Capitolo 23

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«Sivert, c'è qualche problema?» domandò Achal dal fondo del cunicolo.
Non ebbe risposta.
«Sivert? Sivert! Dannazione mi senti?»
«Sì! Ti ho sentito, per Dio! Abbiamo visite!»
D'istinto, Elar fece indietreggiare Azura.
«Via! Via! Allontanatevi!» sussurrò il ragazzo.
«No, suvvia, non è il caso. Non siate sciocchi. Avanti, venite fuori!»
Achal aveva già udito quella voce in precedenza, ma non così tante volte da associarla di primo acchito ad un volto. Nonostante si fosse sporto a guardar di sotto, i tratti dell'uomo erano irriconoscibili. La luna creava un forte contrasto.
«Signor Morten, mi dia una mano a tirare su i suoi compagni!»
«Non ti azzardare a toccare quella corda!» Sivert sguainò la spada.
«Stiamo calmi. Se avessi voluto farvi del male, non sarei venuto qui da solo!»
«Per quanto ne so io, i tuoi posso essere nascosti qui da qualche parte. Traditore!»
«Indietreggia!» Ordinò Sivert, puntando la lama verso l'uomo. «E tieni le mani ben in vista, dove io le possa vedere.»
Ubbidì.
«Ora vi tirò su! Prima la Governatrice.»
In breve tempo furono tutti fuori.
«Ha un bel coraggio a farsi rivedere!» esclamò Azura.
«Mia Signora...»
«Mia Signora un corno! Se solo ne avessi l'autorità, in questo momento la condannerei a morte, signor Froberàn!»
«Mi lasci spiegare.» fece per avvicinarsi.
«No! Si allont...» Le forze le vennero improvvisamente a mancare ed ebbe un mancamento: tutta quella strada e la tensione accumulata, non le avevano di certo giovato. Era stata dura per lei, aveva ancora bisogno di riposare molto.
Il servitore immancabile la sorresse. «Stendiamola!»
Sivert si voltò rabbioso. «Che diavolo vuoi?»
Froberàn si irrigidì, ma subito riacquistò la sua apparente calma. «Siete in mezzo ad una strada, avete bisogno di aiuto!»
«E tu vorresti aiutarci?» si beffeggiò di lui.
«Dove avete intenzione di andare? Presto vi troveranno. La Governatrice in quelle condizioni vi rallenta, ha bisogno di tornare in forze per riprendersi il suo posto!»
«Hai tramato contro di lei fino a poco più di un mese fa ed ora vuoi vederla tornare al potere? Cos'è, i tuoi amici ti hanno girato le spalle?»
Anfus deglutì e distolse lo sguardo da quello di Sivert.
«Ci ho preso, vero?»
« Dopo la mia fuga, hanno cercato di uccidermi. Voglio vendicarmi!»
«Fallo! Non hai bisogno del nostro aiuto.»
«Datemi protezione, una volta ritornati al castello e io vi condurrò in un luogo sicuro, dove nessuno potrà trovarvi. Da lì pianificheremo il ritorno della Governatrice!»
«Perché dovrei crederti? Le tue parole sibilano come la lingua di un serpente!»
«Voglio Ghirod fuori dai giochi quanto lo volete voi!»
Non c'era da prendere una decisione giusta o sbagliata,  ma solo quella meno rischiosa per tutti. Ma quale? Fidarsi di quel verme o rischiare di essere raggiunti dai cacciatori di taglie?
«Sivert, non è una buona idea fidarsi di lui!» si espresse Achal «Ci volterà le spalle appena gli converrà!»
Il fabbro prese da parte il giovane ragazzo, lontano dagli orecchi di Froberàn. «Staremo attenti. Ora non saprei proprio dove condurre queste persone: abbiamo due vecchi, in forze, ma pur sempre vecchi, e Azura stremata! Non piace neanche a me questa situazione, ma ritengo sia opportuno correre questo rischio.»
«Non so... ma mi fido del tuo istinto!»
Sivert sorrise e strinse la nuca dell'amico tra le mani. «La Governatrice non può camminare,» si voltò verso Frobèran «Elar cavalcherà il tuo cavallo!»
«E sia.»
«Andiamo! Non fare un solo respiro sbagliato o ti taglio la gola!» Sivert cercò di essere il più convincente possibile, non voleva ritrovarsi sulla coscienza l'intero gruppo.
Trascorsero la notte a camminare al seguito di Froberàn, praticamente in silenzio: nessuno aveva fatto domande, erano tutti troppo stanchi, desiderosi di giungere in un posto sicuro e di essere liberi di addormentarsi tranquillamente.
Alle prime luci del mattino, in lontananza, comparve un piccolo complesso di case. Trapelava tra i fastidiosi raggi dritti verso i loro visi. Dopo un centinaio di passi più avanti, un campanile venne a coprire totalmente il sole, mostrando così ogni singolo edificio dell'abbazia dell'Ordine Naturale.
Una comunità monastica maschile viveva ormai da più di trecento anni in quel luogo e trascorreva le proprie giornate seguendo i ritmi dettati da madre natura: i monaci si cibavano dei prodotti della terra, allevavano mucche e capre ed rimanevano al di fuori della propria stanza solamente durante le ore diurne.
La preghiera a Gadja, così chiamavano l'energia universale che domina e da vita al tutto, occupava altresì un importante fetta della giornata. I momenti di raccoglimento erano quattro: Sweva, la nascita del sole, Souira, la celebrazione del pasto di mezzogiorno, Hajiri, la celebrazione del pasto serale e Nizai, il saluto al sole. Ogni orazione veniva accompagnata da canti e inni alla purezza, nella lingua di Gadja, lo Zaula, unico idioma consentito tra i confratelli all'interno dell'abbazia.
Quando giunsero davanti al portone di legno, alto quanto due uomini, Achal non poté far a meno di notare l'affresco al di sopra di esso, rappresentante un uomo bianco e una donna nera, nudi, nell'atto dell'abbracciarsi. «Qual'è il suo significato?» domandò rivolgendosi a Froberàn.
«L'uomo rappresenta la luce e il giorno, mentre la donna, le tenebre e la notte. Si abbracciano completando così il ciclo della giornata. La decisione di raffigurarli nelle loro nudità testimonia la purezza divina con cui nasciamo e la completa apertura mentale libera da pregiudizi.»
Il ragazzo si limitò ad annuire dando segno di aver inteso.
Froberàn fece suonare la martinella posta alla sinistra del portone. Passo poco più di un minuto e due occhi comparvero dallo spioncino. Il monaco pronunciò con voce rauca parole in una lingua incomprensibile.
Anfus dialogò in quell'idioma: «Buongiorno confratello Hola. Sono qui con alcuni pellegrini, possiamo entrare?»
«Oh Anfus, qui sei sempre il benvenuto!»
Lo spioncino si richiuse e subito dopo entrarono.
«Di tanto in tanto vengo qui e porto notizie a questi monaci dal mondo esterno.» disse Frobèran «Non vi preoccupate, capiscono e parlano benissimo la nostra lingua.»
Nessuno disse una parola.
Il cavallo fu portato nella stalla e lasciato alle cure di un giovane monaco, mentre il gruppo fu guidato per il complesso fino all'orto, dove l'abate Joya era intento a raccogliere basilico.
Hola attirò l'attenzione su di se. «Confratello Joya, Anfus è tornato a farci visita.»
Joya, curvo su una delle verdi piantine, si sollevò e, con un grande sorriso, avanzo verso Froberàn. Era un uomo piuttosto alto, robusto, ma con un volto di quelli che mettono immediatamente a proprio agio. «Caro Anfus, sono contento di vederti!» Rispose in modo che tutti potessero comprendere e gli strinse la mano tra le sue.
Lì, sembrava ben voluto.
«È sempre un piacere venire qui!» Froberàn insistette ad usare la lingua dai frati.
«Oh! Bene, bene!» rise felice «Il tuo sforzo qui è ben accetto, ma non manchiamo di rispetto ai tuoi compagni! Chi ho l'onore di conoscere?»
L'ex Informatore sorrise e acconsenti al volere del confratello. «Le presento: Achal, Sivert, Elar, Frank e.. Lilli!» I monaci trascorrevano gran parte della propria vita all'interno delle mura dell'abbazia, ma il nome della Governatrice di Varineo era ben noto anche tra di loro. Per non destar sospetti, Froberàn aveva preferito sostituirlo con il primo che gli venne in mente: quello della cagna di sua zia Marja. «Abate Joya, io è queste persone avremmo la necessità di riposare qualche giorno, prima di ripartire per il nostro viaggio.» Il monaco non avrebbe mai negato ospitalità a nessuno, tanto meno a lui. «Spero di non creare disturbo... sa così, senza preavviso!»
«Caro Anfus, farò preparare presto delle stanze. Abbiate solamente rispetto per i nostri ritmi quotidiani!»
«Siamo ospiti e ci comporteremo da tali!»
«Non avevo dubbi! Lode a Gadja!»
Froberàn giunse le mani e accennò un inchino.
I giorni trascorsero lenti e in pace, in quell'oasi di tranquillità. Azura si era rimessa completamente e, se non fosse per il pensiero di Ghirod, quella gita fuori porta, non le stava affatto dispiacendo. Aveva imparato molte cose sul basilico e sui pomodori, ma dimostrò particolare interesse per il credo dell'Ordine Naturale.
L'abate era stato molto disponibile con lei: avevano meditato insieme e fatto lunghe chiacchierate, in cui le aveva narrato della natura e dei suoi equilibri, del vento, del sole, della luna e delle stelle. Le parlò dell'importanza delle loro quattro preghiere, della piccola parte di Gadja che albergava dentro di lei e di quel giorno in cui, alla fine del suo viaggio su questa terra, avrebbe riconsegnato quell'energia. L'armonia l'aveva catturata e la vicinanza di Froberàn era diventata più tollerabile.
Sivert ed Achal, invece, non avevano abbassato la guardia. Erano tornati per mettere le cose a posto, lasciando i propri compagni ad affrontar, da soli, un nemico di cui non conoscevano praticamente nulla. Anche Froberàn era il nemico. Nulla di più. Non poteva essere dalla loro parte. Era solo un approfittatore.
Per Elar, la cosa più complicata di quei giorni fu non comportarsi da servitore. Dopo anni di fedele servizio, trovò serie difficoltà nel dover pensare per se stesso e non alla sua Signora. In quel posto Azura non esisteva, c'era solo la comunissima Lilli.
Per Frank fu tutto più facile: aveva trovato una casa. Finche le cose in città non fossero tornate alla normalità, sarebbe rimasto lì tra i monaci, lontano dal pericolo.
Erano passati una decina di giorni, forse undici, quando la martinella dell'abbazia tornò a suonare di buon mattino. Achal non ci aveva fatto caso e nemmeno Sivert: si trovavano nella stalla con un paio di monaci, intenti ad abbeverare le bestie.
Fu fratello Hola ad avvisarli: tre uomini ed una donna erano venuti a cercarli.





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