Dopo aver cenato, Helen si ritirò nella sue stanze cercando di non pensar troppo ai tre rinchiusi al piano di sotto. Avrebbe voluto liberarsene, ma qualcosa le suggeriva di esser paziente. Forse la semplice curiosità di conoscenza, la faceva indugiare. Ma come aveva potuto quell'uomo chiederle di scoprire il volto? Quell'argomento innescava in lei reazioni a dir poco spropositate, non riusciva proprio a controllarsi. Per fortuna, aveva imparato a rimandare le decisioni a quando l'umore si fosse acquietato.
Decisa a dormirci sopra, si spogliò degli abiti e rimase in sottoveste. Davanti al grande specchio postò su di un tavolo ricco di decorazioni, non poté far a meno di ripercorrere con il dito, il lungo sfregio che le causò la perdita dell'occhio destro. Come un solco nel terreno, divideva in due la guancia, fino a scomparire a bordo labbra. Con quel rito, rinnovava ogni sera l'odio per la sorella.
Erano trascorsi, ormai sette anni, da quella notte in cui Ashly commise l'irreparabile.
Helen aveva da pochi giorni compiuto diciott'anni e, come tutti gli eredi al trono, si preparava a sostituire il padre nei suoi compiti. Quel giorno si era occupata di alcune faccende riguardanti il grande mulino di Peridor, paesello limitrofo a Ma Chais, in cui venivano macinata la farina per tutte le terre di Tunk. Nonostante la giovane età, aveva talento: si era guadagnata una certa fiducia tra la popolazione, facendo così da tramite la tra la classe meno abbiente e quella regnante.
Di rientro a palazzo, la sorella minore, Ashly, le propose di far una scappata al Fiero Mozzo, la più "in" tra le locande della città, per quanto si possa considerare "in" un postaccio come quello. Nonostante Helen fosse al quanto restia, per loro era quasi diventata un abitudine: si vestivano come delle sempliciotte e, con l'aiuto di qualche complice tra i soldati ben pagato, sgusciavano via tra le strade cittadine. Se solo l'avesse mai scoperto il padre, le avrebbe rilegate in stanza per almeno due primavere.
Se Helen sapeva districarsi tra conti, burocrazie e diatribe di ogni genere, Ashly era un vero portento in mondanità: beveva, fumava e sapeva tener a bada gli uomini. A lei non toccavano grandi responsabilità, ne aveva mai fatto niente per guadagnarsi la fiducia dei genitori. L'amore e l'attenzione donati alla sorella, l'avevano resa però estremamente invidiosa. In fondo, ognuna di esse avrebbe voluto in parte essere l'altra.
Giunte alla locanda da circa mezz'ora, la sorella minore si aggregò ai festeggiamenti di uno sconosciuto, diventato padre da qualche ora e, come tutte le sante volte, ad Helen era toccato farle da balia. La bellezza, la timidezza, l'intelligenza e la sobrietà della più grande, finirono, però, per mettere in ombra le "doti" della più giovane. Era stato sempre così fin dai tempi della scuola. Sbornia, gelosa e in collera, Ashly, trascinò la sorella per un braccio fuori dalla locanda. Odiava quello sguardo innocente o forse avrebbe solo voluto non sentirsi messa in secondo piano per una volta. Dopo un'animata discussione, fatta di virtù, uomini e privilegi, la lama di un coltello, rubato al tavolo, finì per sfregiare il dolce volto del Fiore di Tunk.
La guarigione fu lenta e dolorosa.
Trascorse tre mesi senza dire una parola e con lo sguardo costantemente perso nel vuoto. La ferita piano piano andò rimarginandosi, ma quel terribile episodio aveva aperto una voragine incolmabile nell'animo. Come era stato possibile tutto ciò?
Ashly intanto, attendeva di conoscere il proprio destino in una delle celle del palazzo: era pentita, ma ormai nulla poteva dire o fare per rimediare all'errore commesso. Sarebbe rimasta lì fino a quando Helen non si fosse ripresa del tutto, pronta ad affrontarla. Quando arrivò quel giorno, Re Gavin, rimise alla volontà di Helen le sorti della sorella: lei avrebbe potuto ucciderla con le proprie mani o farla torturare a vita, ma decise invece di bandirla dal regno. «Nessuna vendetta mi ridarà il mio occhio!» Così diceva.
Il padre ritenne la pena al quanto esigua, perciò, prima di scortar Ashly personalmente ai confini dei propri domini, le fece marchiare a fuoco il viso, con una lettere H, come simbolo del suo ignobile gesto.
Helen non rivide mai più la sorella.
«Ora le terre di Tunk non avranno più un fiore da ammirare!» Le parole che Ashly pronunciò, mentre il sangue scolava ancora dalla lama, tornavano ogni sera nella mente di Helen, davanti alla propria immagine riflessa nello specchio, insieme ai ricordi sconcertanti di quel terribile periodo della sua vita.
Si ridestò e raggiunse il suo giaciglio. Trascorse una mezz'ora, poi un'altra e un'altra ancora, ma non riusciva a prendere sonno, si rigirava nel letto insieme alle congetture sulle parole degli uomini giunti da Varineo: doveva parlarci di nuovo.
Si rivestì in fretta, ma senza tralasciare la spazzolata ai lunghi capelli biondi. Come ultimo gesto, indossò il velo e uscì dalla camera.
Era circa mezzanotte quando un cigolio svegliò Mastro Barry, appisolatosi seduto contro una parete. Questa volta la porta si aprì lentamente ed un lume rischiarò l'interno della camera. I tre si alzarono in piedi e guardarono in direzione della luce. L'intenso bagliore nascondeva i lineamenti della regina.
Anche se non fosse tenuta a farlo, Helen, chiese il consenso di poter entrare. «Scusatemi... forse abbiamo cominciato con il piede sbagliato!»
Kir si avvicinò di qualche passo alla donna. «Può darsi, ma ora è pronta a scoprire cosa abbiamo da mostrarle?»
Se avesse risposto in maniera affermativa, la regina avrebbe dovuto accomodare alle loro richieste. Fu percorsa da una forte stimolo che le suggeriva di lasciar perdere, di liberare quegli sconosciuti e di riprendere la propria vita di sempre. Esitò sulla soglia, poi annuì e lasciò orgoglio e paure fuori dalla stanza.
Fece portare due sedie come Kir le aveva chiesto nel pomeriggio, ma non volle nessuna guardia a presenziare: aveva deciso di fidarsi e l'avrebbe fatto senza mezze misure.
Helen era tesa. Al mezzofalco non sfuggì e cercò di tranquillizzarla: «Allora, sieda e si rilassi, il mio amico Leonard prenderà posto qui davanti, avrà un paio di cose da dirle. In seguito, lei potrà farci tutte le domande che desidera.»
«Tutto qui?» domandò stupita la regina.
«Tutto qui!»
«Per quale motivo devo allora mostrarvi il viso?»
«Tra di voi c'è un legame. Un legame di cui lei non è a conoscenza e, affinché comprenda, deve mantenere lo sguardo fisso negli occhi del mio compagno. Con il velo, temo non funzioni!»
«Ma che assurdità è questa!?»
L'armaiolo si sistemò sulla seduta e le prese la mano. «Mia Signora, si fidi di noi. La prego!»
Quell'uomo le pareva sincero, un buon uomo. «Va bene...» Sospirò.
La donna scoprì lentamente il viso, lasciando cadere il velo da un lato: abbassò il mento e lo sguardo per la vergogna, controllando furtivamente le reazioni degli uomini intorno a lei. Non si meravigliarono per lo sfregio, niente affatto, ma per la mancanza dell'occhio destro. E se non avesse funzionato?
Barry la invitò a guardarlo e sorrise. «Questa cosa è bizzarra anche per me!» Lei ricambiò con un'espressione tirata ed inspirò a fondo.
L'armaiolo si avvicinò con il naso fino ad arrivare ad un paio di spanne da quello della regina. «Ora le dirò una cosa. Si concentri esclusivamente sulle mie pupille: "Resta attento non dormire, se la tua vita vuoi finire."»
Forse, ci mise un secondo in più dei suoi predecessori, ma un occhio solo bastò. Edwald si era appostato ad un paio di passi dalla sedia per sorreggerla durante il crollo, l'adagiò delicatamente sul pavimento e attese insieme agli altri il suo risveglio. Era arrivato il momento di conoscere la prossima destinazione.
Come ovvio, quando rinvenne si lanciò in una raffica di domande. Pazientemente furono molto esaurienti, ma ci avrebbe messo comunque un bel po' ad accettare la cosa.
Abo non avrebbe voluto forzare troppo la mano, ma anche lui pretendeva risposte. «Cosa le è tornato in mente?»
La donna camminava per la stanza con il viso ancora scoperto, persa nei nuovi ricordi. Pareva non essere più a disagio, come se l'importanza degli ultimi avvenimenti le avesse fatto comprendere quanto futile fosse quella preoccupazione. «Mettendo insieme i vostri racconti, credo che questo sia il mio ricordo cancellato, il prossimo meccanismo di innesco: "Il Sacrificio può servire, ma un membro ignaro dovrà morire". Com'è possibile però, che un S.A.C faccia parte del Consiglio dei Sette?»
«Oh, santo cielo!» Barry rimase basito.
«Hey! Hey! Che diavolo è un S.A.C.?» domandò Abo.
L'armaiolo aveva anche questa risposta. «S.A.C., Separatori di Anima e Corpo! Se mai esistesse un Dio, avrebbe un gran da fare con questi individui, la peggior categoria di Distinti. Anni fa, ho visto agire uno di questi spregevoli personaggi: con un solo tocco sulla fronte è riuscito a strappare l'anima ad un povero malcapitato, lasciandolo così privo di vita. È stato terribile!»
«Se non sono strani non li vogliamo.» ironizzò Edwald.
«C'è poco da scherzare: trattengono le anime dentro a speciali ampolle, per poi dar vita a mostri, creati unendo bestie ed uomini, rattoppandoli come si fa con le bambole di pezza!»
Kir cercò di non infervorare troppo gli animi. «Un problema alla volta. Di chi si tratta?»
In contemporanea volsero gli sguardi verso la regina.
«Birger Virtanen. Stavo riflettendo in merito, ma purtroppo brancolo nel buio. D'altro canto però, credo di poter risolvere questo problema.»
«Ottimo! Perché nessuno di noi sa dove trovare questo signor Virtanen.»
«Ti sbagli, Abo.» lo interruppe Kir «Io lo conosco molto bene, o per lo meno lo conoscevo!»
L'armaiolo lo osservò privo di espressioni, in bilico tra l'esser felice per la fatica evitata nella ricerca e la preoccupazione per ciò che avrebbe appena sentito. «Che intendi dire?»
«Birger è morto sei mesi fa!»
«Non è possibile!» Edwald sollevò all'istante le proprie perplessità. «Stando a quel che ha detto Gursharan, un membro del Consiglio non può essere deceduto!»
«Le cose sono due: o Gursharan non ha detto la verità, il che rimetterebbe in discussione tutte le nostre supposizioni, o Birger è ancora vivo! I Separatori sono una vera e propria setta, non permettono a nessuno di non farne più parte. Secondo me Birger ha finto la morte. Lui è sempre stato diverso da tutti gli altri: odiava fare quello che faceva alle persone, ma fu praticamente obbligato per salvaguardare l'incolumità della propria famiglia. Mesi prima del suo decesso, dialogammo in merito e mi disse di esser vicino alla soluzione dei suoi problemi: aveva trovato il modo di lasciarsi tutto alle spalle e di andarsene da quel gruppo di assassini. Non diedi molto peso a quelle affermazioni, spesso fantasticava. A sto punto, credo proprio che ci sia riuscito!»
«Quindi, abbiamo un morto non morto, che è come se lo fosse dato che non sappiamo dove sia, giusto?» fece il punto della situazione il Giocatore di carte.
Il bottegaio non approvò l'ironia del compagno, ma lasciò correre. «Suggerimenti?»
Helen si coprì nuovamente il viso con il velo «Fidatevi di me. Venite!»
Le segrete di quel edificio erano tremendamente umide, poiché l'acqua del canale scorreva sorda solo qualche mattone più in là. La regina li aveva guidati fin lì sotto, senza dar alcuna spiegazione. Dopo esser passata davanti ad una dozzina di celle, si fermò davanti ad una di esse e chiese ad Edwald di reggerle la torcia. Frugò in una tasca interna del vestito e ne estrasse una chiave.
Fece per aprire la porta, ma Abo la invitò a scansarsi. «Lasci entrare me per primo, può essere pericoloso!»
Helen lo guardò con aria di sufficienza e diede un colpo secco alla serratura che scattò echeggiando per tutti i cunicoli. «Qui sotto, non c'è nessuno da anni!»
Abo lanciò uno sguardo rapido agli altri due. «Non dite una parola!»
Kir sorrise. «Dopo di te!»
La torcia rischiarò l'interno della stanza: era piccola, e piena di cianfrusaglie. Qua è là erano accatastate vecchie sedie rotte, attorniate da mobilia di vario genere in pessimo stato, dimenticata lì dentro chissà da quanto tempo. Una volta accese le lampade interne, la situazione fu chiara: la regina li aveva portati in un magazzino.
«E questa visita notturna alle sue segrete? O direi per lo più "cantine"?» Domandò ironicamente il Giocatore di carte.
Helen non diede retta alle provocazioni ricevute e cominciò a spostare casse e tutto ciò che le veniva a tiro. «Lo teniamo qui perché è l'ultimo posto dove si aspetterebbero di trovarlo. Lo hanno cercato in molti, ma per fortuna senza riuscirci.» Liberò in breve tempo una zona del pavimento e tra la polvere comparve una botola. Sollevò il coperchio di legno senza alcuna fatica e ne estrasse un bauletto. «Lo metta sul quel tavolo, Signor Barry!»
«Che cos'è?» chiese l'armaiolo.
«La soluzione hai vostri problemi!» sorrise fiera. «Apra!»
Non seppe distinguere se provò meraviglia o delusione, ma di certo fu sorpreso. «Sabbia?»
«Sabbia?»
«Sabbia?»
«Sì, sabbia?» confermò lei« Questa è la sabbia di ogni luogo e di ogni tempo, così mi è stato spiegato. Non sappiamo chi l'abbia raccolta e come fa a permettere di fare quel che ci permette di fare, ma funziona in maniera strabiliante! Sarà più facile mostrarvelo!» La bella sfiorita, prese in braccio il piccolo baule e immerse la mano nella sabbia, fino al polso. Pareva molto sicura. «Ora le vostre!»
I tre ubbidirono.
«Da quale città provenite tutti voi?» domandò Helen.
«Varineo!» Rispose per primo Kir. «Ma questo che c'entra?»
La luce delle lampade se ne andò e il buio li avvolse, accompagnato da un fresco venticello. Avevano in qualche modo lasciato le segrete, ma le loro mani si trovavano ancora immerse nella sabbia del bauletto. Ci misero un po' a capire dove fossero capitati, ma poi quel luogo riprese i suoi tratti familiari. Si guardarono intorno disorientati, increduli di trovarsi nella loro amata piazza del mercato.
Abo estrasse la mano dalla sabbia. Gli altri lo imitarono. «Questo è uno scherzo, vero?»
«Niente affatto!» rispose Helen «Siamo a Varineo. Quando vi ho domandato da dove proveniste, il vostro pensiero è stato puro ed è stato facile agganciarci a questo luogo. Funziona anche con le persone, per questo credo che ci tornerà utile per trovare Birger. Chiunque metta la mano nella sabbia verrà trasportato grazie al proprio pensiero, ma solo io e pochi altri possiamo portar anche il bauletto.»
«Non ho ben afferrato.» disse Barry.
«Senza di me, sareste stati trasportati qui, ma la sabbia sarebbe rimasta nella cella di Ma Chais.»
«Tutto ciò è a dir poco straordinario!» Il mezzofalco ne aveva viste nella sua lunga vita e non era facile ormai stupirlo, niente sarebbe tornato più utile in quel momento. Ora avevano un modo rapido per trovare il resto dei Sette.
«Già!» Helen sorrise dietro al velo. «Devo avvertirvi di una cosa però: durante il trasferimento i vostri pensieri devono essere chiari, puri, ma soprattutto non differenti, altrimenti qualcuno di voi potrebbe finire chissà dove!»
«Mia signora, non immagina quanto questo si dimostrerà di prezioso aiuto.» disse Barry
Helen sorrise. «Ora, sarebbe il caso di rientrare.»
«No!» Abo si accorse di aver usato un tono poco rispettoso e si corresse immediatamente. «Scusate, ma devo vedere Azura!» Non poteva starsene a guardare, doveva occuparsi di lei e del suo regno.
«No, Abo. Non è il momento!» lo riprese il mezzofalco «Metteresti in pericolo solo la tua vita. Con Ghirod al potere, presumo che tu non sia il benvenuto. Troveremo Achal e Sivert e risolveremo questa situazione. Ora possiamo raggiungerli facilmente!»
«Devo andare!»
«Non essere sempre il solito testardo! La rivedrai, faremo di tutto affinché ciò accada. Te lo prometto.»
Edwald si passò una mano nei cappelli ed inspirò profondamente per non impazzire. Affondò l'altra nella sabbia. Gli altri fecero lo stesso e la cella di Ma Chais riprese forma intorno a loro.
«Ci hai mostrato una gran cosa, Helen, ma la tua innata capacità da Distinto, qual'è?» domandò Barry.
La bella sfiorita, non diede risposta. Intorno a loro, la disordinata cella cominciò a trasformarsi in un elegante stanza da letto, ricca di stoffe violacee. Sparì la polvere e comparvero mobili finemente lavorati e decorati, tappeti ed uno enorme specchiera. Dal soffitto spunto pure un elegante lampadario.
«Santo cielo!» esclamò l'armaiolo.
«Le basta?»
«È tutto così, vero! «Barry si passò da una mano all'altra un libro appena comparso. «Non è solo un illusione, è qualcosa di più.«
«Riesco a simulare qualsiasi tipo di scenario e a renderlo reale agendo sul cervello. Credo che sia propria la mia dote a rendere possibile il trasporto del bauletto.»
Il volume sorretto dal bottegaio divenne all'improvviso molto più grande e pesante. Impossibile da trattenere, cadde a terra e sparì insieme a tutto il resto della stanza.
«Sei una donna ricca di risorse Helen Demetrick!» affermò Kir.
«Per essere regina, bisogna avere i propri assi nella manica!»
Abo non aveva mostrato alcun entusiasmo per le qualità di Helen. Azura le occupava ancora la testa: la immaginava distesa nel letto, pallida, con gli occhi chiusi, avvolta in una delle sue migliori vesti da notte. Suo malgrado però, Kir aveva ragione, non era cauto agire di impulso. «Domani mattina, se nessuno di voi a nulla in contrario, tenterei di raggiungere Achal e Sivert. Insieme faremo il punto della situazione.
«È un ottima idea.» Barry era felice di poter riabbracciare il giovane Achal dopo tutto quel tempo. «Helen, come ben avrai inteso, dovrai seguirci in questo viaggio, senza di te non potremmo rivedere i nostri amici, ne risvegliare i ricordi di Birger.»
«Qualche ora fa ero pronta a rispedirvi in catene al vostro paese, ma ora contate pure su di me e sul supporto di Ma Chais. In mia assenza Hans farà le mie veci, lo ha già fatto altre volte. Di lui mi posso fidare.»
«Niente di più lieto possono udire le nostre orecchie.» sottolineò l'armaiolo. «Grazie ancora!»
«Riguarda anche me, ora!»
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La Confidenza -La memoria perduta-
RandomEsiste un mondo i cui i domini sono divisi tra regni e città-stato, dove un segreto millenario sconvolgerà lentamente l'esistenza della popolazione... degli uomini comuni e dei Distinti. Qui vive Achal, un giovane con il desiderio di esser qualcosa...