Capitolo 8.

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Luce non riusciva più ad addormentarsi. Dopo essersi svegliata di soprassalto e in preda al panico in cerca d'aria, aveva trascorso quasi un'ora a rigirarsi nel letto ed era giunta alla conclusione che la cosa migliore da fare era spendere quel tempo facendo qualcosa di produttivo.

Così si era alzata dal letto, aveva indossato la sua calda coperta con le maniche al contrario, come se fosse un mantello. E si era seduta alla scrivania per fare i compiti. Aveva iniziato con quelli per il lunedì e poi una volta finiti quelli si era portata avanti con quelli del resto della settimana. Stremata dalla versione di latino, che si era rivelata più difficile di quanto si aspettasse, si era alzata per andare in cucina a cercare qualcosa da mettere sotto i denti per far tacere il suo stomaco affamato. Dopo aver preso un pezzo di pizza dal frigo e averlo scaldato nel microonde si era seduta sul divano a guardare un po' di TV. Alle sei del mattino non c'era nulla di decente, quindi aveva ripiegato su un documentario scientifico sugli effetti del surriscaldamento globale che aveva registrato in settimana, e che non era ancora riuscita a guardare.

Era ancora davanti alla televisione accesa persa nel ricordo di quell'incubo che minacciava di non darle tregua. Le sembrava di sentire ancora quelle mani callose che scivolavano intorno alla morbida carne del suo corpo. Le sentiva stringersi sempre di più, fino a soffocarla. Si massaggiò la gola delicatamente, come se stesse cercando di scacciare quella sensazione.

Non c'era nulla che poteva fare per allontanare quella visione da sé, sembrava che non volesse saperne di abbandonarla.

La sentiva strisciare sotto la sua pelle, all'interno del suo corpo. La sentiva scorrere dentro le sue vene, mentre prendeva lentamente terreno, come un veleno che infettava tutto il suo sistema infettando tutto ciò che trovava sul suo cammino.  Si infiltrava nel suo sistema nervoso, per mettere radici nel suo cervello.

Aveva paura di perdere il controllo, di impazzire.

Sentì un rumore provenire dalla camera dei suoi genitori, guardò l'orologio appeso alla parete sopra lo schermo del televisore. Un pesante artefatto in vetro di murano che qualche amico snob dei suoi nonni aveva regalato ai suoi genitori per il loro matrimonio, direttamente dall'Italia, diceva sempre sua madre quando lo lodava agli ospiti. Le lancette indicavano le sette e mezzo del mattino, aveva passato ore sedute sul divano davanti allo schermo accesso e non si ricordava nulla di quello che aveva guardato. Come se non fosse stata lì, immobile per tutto quel tempo.

Le sembrava di vivere un'esperienza di dissociazione. Il suo corpo era la. Lei era la. Però era come se non ci fosse.  Non davvero.

Non aveva voglia di affrontare i suoi genitori, e in modo particolare, non andava di parlare con sua madre. Bonnie era una donna sveglia, le sarebbe bastato guardare in faccia la figlia per capire che non aveva praticamente chiuso occhio per tutta la notte e che qualcosa non andava. E Luce non aveva voglia di subire un interrogatorio, non di prima mattina.

Scivolò fuori dalla coperta, corse verso la porta in punta di piedi e dopo aver infilato un paio di stivali e afferrato il cellulare, prese la giacca e le chiavi di casa ed uscì cercando di non fare rumore mentre si richiudeva la porta alle spalle.

Scese i gradini il più rapidamente possibile e si avviò verso il bosco che circondava l'edificio. Il bosco, come la casa e le tante piccole altre costruzioni che si trovavano sul terreno, apparteneva alla famiglia di sua madre.

Il cielo era carico e denso di nubi grigie che promettevano un temporale nel tardo pomeriggio. C'era una leggera nebbiolina che si alzava dal terreno rendendo tutto lattiginoso, le sembrava quasi un sogno. Era da molto tempo che non andava a passeggiare nel bosco, non si alzava mai così presto la domenica mattina di solito.

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