Capitolo 7

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La tensione andava a braccetto con l'entusiasmo e per il giovane ragazzo si prospettava una mattinata ricca di forti emozioni. Il guanto donatogli dall'armaiolo giaceva in fondo alla sacca, pronto per colmare le lacune dovute ai pochi giorni di allenamento.  Achal e Barry seguirono alla lettera le istruzioni del signor Dennis e si presentarono al castello per l'inizio delle gare.
Un uomo seduto dietro ad un tavolo posto a lato del portone d'ingresso attendeva l'arrivo dei partecipanti, scortato da due guardie pronte ad ogni evenienza. «Buongiorno! Siete qui per il torneo presumo!?»
Barry porse la lettera ricevuta qualche giorno prima. «Sì. Il ragazzo.»
«Bene, bene... vediamo un po' chi abbiamo qui.» prese tempo per estrarre il foglio dalla busta. «Allora, allora... Achal Ber, giusto?»
Achal, preso ad osservarsi intorno, fu richiamato da Mastro Barry con una gomitata.
«Sì. Sì...Achal Ber...esatto!»
«Perfetto! Il registro riporta il vostro nome.» disse l'uomo sfogliando uno spesso libro dalle pagina giallognole. «La governatrice Azura e lieta di ospitarvi qui per tutta la durata delle gare... delle vostre gare ovviamente.» puntualizzò malizioso. Il responsabile scelse a caso due braccialetti di cuoio da un cofanetto intarsiato, adagiato all'angolo del tavolo e li allungò ai suoi interlocutori. «Questi vi permettono di accedere a tutte le zone dedicate agli atleti, alla mensa e alle stanze da notte. Una volta terminata la vostra partecipazione, devono essere categoricamente restituiti.» prese fiato «Tutto chiaro fin qui?»
Il partecipante mugugnò e fece un segno di approvazione con la testa.
«Per quanto riguarda ciò che concerne le sfide è tutto molto semplice:» si concentrò solo sul ragazzo «ci sono centoventotto partecipanti. Il torneo è ad eliminazione diretta, se batti il tuo sfidante potrai accedere alla fase successiva. Se invece vieni sconfitto, dovrai accomodarti in tribuna.»
«Con quale criterio abbinate i partecipanti?» intervenne Mastro Barry.
«In ordine di arrivo! Vedete...» indicò un nome sul registro «Il primo arrivato questa mattina sfiderà il secondo, il terzo affronterà il quarto e cosi via. Tu ragazzo sei l'undicesimo e...» l'uomo portò lo sguardo oltre le spalle di Achal «presumo che quello laggiù sia il dodicesimo!»
Il giovane si voltò di riflesso e non poté fare a meno di notare quanto quell'individuo fosse più grosso, più alto... più tutto di lui. Camminava molto lentamente, accompagnato da un vecchio e gobbo personaggio che a malapena gli superava i fianchi.
Achal rabbrividì al sol pensare di dover affrontare quel colosso. Le sue mani iniziarono a sudare, mentre spiacevoli fantasie sulla gara prendevano spazio nei suoi pensieri. Barry preferì non commentare.
L'incaricato richiamò su di se l'attenzione. «Alle ore dieci, la Governatrice terrà il discorso di presentazione. Tutti gli iscritti dovranno riunirsi nell'arena per la distribuzione delle spade. Non credo sia il tuo caso, ma come ben saprai, ragazzo, le doti da distinto non sono ammesse!»
«Ovv... ovviamente, niente doti da distinto!» Achal balbettò sapendo di mentire, ma non avrebbe potuto fare altrimenti. Senza quel guanto, niente gare e niente Abo Edwald.
«Bene! Questo è tutto! Vi faccio accompagnare nella vostra stanza, che rimarrà tale almeno per questa notte e poi... la tua bravura determinerà il resto.»
L'uomo fece un segno con la mano e un ragazzino sgusciò dal nulla pronto per servirlo. «Mostra a questi gentil signori dove possono alloggiare. La 48 Ala Ovest dovrebbe andar bene.»
«Sì. Subito signore.» disse il valletto chinando la testa. «Venite per di qua, graditi ospiti.»
Achal si voltò ancora una volta indietro per guardare i muscoli del suo sfidante che ormai aveva preso il suo posto davanti al banchetto accettazioni. Dannazione quanto sono grossi. Ormai però era in ballo e doveva ballare. Si sarebbe certamente reso ridicolo, ma, data la situazione, avrebbe di sicuro preferito partecipare ad una gara di danza.
Il servo attraversò il cortile centrale dove erano state erette due capienti gradinate per accogliere il pubblico che da lì a qualche ora avrebbe invaso il castello. Achal e Barry lo seguivano guardando con curiosità ciò che li circondava. Varcarono una porta dopo l'altra, salirono scale e imboccarono corridoi sino ad arrivare finalmente davanti alla soglia della 48 Ala Ovest.
«Di qualunque cosa abbiate necessità, basterà dar qualche colpo a questa martinella qui a fianco. In breve tempo un domestico sarà da voi.» spiegò il ragazzino.
«Oh, gentilissimo.» L'armaiolo frugò nelle tasche e ne estrasse una moneta per il fanciullo.
«Grazie. Grazie infinite!» si dileguò.
Achal entrò per primo nella stanza meravigliandosi di tanta eleganza: tappeti variopinti ricoprivano le pareti dai mattoni rossastri. Tendaggi di velluto blu oscuravo per metà le due finestre che si affacciavano sul cortile in cui erano appena transitati. Una pelle di orso ricopriva il pavimento davanti ai due letti in ferro battuto posti contro la parete di fronte.
Barry appoggiò la sua sacca su un grosso baule di legno pregiato e sorridendo si rivolse al suo compagno: «Niente male, eh?»
«Accidenti, non ero mai stato in una stanza così lussuosa. Guardi qui che specchio, mi fa sembrare più alto. Non trova?»
«Bè, sì... forse un pochino.»
Il giovane gironzolò un po' per la stanza e dopo aver aperto ogni anta e cassetto possibile, fece un'altra volta la domanda più ovvia che potesse fare: «E ora che si fa?»
«Io uscirei di qui in cerca del nostro "amico". Se siamo fortunati, potremmo incontrarlo già prima delle gare.»
«Sarebbe l'ideale, visto quell'ammasso di muscoli che dovrò affrontare!»
Il bottegaio non diede ascolto alla lamentela del ragazzo. «Mi raccomando porta il medaglione con te, non lasciarlo qui. Non si sa mai!»
«Forse sarebbe meglio che lo custodisse lei, considerando il fatto che tra poche ore prenderò colpi, calci e pugni. Che ne pensa?»
Con un sospiro, Barry fece trapelare quanto fosse onorato, ma allo stesso tempo irrequieto. Achal cinse il medaglione attorno al collo dell'armaiolo, nascondendolo dentro alla camicia.
I due si attardarono volentieri curiosando per il castello e successivamente scesero di nuovo nel cortile che piano piano si affollava sempre più di gente. Gli spalti iniziavano a riempirsi e gli atleti si riscaldavano per garantirsi un ottima prestazione. Achal guardava stupito ogni cosa: le spade, la persone, le armature. Tutto per lui era nuovo. Le donzelle sfilavano una dietro l'altra in cerca del posto migliore per godersi le gare, commentate dai soliti buzzurri desiderosi di nuove prede. Gli occhi di Achal incrociarono per un istante quelli di una giovane ragazza, poi di un'altra e un'altra ancora. Era in paradiso.
Il bottegaio se ne stava seduto su un muretto in attesa dell'inizio della presentazione, quando una voce familiare catturò la sua attenzione. Era il Giocatore di carte. Stava istruendo alcune guardie in merito alla protezione della Governatrice. Barry si alzò in piedi e fece un segno ad Achal indicando il loro obiettivo poco più in là.
All'improvviso pero, le trombe squillarono coprendo il brusio della folla. Da una sfarzosa torretta appositamente costruita, si affacciò un uomo con un cappello a due punte. Scostò la pomposa toga color tabacco e si aggiustò la tunica sottostante. «Uomini e donne. Fanciulli e meno giovani. Spettatori e partecipanti. È con grande gioia che vi annunciò, sua magnificenza la governatrice Azura!»
Come tutti, l'armaiolo fu catturato dall'introduzione di quello strano personaggio e quando si rigirò, Edwald era già scomparso.
«Dove è andato?»
«Non so, l'ho perso di vista!» si giustificò Achal.
«Dannazione! Andiamo un po' più in centro, da qui non si vede un fico secco.»
La folla sugli spalti applaudiva e acclamava, mentre le trombe tornarono a suonare. La Governatrice apparve prendendo il posto del suo annunciatore, accompagnata dalla sua guardia più fedele: Abo Edwald. La donna indossava un sontuoso abito di velluto color turchese scuro, stretto sul collo e sul petto. File di pietre preziose correvano per tutto il lungo ed elegante strascico a punta. Il trucco delicato delle guance arricchiva di grazia il suo volto, mettendo in risalto due splendidi occhi smeraldo.
Appoggiò le mani curate alla balaustra ricoperta di drappi decorativi e sorridendo attese che il silenzio si posasse sul cortile. «Miei cari ospiti, sono felice di accogliervi in questo giorno di festa qui al castello di questa nostra potente città-stato. Come ogni anno, sono giunti a noi dalle terre più lontane del mondo conosciuto moltissimi pretendenti al titolo di vincitore del torneo.» la donna padroneggiava la scena con molta disinvoltura «Alcune delle mie guardie più valorose parteciperanno per tener alto il nome di Varineo e dei suoi soldati. Sono ansiosa come voi di conoscere al più presto chi avrà la possibilità di entrar a far parte del nostro esercito... ed è per questo che dichiaro aperta la ventiduesima edizione del torneo Arfelante!»
Sorreggendosi alla mano del Giocatore di carte, la dama si sedette su una poltrona imbottita, dall'alto schienale che le sorpassava di molto la testa.
Il pubblico riprese a far baccano, mentre il campo veniva sgombrato per la distribuzione delle spade.
«Che gli atleti si dispongano in fila!» gridò l'annunciatore.
«Achal mi sa che è ora! Raggiungi il gruppo sotto la torretta.» gli suggerì  Mastro Barry.
Achal fu attraversato da un brivido di insicurezza, ma era inutile frignare. Doveva farlo. Si dispose tra un uomo maleodorante ed uno sfregiato sul volto, che con un ghigno gli mostrò i suoi unici cinque o sei denti. Disgustato, il ragazzo distolse in fretta lo sguardo e lo mantenne fisso davanti sé. Intanto, dall'estrema destra dell'arena, proprio sotto alla gradita, un energico cavallo sfilava con un carretto davanti ai partecipanti. Stavano portando le lame. Achal cambiò subito umore, era entusiasta: finalmente avrebbe avuto una vera spada tra le mani, anche se solo per la durata del torneo. Arrivò il suo momento: una guardia estrasse da un cesto sul traino la lunga barra di metallo lavorata e gliela sporse tenendo la punta verso il basso. Il giovane la impugnò sopra l'elsa e la capovolse. Non era proprio la più elegante e leggera che un combattente potesse desiderare, ma non importava: il guanto avrebbe fatto la sua parte.

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