Capitolo 26.

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«No» urlò Luce per l'ennesima volta. Le sue dita erano così strette che riusciva a vedere le nocche bianche attraverso la pelle. Iniziavano a farle male, e non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscita a reggere. «Ti ho detto che non ho voglia di uscire.»

Taylor voleva costringerla andare in centro con lei per fare shopping, perché secondo lei dovevano comprare qualcosa di carino da sfoggiare alla festa. Il problema di Luce non era lo shopping in generale. Al contrario, le piaceva andare in giro per negozi a fare spese: vedeva una cosa che le piaceva, la provava e se le stava bene, allora decideva di comprala. Fatto. Finito. Il problema era fare shopping con Taylor, in particolare. La sua migliore amica riusciva a renderla un'attività interminabile, che richiedeva diverse prove, cambi d'abito pressoché infiniti, e una qualche sosta per rifocillarsi dopo lo sforzo. «E poi devo studiare per un test. È importante.»

«Figurati, conoscendoti avrai iniziato a studiare giorni fa.»

Non aveva tutti i torti: era una settimana che si preparava per quell'esame. Ma non era quello il punto.

Taylor non voleva darsi per vinta. Le sue mani erano strette intorno alle caviglie dell'amica, e stava cercando di tirarla fuori dal letto con la forza.

Nel corso della lotta il materasso era scivolato fuori dalla base del letto, e ora Luce si stava tenendo alle doghe in legno. Due erano le cose: o si sarebbe lussata entrambe le spalle, o avrebbe guadagnato qualche centimetro. Luce sperava nella seconda. Non le sarebbe dispiaciuto essere un po' più alta.

«Lucille Cecilia Robertson» l'amica aveva assunto un tono imperioso, quello che di solito precedeva un rimprovero, ma che nel caso di Taylor finiva sempre con una supplica. «Ho bisogno di passare un po' di tempo con qualcuno al di sopra dei dieci anni, che non sia il mio ragazzo.» sbuffò, scostandosi i capelli dal viso con una scrollata di capo. «E che non canti tutte le canzoni della Sirenetta a ripetizione.»

Il pensiero la fece ridere. Doveva essere davvero una tortura per Taylor passare il suo tempo libero insieme alla sorellina di Heldon.

«Posso cantare quelle di Pocahontas?» la stuzzicò, rinsaldando la presa delle dita intorno alla doga a cui si stava reggendo.

«Solo se non ci tieni ad arrivare a domani» la minacciò con tono intimidatorio.

A quel punto Luce vide qualcuno passare davanti alla porta, e lo chiamò. «Papà.»

Joe, che aveva già superato la stanza della figlia, tornò indietro e si fermò sulla soglia della camera. Osservò la scena senza commentare: il letto era disfatto, le coperte pendevano da un lato, mentre metà del materasso era appoggiato sul pavimento, e la figlia era per metà sospesa sopra all'intelaiatura di legno mentre la sua migliore amica la tirava per i piedi. Non sapeva davvero cosa dire.

«Buongiorno Joe, come va?» lo salutò Taylor, come se nulla fosse.

«Buongiorno Taylor, tutto bene. Tu?»

Certo, perché aiutare la povera ragazza a cui le braccia stavano per staccarsi dal corpo, quando ci si poteva tranquillamente scambiare dei convenevoli?

«Per caso volete anche dei pasticcini con il vostro caffè?» chiese sarcasticamente Luce.

I due sembrarono non udirla.

«Molto bene, grazie. Sto cercando di convincere Luce ad uscire con me» rispose l'altra.

Suo padre si limitò ad annuire, prima di tornare a rivolgersi a lei. «Sto andando da Len. Ci vediamo più tardi.»

Fece per allontanarsi di nuovo, ma poi si bloccò e si sporse sull'uscio. «Luce, una volta finito di giocare, rimettete a posto la camera.»

Poi sparì.

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