Capitolo 17.

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Quando il giorno dopo Luce si svegliò, la luce del sole che filtrava attraverso le sottili tendine appese alla finestra della camera della sua migliore amica, le ferì gli occhi. Aveva un mal di testa lancinante e le tempie le pulsavano al ritmo di un martello pneumatico, che solo lei riusciva a sentire. La bocca era impastata, e nonostante si fosse lavata i denti due volte prima di andare a dormire, aveva ancora un leggero retrogusto di vomito.

«Stai di merda.» le confermò Taylor arrampicandosi sul letto accanto a lei.

Grazie tante, pensò la ragazza, non saprei davvero come fare senza di te. Invece di controbattere si morse l'inferno della guancia e si mise a sedere, lentamente.

Sebbene la sera prima avesse dato spettacolo e si fosse sentita malissimo, quella notte, per la prima volta dopo molto tempo, era riuscita a dormire senza essere tormentata dai suoi incubi.

«Che ore sono?» chiese, cercando il suo cellulare. Era convinta di averlo lasciato sul comodino di legno accanto al letto, ma non c'era.

«Sono quasi le tre del pomeriggio.»

Le tre del pomeriggio? Non aveva mai dormito fino a tardi in vita sua, nessuno dormiva così tanto nella sua famiglia. Quando era piccola sua nonna amava ripeterle che il mattino aveva l'ora in bocca, che era sempre meglio alzarsi presto in modo da poter fare le cose con calma che lasciarsi vincere la pigrizia per finire con il fare le cose di corsa. Di solito si svegliava alle sei, faceva una doccia, si preparava per andare a scuola e poi faceva colazione. Si attardava a letto solo la domenica mattina, quando rimaneva sotto il caldo riparo delle coperte fino alle dieci.

«I miei genitori mi avranno data per dispersa.» commentò, frugando tra le lenzuola alla ricerca del suo telefono.

Niente, non era nemmeno lì. Eppure era sicura di averlo con sé la sera prima.

«Bonnie ha chiamato mentre dormivi, le ho detto che eri ancora a letto e che saresti tornata a casa nel pomeriggio.»

«Grazie» questa volta lo pensava davvero.  «Hai per caso visto il mio cellulare?»

L'altra scosse la testa e saltò giù dal letto. Luce la imitò.  «Vado a farmi una doccia e poi torno a casa, magari l'ho dimenticato lì.»

Taylor annuì. «Vado a prenderti qualcosa da mangiare.»

Luce la ringraziò, anche se il solo pensiero di mangiare qualcosa in quel momento le fece tornare i conati. Prese la sua borsa ed entrò in bagno, la posò sotto per terra sotto il lavandino e aprì il getto dell'acqua calda. La fece scorrere fino a quando non iniziò a produrre una piccola nuvoletta di fumo, poi si svestì e scivolò dentro il vano della doccia attraverso le porte scorrevoli.

Lavò via tutto ciò che restava della sera precedente, la lacca dai capelli, il trucco dal viso, l'odore di sudore insieme a la sensazione di essere di nuovo sul punto di vomitare che non voleva abbandonarla. Una volta che si sentì pulita e profumata uscì e si avvolse in un grande telo di spugna color zafferano. Si asciugò in fretta e indosso il suo cambio di abiti. Raccolse i capelli in una crocchia sulla nuca studiando la sua immagine riflessa allo specchio. Il viso di solito pallido era quasi cereo, bianco cadaverico, gli occhi blu gonfi per il sonno e arrossati. Aveva davvero un aspetto orribile.

Distolse lo sguardo per non dover sopportare oltre quella visione, era solo una pallida visione di ciò che era un tempo. Un fantasma di una vita precedente, spesso si trovava ad osservare le cose come se le vedesse attraverso lo schermo di una televisione. Una di quelle grandi e vecchie, con il tubo catodico, che trasmettevano solo programmi in bianco e nero. Quella vita era la sua, eppure non le apparteneva. Non più.

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