festeggia allora!» disse soddisfatto il capo villaggio.
«Ogni pretesto è buono per bere qualche cicchetto!?»
«Oh... non ci vediamo da mesi e avrai mille cose da raccontare. Non c'è niente di meglio di quattro chiacchiere davanti al caminetto, sorseggiando un bel bicchiere del mio Barbadù.» disse Orvo entusiasta della serata che si prospettava.
«Fai ancora quella brodaglia nerastra che ti buca il fegato? Non ci posso credere! L'ultima volta di cui ho memoria, i tuoi visitatori sono stati male tutto il giorno dopo.»
«Ma come ti permetti!? Il mio Barbadù è un eccellente liquore, non capisci un fico secco. E poi... penso sia stata la cena: lo stufato di mia moglie era... diciamo un po' piccante!»
I due risero di gusto, come se non fossero stati lontani uno dall'altro nemmeno per un giorno.
Kir conosceva Orvo da una quindicina d'anni. Il loro incontro fu del tutto casuale, o chi lo può dire, forse il destino aveva deciso per loro quel lontano pomeriggio. Una cosa era sicura, se le cose fossero andate diversamente, il Lungo sarebbe finito in qualche prigione, messo ai lavori forzati per qualche anno e poi chissà quale strada avrebbe intrapreso.
L'aria era fredda in quel giorno d'autunno, le foglie erano ormai quasi tutte cadute, ricoprendo abbondantemente la superficie ai piedi di ogni albero.
Kir, non avendo alcuna intenzione di restare chiuso in una stanza ad ascoltare discorsi che lo avrebbero annoiato a morte, sorvolava la zona sopra la città di Varineo in attesa che il padre di Achal uscisse dal palazzo di un ricco commerciante di pelli provenienti dall'Ovest. Ancora per poco avrebbe potuto osservare da così in alto il paesaggio sottostante, tra poco il buio sarebbe calato. Le sue ali si muovevano rapide nel cielo, lasciandosi accarezzare dai tiepidi raggi del sole.
Di ritorno al palazzo, vide che una delle finestre del piano terra era stranamente aperta. Si appollaiò sul davanzale scrutandone l'interno. Vide un uomo accovacciato e girato di schiena frugare in uno dei cassetti del comò posto vicino al letto. Kir scese dall'appoggio e zampettò fino all'albero più vicino dove, sicuro di non essere visto, prese sembianze umane. Silenziosamente scavalcò il muretto sotto l'infisso introducendosi a sua volta dentro la stanza.
«Lei non mi pare faccia parte della servitù, vero?»
Spaventato, l'uomo si voltò di scatto balzando in piedi. Rimase un secondo immobile a guardar colui che aveva interrotto il suo rovistare tra scartoffie e biancheria intima, poi rapidamente, corse verso l'altra finestra ancora chiusa in cerca di una via di fuga. Kir gli sbarrò la strada e quella figura alta, apparentemente burbera, anziché intraprendere una colluttazione, si fermò e scoppiò a piangere.
Attonito e confuso, Kir rimase a guardare quell'uomo con la faccia tra le mani per alcuni istanti, poi gli si rivolse molto garbatamente.
«Cosa ci fai qui dentro?»
Il malintenzionato si asciugò gli occhi con il palmo della mano e singhiozzando iniziò la spiegazione. «Non avrei mai dovuto farlo, ma cosa potevo fare altrimenti se non rubare? Sono disperato. Mia madre sta molto male e non può lavorare. Io sono senza lavoro. So che è sbagliato, ma i padroni di questo palazzo vivono nell'abbondanza. Qualche anello o catenina d'oro in meno non gli avrebbero sicuramente cambiato la vita.»
«Rimetti immediatamente a posto ciò che hai preso. Tutto questo non ti autorizza a far ciò che stavi facendo.» disse freddamente Kir.
«Ah... Non ho trovato nulla!»
«Bene. Meglio così. Ora vai prima che ti scoprano qui!»
«Cosa? Mi lasci andare?»
Gli sembrava sincero. «Vattene! In fretta prima che cambi idea.»
L'uomo fissò Kir provando gratitudine per quel gesto a lui inspiegabile. Non aggiunse una parola camminando verso la finestra da cui era entrato, ma il grosso vaso di ceramica che ruppe inciampando nel tappeto ai piedi del letto si fece invece ben sentire.
«Oh mio Dio! Che ho combinato...»
«Scappa!» lo interruppe Kir pensando al guaio in cui si stava ficcando. «Qui ci penso io!»
Il fuggitivo scavalcò il davanzale lanciando un'ultima occhiata a quel individuo compassionevole, per poi dileguarsi nel grande giardino circondante il palazzo.
La voce del capo della servitù si faceva sempre più forte e chiara. Quel rumore aveva dunque destato sospetto. Kir non potendo far altro, si ritrasformò in falco.
«Che ci fa un uccellaccio nelle stanze degli ospiti?» gridò l'inserviente dopo aver fatto qualche passo all'interno della camera. «Marthaaaa!!! Chi ha lasciato la finestra aperta?» continuò sbraitando.
Una giovane ragazza accorse immediatamente. «Signor Beggin, che è successo? Perché sta urlando?» chiese impaurita.
«Dimmelo tu!» strillò agitando le mani a destra e sinistra. «Guarda qui, c'è una cornacchia, una finestra aperta e un vaso rotto. Ti sembra tutto normale?»
«No, signor Beggin. Ma non so proprio come sia potuto accadere.» spiegò timidamente la cameriera.
«Tutte così dite. Io, non so... non è colpa mia.. Vai! Vai! E torna con una ramazza!»
La giovane chinò la testa e sgattaiolò fuori dalla stanza.
Il venditore di pelli, sentendo il signor Beggin starnazzare come un'oca selvatica, interruppe la conversazione con il padre di Achal ed entrambi si diressero verso la camera. «C'è qualche problema Iv?» domandò sorprendendo il signor Beggin alle spalle.
«No, assolutamente. Nulla di irrisolvibile, signor Nikolai!»
«Allora qual è il motivo di tutto questo baccano. Non vede che ho ospiti?» disse il padrone di casa indicando il signor Ber.
«Mi dispiace, ma una cornacchia è entrata dalla finestra e ha rotto un vaso, vede?»
Kir volò sulla spalla del padre di Achal. «Scusate, questa non è una cornacchia, ma il mio falchetto! Lo avevo lasciato fuori, prima di entrare a discutere con lei signor Nikolai. Sono rammaricato, che si sia intrufolato qui e abbia fatto danni.»
Ci fu un attimo di silenzio, poi il signor Nikolai prese parola: «Non c'è alcun problema signor Ber. Ora Iv sistemerà tutto. Non è vero Iv?» disse guardando con superiorità il suo domestico.
Si inchinò. «Sì. Sarà fatto signore.»
«Torniamo di là a finire il nostro discorso. Venga signor Ber.»
«Un attimo solo, rimetto fuori il mio falchetto. Non voglio che faccia altri danni!» Il signor Ber si avvicinò alla finestra aperta «Su Kir va fuori, forza!»
Kir non se lo fece dire due volte e volò fuori per poi posarsi sul tetto della casa di fronte. Osservò da lì la finestra chiudersi, ma il suo sguardo cadde subito su quel uomo a cui aveva appena salvato la pelle. Se ne stava tranquillamente appoggiato al muro di cinta del palazzo.
Gli si presentò davanti già in sembianze umane. «Che ci fai ancora qui in giro? Vuoi che ti faccia arrestare?» chiese bruscamente.
«E tu da dove sei uscito? Non di certo dalla porta!»
A Kir gelò il sangue. «Che intendi dire? Comunque sono uscito dall'altro ingresso!!»
«Ne ho viste di cose strane, ma questa è la più incredibile a cui ho assistito. Un uomo che diventa falco! Se lo raccontassi, nessuno ci crederebbe, stanne certo!»
«Tu sei pazzo!!»
«Dici? So quel che ho visto!»
Ormai era stato scoperto e le sue parole divennero più pungenti. «Hey! Ti ho appena salvato la faccia e non solo, ricordi? Prova a dirlo a qualcuno e non te la caverai come questa volta!»
«Sta calmo amico! Ho detto se lo raccontassi. Non ti preoccupare, non corri rischi con me. Comunque, io sono Orvo Mikinton. Per gli amici Orvo il Lungo. Sai, per l'altezza. Piacere!» disse l'uomo allungando la mano.
«Kir Halcon. Posso stare tranquillo?» domandò dubbioso stringendo la presa.
«Sono in debito con te!» sorrise Orvo.
«Il mio padrone là dentro pensa che io sia un falco a tutti gli effetti ed è importante che continui a pensarlo. È fondamentale che tutti continuino a crederlo! Sei uno dei pochi a conoscere questa cosa e se vuoi un consiglio, non andare in cerca di risposte, potresti metterti in serio pericolo.»
Colpito dalla determinazione di Kir, il Lungo non fece più domande in merito a ciò a cui aveva assistito. Dopo quel giorno i due continuarono a frequentarsi stringendo, con il passare del tempo, una forte amicizia che ancora persisteva da quindici anni.

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