Capitolo 16.

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La luce del sole filtrava attraverso le nuvole che quel giorno addensavano il cielo illuminando le foglie degli alberi, le cui chiome ricordavano tanti piccoli fiammiferi accessi. Luce ne ammirava lo spettacolo fuori dalla finestra della sala mensa, mentre attendeva di essere raggiunta dal suo solito gruppo di amiche.

Erano passati due giorni da quando aveva scoperto chi fosse realmente Miles, e non aveva sua notizie da quel giorno. Taylor le aveva sequestrato il cellulare e non glielo aveva più restituito. Moriva dalla voglia di sapere se lui l'aveva cercata. Aveva bisogno di saperlo. Doveva saperlo, per potersi aggrappare a qualcosa. Sebbene sapesse che era sbagliato, dentro di lei ardeva una piccola fiamma alimentata da quella speranza.

Perché Luce sperava che Miles avesse una scusa, una giustificazione plausibile per averle tenuto nascosta la sua vera identità. Doveva esserci un motivo se non le aveva detto chi era, e lei voleva conoscerlo.

Quando Taylor posò il suo vassoio sul tavolo e scivolò sul sedile di fronte al suo i suoi occhi abbandonarono lo spettacolo offerto dalle chiome degli alberi, per rivolgersi al viso dell'amica.

«Che cosa c'è?» Le chiese subito quest'ultima, studiando con attenzione il suo piatto d'insalata.

«Ho bisogno del mio cellulare.» Rispose immediatamente, senza preoccuparsi delle altre persone che erano sedute al loro tavolo.

Non le importava che sentissero la loro conversazione, erano libere di ascoltare se non avevano nulla di meglio da fare. Lei doveva risolvere quella questione, subito. Non poteva attendere oltre, aveva già aspettato abbastanza.

«Perché hai tu il suo telefono?» Si intromise Italia, prendendo un sorso della sua bibita dietetica.

Quella cosa piena di edulcoranti l'avrebbe uccisa, pensò Luce, ma non lo disse ad alta voce. Aveva imparato che c'erano alcuni pensieri che era meglio tenere per sé, quello era uno di quelli.  Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, diceva sempre suo nonno.

«Mi serviva» replicò l'altra, spostando le foglie d'insalata con la sua forchetta, invece di mangiarle.

Era visibilmente a disagio, ma Luce non poteva esserne certa. Non aveva mai visto Taylor in imbarazzo.  «E la risposta è no.»

Luce sbuffò e alzò gli occhi al cielo: odiava quando Taylor faceva così. Aveva già una madre e non gliene serviva un'altra. Bonnie le bastava e avanzava, per quella e per tutte le vite a venire.

«Tay, mi serve. Non posso andare in giro senza cellulare» provò a convincerla. «E come faccio se mi cerca mia madre?»

«Allora vuol dire che ti sto facendo due favori.»

Invece di replicare a quella dichiarazione di meriti, la ragazza le lanciò un'occhiata esasperata. I suoi occhi color fiordaliso incontrarono quelli color caffe dell'amica, e cercarono di trasmetterle un messaggio telepatico.

Una volta, quando erano più piccole, riuscivano a capirsi con un solo sguardo. Bastava che i loro occhi si incontrassero perché quello che una stava pensando si materializzasse immediatamente anche nel pensiero dell'altra. Nessuna delle due pensava davvero di poter leggere nel pensiero, ma l'idea che ad unirle ci fosse un legame profondo, qualcosa di più di una semplice amicizia, le faceva sentire speciali.

Adesso sembrava che quel filo si fosse spezzato, o per lo meno che si fosse logorato nel corso del tempo. Non solo la maggior parte delle volte Taylor sembrava non capirla, ma c'erano momenti in cui non riusciva a sopportarla. Come quello.

«Non farti pregare.» Replicò tendendo la mano verso di lei, il palmo aperto in attesa che le venisse restituito ciò che le apparteneva.

Aveva aspettato fin troppo.

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