Capitolo 31.

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«Che cosa hai intenzione di fare, fireflie?» le chiese Miles, afferrandola per un polso.

Che cosa voleva fare? Voleva andare a cercare la sua migliore amica. Doveva farlo, non poteva non farlo.

«Andiamo a cercarla», rispose, guardandolo negli occhi.

Voleva fargli sapere che era determinata, non gli avrebbe permesso di fermarla. Sarebbe andata a cercare Taylor con, o senza, di lui.

«Suppongo che questa sia una delle cose stupide a cui si riferiva Taylor», replicò il ragazzo, con un piccolo sorriso. Forse aveva ragione, era una cosa stupida, ma annuì.

Le dita del ragazzo scivolarono giù lungo la sua mano, fino a raggiungere lo spazio tra quelle di lei, e le intrecciò alle sue. L'avrebbe seguita, avrebbe fatto quella cosa con lei. Era chiaro che, anche se in un breve lasso di tempo, si era affezionato alla sua amica.  «Andiamo.»

Luce prese la sua giacca, lui fece lo stesso, e uscirono dalla sua stanza. La stanchezza della notte passata insonne iniziava a farsi sentire, le testa le scoppiava e gli occhi la imploravano di chiudersi, di poter riposare.

Non aveva tempo per quello, avrebbe dormito una volta trovata la sua migliore amica, fino a quel momento non si sarebbe concessa di rilassarsi. Non poteva farlo, non avrebbe trovato un altro cadavere. Quella storia doveva finire, e sarebbe stata lei a mettervi un punto. Guidò Miles lungo il corridoio, rinsaldando la presa sulla sua mano.

La stanchezza aveva già iniziato a far sentire i suoi effetti, la ragazza si era dimenticata dei due agenti che Lachowski aveva lasciato appostati al fondo delle scale.

«Dove credi di andare?», le chiese uno di questi, nel vederla sopra al primo gradino. Lei lo ignorò, scese i gradini lentamente, e li raggiunse.

Guardò uno dei due agenti, era la donna che aveva preso le loro deposizioni quella prima notte nel bosco, e si rivolse a lei.  «La mia migliore amica non è tornata a casa. Voglio andare da lei.»

L'altro agente, quello a cui non si era rivolta, rispose al posto della sua collega.  «Scordatelo.»

«Lachowski ha detto che non potevo fare un passo senza di voi, non che non potevo uscire di casa.»

L'uomo, quello che quel giorno si era fatto sfuggire Miles e Taylor, prese a scuotere la testa in cenno di diniego.

La ragazza continuò a parlare con l'agente Romero.  «Vi sto solo chiedendo di accompagnarmi lì per controllare che stia bene, solo questo.»

La donna spostò il suo sguardo da lei al ragazzo che era alle sue spalle, per poi annuire rivolta verso il suo collega. «Vi accompagniamo, ma poi torniamo subito qui.»

«Grazie» replicò Miles, strizzandole la mano in modo incoraggiante.

Luce ricambiò la sua stretta e si sforzò di sorridergli, anche se le faceva male il cuore. La testa le pulsava e i pensieri che vi vorticavano all'interno, la stavano portando sull'orlo di una crisi di nervi.

Sta bene, pensò. Deve star bene. Chiuse gli occhi e cercò di allontanare quei pensieri, non poteva permettersi di perdere quella speranza. Aveva bisogno di credere che la sua amica stesse bene. Taylor doveva star bene, altrimenti non se lo sarebbe perdonata. È colpa mia, echeggiava una voce nella sua testa, è tutta colpa mia. È in pericolo per colpa mia. Il suono della voce dei suoi pensieri si perdeva nel sussurro in cui si era trasformata la richiesta di aiuto di Marina, il suono del violino associato alla piccola Sarah, si era affievolito, fino a sparire.

Le restava solo il ricordo della melodia che l'aveva condotta dalla sorella del suo ragazzo, e il cuore le si strinse davanti a quella consapevolezza: la sua traccia stava svanendo.

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