Capitolo 33

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Bedektor pretendeva una risposta entro la fine della giornata. Se non fossero riusciti a fuggire, in un modo o nell'altro il varco si sarebbe rilevato.
Morire per la causa sarebbe stato stupido e inutile. E poi per quale causa? Per difendere un segreto che ormai di tale non aveva più niente? Farsi uccidere sarebbe solo tornato comodo: a Bedektor, Gursharan e a chiunque avessero trovato in quel posto nel sottosuolo. Discussero a lungo sul da farsi, ritornando spesso sugli stessi ragionamenti, per lo più dettati dal rifiuto di quella scomoda e pericola situazione. Non avevano scelta, dovevano collaborare.
Il Consiglio fu separato dal resto dei compagni, mentre a Kir fu concesso di girare in maniera apparentemente libera per l'accampamento. Veniva controllato a vista, si temeva un ennesimo cambio di bandiera.
Ripensando alle sue azioni, osservava il paesaggio circostante, dalle foglie più alte degli alberi, al filo d'erba più verde. Col calare della sera però, notò la presenza di alcuni sberluccichii, balenavano qua e là tra la vegetazione. Cercò di avvicinarsi, incuriosito da quei bagliori simili a lucciole, piccoli e intensi. Non avevano consistenza, ne un ubicazione precisa, erano intorno, presenti ma intangibili. Si consultò con alcune guardie: parevano non dar troppo peso alla cosa. Gli risposero di non saperne nulla di preciso, quando si erano insediati con l'accampamento una ventina di giorni addietro, quelle luci erano già presenti. Col calare della notte sarebbero state ancora più visibili.
Il buio sopraggiunse. Da lì a poche ore il destino di quel mondo sarebbe cambiato per sempre. Era pronto? Ne era pienamente responsabile: aveva accettato di scendere a patti con un uomo venuto dal passato e per causa sua il Consiglio si era rivelato. Quel pensiero lo condusse ad una deduzione logica e al quanto scontata: quel mondo stava fisicamente mutando o per lo meno parte di esso. I bagliori erano dovuti all'ambiente in metamorfosi, il primo Consiglio aveva sigillando il passaggio plasmando l'intera zona ed ora stava riassumendo l'aspetto originale.
Ma perché adesso? pensò. La sua mente ripropose all'istante le affermazioni di Bedektor in merito all'indebolimento del Consiglio: due membri erano già morti, era ovvio che qualcosa dovesse cominciare ad accadere.
Il bosco era immerso in una moltitudine di luci lampeggianti, ma non rischiaravano per nulla. Fissandole per troppo tempo, veniva alterato il senso della profondità delle cose, gli occhi si incrociavano. Kir essendo per mezzo falco e con i sensi amplificati, non poté soffermarsi più di tanto su quella contemplazione e si ritirò in una tenda a lui assegnata in attesa della convocazione di Bedektor.

Soli nella grande tenda, Bedektor e Gursharan rivedevano gli ultimi dettagli per il grande evento, accompagnandosi con una ottima bottiglia di Selfinio del 2341.
«Devo ammetterlo, l'arte del vino l'avete appresa bene!» sorrise Bedektor alzando un calice.
Gursharan, compiaciuto, accostò il suo e ne fece un ampio sorso. « Alla Confidenza!»
Brindarono.
«Spero che il dono ricevuto sia di tuo gradimento?»
Il capo della Setta di Newrolong sfilò il medaglione dal collo e lo strinse in una mano. «Dopo tanto cercare, è stato lui a venire da me. Ve ne sono infinitamente grato.»
«È la giusta ricompensa per la vostra devozione.»
Per la prima volta, si mostrava a lui senza il casco.
Gursharan si inchinò in segno di rispetto: si sentiva più a suo agio davanti a quei tratti umani.
«Ora... diamo inizio allo spettacolo.»


Achal, rinchiuso in una gabbia montata su di un carro, dormiva. Era crollato nonostante la tensione. Sognava di combattere contro il rozzo popolo del mondo di sotto. Non usava neppure più il guanto talmente era diventato preciso e infallibile nell'uso della spada. All'improvviso lo scenario cambiò: stava sussurrando dolci parole all'orecchio di una fanciulla a cui aveva donato un fiore di campo.
Lei parlò mentre gli scuoteva forte una spalla: «Ragazzo, dobbiamo andare... svegliati, svegliati!»
Achal aprì gli occhi, strattonato da Sivert. Alle sue spalle una guardia del campo.
«È il momento!»


La disfatta per loro stessa mano rendeva le cose più appaganti per Bedektor, anche se non gli sarebbe dispiaciuto eliminarli lui stesso.
I prigionieri furono convocati nuovamente dentro la grande tenda. Il morale era quello che era: la sconfitta era nell'aria e presto non ci sarebbe più stato l'utilità del Consiglio della Confidenza.
Barry si fece come al solito portatore della parola di tutti i componenti. «È doveroso comunicarlo: nessuno dei qui presenti ha mai svolto la manovra che lei richiede. Non garantiamo quindi la perfetta riuscita di tale operazione.»
«Signor Barry... sono convinto che ce la mettere tutta. In fondo è per la vostra salvezza!» rispose prontamente Bedektor.
«Già...»
L'armaiolo stava cercando di prendere tempo, per chissà quale motivo non lo sapeva nemmeno lui. Un intervento divino avrebbe fatto proprio comodo in quella situazione.
«Di cosa avete bisogno? Tempo? Di pregare? Vedete solamente di non fare scherzi o i vostri cari amici passeranno all'istante a miglior vita.
Udendo quelle parole, un soldato portò la lama della spada alla gola di Erast.
«Il bosco cambierà per certo, le consiglierei di ritirare le sue truppe da questa zona. Si metta al sicuro.»
«Non se ne parla! Staremo tutti qui in attesa del cambiamento. Andremo incontro al nostro destino. Non voglio discutere in merito.» rispose bruscamente Bedektor.» Grazie comunque per questa sua dimostrazione di affetto, Mastro Barry.» ironizzò.
«Mi dia ascolto...» cercò di insistere.
«Non è qui per consigliarmi, ma risparmiarsi una misera fine. Lo ricordi bene!»
L'armaiolo tacque all'istante e chinò il capo in segno di resa. Edwald fremeva, non ci stava, voleva tentare un ultima volta: lanciò un colpo d'occhio a Birger, lui avrebbe potuto farcela... un rapido movimento e qualche guardia sarebbe stata messa fuori uso. Qualcosa poi sarebbe capitato: ognuno per se.
Con un rapido gesto Birger si fiondò, con le mani in catene, al collo del soldato più vicino. In un attimo l'orrendo processo di separazione cominciò.
«Fermo!» ordinò Bedektor.
Il malcapitato cadde a terra privo di vita, mentre Edwald si azzuffò con il primo a tiro. Approfittando dello scompiglio Erast si liberò della lama che gli premeva sulla carotide e con una testata atterrò il soldato. Le donne furono immobilizzate all'istante, gli altri poco poterono sorpresi dallo scoppiò assordante che si udì nella tenda.
Tutti si pietrificarono come troll al sole.
Birger cadde sulle ginocchia. Stramazzò al suolo grondante di sangue, vicino all'uomo a cui aveva appena tolto la vita. Era stato colpito al cuore.
Bedektor teneva in mano un'arma, quello era palese visto gli effetti appena prodotti. «Questa si chiama "pistola", sia chiaro a tutti! Fate un altro passo e finirete come il vostro compagno.»
Birger era morto: dopo aver assaporato un breve periodo di libertà e di onnipotenza, la sua esistenza da Separatore era giunta al termine. Ora avrebbe raggiunto quelle anime che in vita aveva fatto tanto penare.
«Pregate per lui affinché le anime non si possano vendicare!» Mise la pistola nella fondina. «Vi avevo dato un'opportunità e l'avete sprecata, tanto vale uccidervi tutti!»
Non fece in tempo ad aggiungere altro, la terra cominciò a vibrare. Sussultava impetuosa. Fu impossibile rimanere in piedi. Lo stesso Bedektor si dovette reggere al suo trono. Ci furono forti bagliori e secchi scoppi, come legna spaccata da asce brandite con vigore. Non pareva una scossa di terremoto, qualcosa si stava materializzando all'interno della grande tenda: un albero compariva e scompariva, con un'intermittenza non regolare. Tutti osservavano sbigottiti.
«Dobbiamo andarcene di qui!» gridò Barry in quel trambusto.
«Nooo!» urlò Bedektor «Non vi azzardate a fare un passo!
«Non rimarrà più niente del vostro campo! Verrà spazzato via!»
Al di fuori della tenda si udivano un susseguirsi di boati e urla di panico. Lampi di luce illuminavano la buia notte, quella cosa stava interessando l'intera zona.
Ci fu un colpo di vento impetuoso che sradicò i picchetti della tenda. Come un lenzuolo steso stava per volarsene via, quando una grossa quercia si materializzò dal nulla e se ne fece da cappello per i suoi rami più alti. L'aria colpì i presenti scaraventandoli a metri di distanza. Una guardia fini perfino per rompersi il collo sulla cima dell'albero. Altre piante sparirono e altre comparirono. Le foglie, colpite dai fasci di luce, lampeggiarono ad ogni bagliore roteando in un turbinio di colori. Sbucarono rocce, mentre altre parti del terreno sprofondarono come posate su faglie friabili. Al disopra del campo, un ammasso di nubi grigiastre si stava concentrando in un lento vorticare. A poco a poco la luna sparì, tuttavia nessuno ebbe il tempo di accorgersene. In un fuggi fuggi generale, la pioggia cominciò a cadere dapprima leggera, poi scrosciante.
Piano piano l'ira della natura si placò e calò il silenzio
Tutto intorno era mutato: con la morte di Birger, il potere del Consiglio non era più sufficiente a mantenere il passaggio occultato. Il tempo e lo spazio avevano trovato un compromesso per quella nuova realtà.


Quella notte, il letto di Azura aveva tremato come non mai. Terremoto? Eppure le era parso di aver visto lampi e tempesta fuori dalle mura. Cosa era successo? Il castello era in fermento, per fortuna nessun danno rilevante a cose o persone. Qualche vaso rotto e qualche bernoccolo.
La Governatrice ordinò ad una cinquantina di uomini di uscire per le strade delle città in aiuto della popolazione: in caso avessero trovato strutture pericolanti, andavano evacuate e delimitate. Con l'arrivo della luce, avrebbero valutato la gravità della situazione.
Mentre percorreva il corridoio in direzione della propria stanza, una delle sue guardie personali le corse incontro: l'uomo arrivato con lo strano oggetto di metallo aveva improvvisamente ricordato qualcosa.
Dopo un paio di giorni dal suo ritrovamento, Mistero ‒ così lo chiamavano al castello data la mancanza di delucidazioni in merito a tutto ciò che lo riguardava ‒ si era svegliato e per un'altra decina era rimasto muto. Sembrava non voler parlare con nessuno, in verità versava in un pesante stato confusionale. Quando riuscì ad emettere qualche suono, si scoprì che usava l'idioma più antico mai conosciuto, quello risalente all'epoca dei Sette Architetti. La lingua dell'inizio dei tempi. Purtroppo per tutti, non aveva saputo fornire alcuna informazione utile: aveva perso la memoria, non ricordava nemmeno il proprio nome e da dove venisse.
Azura entrò nella stanza dell'uomo insieme all'unica persona di Varineo che conoscesse quella vecchia lingua, un archeologo di nome Damon Wilson. Da quando la Governatrice aveva richiesto la sua collaborazione, si era trasferito in pianta stabile in qualche camera più in là, dovendo così sospendere i suoi studi fino a data da definirsi. Infondo quell'occasione era venuta giù come manna dal cielo per lui: quando gli sarebbe ricapitato di incontrare un uomo con cui dialogare in quell'idioma vecchio di secoli?
Il signor Wilson conversò per qualche minuto con Mistero, poi tradusse il tutto alla Governatrice: «Mi ha detto di aver viaggiato più volte su quel oggetto in cui lo abbiamo ritrovato e che non era il solo a farlo. Il giorno dello schianto era partito anche un altro viaggiatore prima di lui, il suo nome è Norman.»
«Si ricorda del suo compagno e non di sé!? Bè, è già qualcosa... da dove sono partiti, questo lo rimembra?» domandò Azura.
Wilson tradusse.
«No, nient'altro.»
Mistero la guardò sconsolato, avrebbe voluto fare di più per sé e per quell'incantevole donna tanto gentile.


Non furono le scosse a svegliare il Memolongo del Comenio quella notte, bensì il presentimento che qualcosa di pericoloso fosse accaduto. Si levò dal suo giaciglio, attraversò l'atrio dalla bassa colonna centrale e per la prima volta dopo decenni uscì dall'edificio.
 

Orvo era stato svegliato come tutti dal sussultare della terra. Dall'alto della torre di guardia di Kakarat, osservava la zona sottostante del bosco di Haroonwall. La ricordava diversa. Per qualche minuto credette di aver bevuto troppo Barbadù prima di coricarsi, eppure non aveva così esagerato, la compagnia non era stata delle migliori. Che un terremoto potesse devastare un intera area questo era certo, ma da quando in qua avrebbe permesso ad un bosco di estendersi in una notte? Doveva esser accaduto qualcos'altro.
Quando assisteva a qualche avvenimento insolito o misterioso, il primo pensiero era sempre per Kir e la sua trasformazione avvenuta fuori dalla villa del ricco commerciante di pelli provenienti dall'Ovest.
Ne ha viste tante nelle sua lunga vita, di sicuro lui saprebbe spiegare!


Kir aprì gli occhi. Da quanto era svenuto? Il sole non era ancora sorto, non doveva essere passato molto tempo. Le doleva la testa, forse era stato quel grosso ramo che aveva visto roteare velocemente verso di se prima di svenire.
Si levò a fatica guardandosi intorno con una certa confusione. Lo spettacolo era agghiacciante: il campo era stato raso al suolo. Qua e là sparsi ferri, teli e corpi umani.
Tutti morti?


Mira si svegliò di soprassalto, madida di sudore. Per fortuna era solo un incubo, si trovava ancora nel proprio letto. Aveva sognato la guerra, una di quelle combattute in superficie narrate nelle storie antiche della sua gente. Gli era parso tutto così tremendamente reale però, ricco di particolari. Come in un ricordo piuttosto che in un sogno.
Poteva ancora sentire il rombo del velivolo che le aveva scompigliato i capelli col suo forte spostamento d'aria. Eppure lei non aveva mai udito tale frastuono nella vita reale, non vi erano mai stati conflitti veri e propri nel posto dove abitava. L'unico mezzo volante da lei mai visto era quello del Monumento agli esploratori, eretto duemilaquattrocento anni fa.
Quello di quella notte aveva particolarmente sconvolto Mira: c'erano uomini a cavallo seguiti da creature degne di libri di fantasia. Brandivano spade e indossavano delle singolari armature di metallo. Con suo stupore, si era ritrovata anche innamorata di un giovane combattente. Le aveva regalato un fiore di campo. Lassù era pieno di campi. Ma com'era fatto di preciso un campo?
Non ricordava cosa avesse scatenato quello scontro, ma centrava con il Giorno della Luce: il giorno in cui il suo popolo sarebbe ritornato in superficie.












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