Capitolo 3.

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«Dobbiamo chiamare la polizia.» sentenziò, cercando di attirare l'attenzione di Taylor.

Luce era ancora sotto shock e non riusciva a staccare gli occhi dall'orribile spettacolo che aveva davanti, ma la sua amica era nel bel mezzo di una crisi isterica e l'unica cosa che poteva fare per lei in quel momento, era prendere in mano la situazione e reagire.

Cerca di respirare, si disse. Inspira, espira, inspira, espira. E di nuovo da capo. Lentamente. Pensa. Rifletti. Agisci.

«Taylor», l'amica stava piangendo convulsamente contro la sua spalla, e non voleva accennare a smettere. «Taylor, dobbiamo chiamare la polizia.»

La ragazza alzò lo sguardo, aveva gli occhi rossi e lucidi per il pianto, e lacrime di mascara le macchiavano il viso. Annuì leggermente e si staccò dall' amica. Tirò su con il naso e si asciugò le lacrime con le maniche del vestito. Luce estrasse il cellulare da una tasca dei pantaloncini, ma lì, nel mezzo del fitto bosco, con i rami carichi di foglie che le nascondevano ai raggi della luna, il cellulare non prendeva.

«Non ho segnale.», le comunicò, mostrandole il cellulare.

L'altra fece un verso strozzato, stava per mettersi di nuovo a piangere. E, sul suo volto, lo sforzo che stava facendo per cercare di mantenere il controllo, era evidente.

«Devi tornare alla festa, li c'è segnale. Una volta arrivata la chiama la polizia.»

«Tu che cosa farai? Non puoi restare qui.... Non... Devi tornare con me.», balbettò con la voce rotta dal pianto.

Luce fece un passo verso di lei, i suoi occhi incontrarono quelli scuri e arrossati dal pianto dell'amica. «Tay, devi tornare indietro da sola. Io resterò qui con il corpo.»

«Non puoi.... Luce, se chi le ha fatto questo dovesse tornare?» L'amica indicò il corpo in preda al panico. «Non puoi restare qui da sola.», obbiettò, cercando di convincere la ragazza.

Luce rivolse un'altra occhiata al corpo. Lo esaminò attentamente trattenendo un conato di vomito. Non era un'esperta in materia, ma aveva visto abbastanza polizieschi da sapere che in base alle condizioni in cui si trovava quel corpo non era appena stato abbandonato. Anzi era molto probabile che la ragazza forse morta proprio in quel punto, e che chiunque fosse il colpevole avesse lasciato la il cadavere nella speranza che nessuno lo trovasse.

«Taylor vai, ti prego.» la implorò. L'adrenalina stava rapidamente scemando, e il panico iniziava lentamente a strisciare nelle sue vene. Lo sentiva attorcigliarsi intorno ad ogni suo muscolo, come una spira velenosa e minaccia di farla cedere da un momento all'altro. «E torna qui, subito.»

Taylor scalciò via le sue preziose Loubutoin e le abbandonò tra le foglie, per correre a piedi nudi nel fango e attraversare il bosco.

Luce rimase lì in mezzo al bosco, con la nebbia che si alzava lentamente intorno a lei. L'aria si faceva umida e le ginocchia le tremavano. Stava battendo i denti per il freddo e i suoi occhi vagavano ovunque nel tentativo di non permettersi di guardare di nuovo il corpo. Non sapeva se posando di nuovo il suo sguardo sulla quella macabra visione sarebbe riuscita a reggere.

La sua famiglia non era religiosa. Sì, i suoi genitori si erano sposati in chiesa e lei era stata battezzata, ma lei non aveva mai frequentato il catechismo e andavano a messa solo un paio di volte all'anno.

Sua nonna però era cattolica e da piccola, durante una delle numerose estati trascorse con lei e il nonno a Martha's Vineyard, le aveva regalato una piccola croce che lei portava sempre al collo e le aveva insegnato a pregare. Se ne era quasi dimenticata, ma in quel momento, circondata solo dagli alberi e dalle foglie secche, le tornarono in mente le parole di un'invocazione.

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