Capitolo 29- Nobody said it was easy

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4 mesi.

16 sedute.

720 minuti.

E ancora mi sentivo piccola e sciocca in quella sala d'aspetto, seduta sulla panca di legno.

Era la diciassettesima seduta dalla psicologa, un appuntamento fisso del lunedì ormai da mesi.

Dall'angolo sbucò il viso familiare della dottoressa che mi fece un cenno perchè era il mio turno.

Presi la mia borsa e la giacca e mi avviai.

"Buonasera" dissi senza entusiasmo mentre mi chiudevo la porta alle spalle.

"Buonasera Elena" rispose lei, aspettando che prendessi posto su una delle sedie.

Quando lo feci, indugiai un momento su ciò che mi circondava. Non avevo mai notato in quattro mesi la polvere sulle inferiate alla finestra, chissà da quanto era li, mi chiesi.

Non avevo mai notato il mobiletto alla sinistra della scrivania come le poltroncine scure che gli erano davanti.

Non avevo mai neanche notato l'azzurro sbiadito delle pareti, per un momento mi ricordò quelle del mio liceo e mi spuntò spontaneo un sorriso. Sembrava tutto così terribile all'epoca ma ora non faceva più paura.

L'azzurro veniva scelto perchè era un colore che favoriva la calma e la concentrazione, quasi come se si potesse trovare serenità tra quattro mura sconosciute, esponendo se stessi ad una persona mai incontrata.

La prima seduta è quella che si ricorda di più, come ogni prima volta: l'ansia, il non sapere cosa dire, le parole da usare, la paura di non essere capiti e di venire giudicati ma allo stesso tempo la speranza di trovare qualcosa, qualcuno, anche solo se stessi.

Ripensavo al nostro primo incontro quando la voce della dottoressa mi risvegliò dal torpore.

"Elena, stai bene? Possiamo inziare?" disse con tono leggermente preoccupato.

"Si si scusi, ero sovrapensiero" risposi e mi limitai a guardarla, aspettando che mi rispondesse o mi ponesse qualche domanda, che ovviamente non arrivò.

Se avevo capito una cosa, un concetto che in 20 anni non avevo ancora appreso e assimilato è che esistevano davvero dei momenti miei, in cui ero l'unica cosa che contava e che doveva raccontarsi.

"Sa dottoressa, per oggi non ho portato nulla" dissi.

"Immaginavo. Come mai?" rispose lei, quasi come se non fosse stupita dal mio comportamento, come se una maestra non si stupisse di un alunno che arriva a scuola senza compiti e senza aver studiato la lezione, pur sapendo di essere interrogato.

"Le ho raccontato tante cose  mie. Dalla volta che quelle che dovevano essere mie amiche mi hanno voltato le spalle alle medie, agli insulti ricevuti da mio padre per non aver fatto un'università prestigiosa e aver tradito le sue aspettative, all'aver ammesso per la prima volta che non sono perfetta, che non devo esserlo e seguire i sogni di altri, come voler diventare medico, e che sono una persona libera.

Libera di pensare quello che ritengo più giusto, di scegliere per me quello che voglio tra il meglio che posso ottenere  e libera di parlare, di dire la mia opinione perchè merita rispetto.

Ma allo stesso tempo sento che queste cose che le ho raccontato non mi appartengono, come se raccontarle, farle uscire, le avesse fatte diventare di un'altra persona.

Io però questa persona la conosco, sembra quasi un' amica di vecchia data, con cui ero solita condividere tanto ma che ora sento lontana, per questo sento un vuoto.

Probabilmente quello che mi aspettavo dalle nostre sedute è proprio questo, il perdermi per poi riuscirmi a ritrovare e ricostruirmi migliore di prima, come se prima di costruire un muro solido e resistente bisognasse abbattere quello di legno che c'era precedentemente.

E molto probabilmente è così che bisogna fare, non continuare ad aggiungere assi per chiudere i buchi e rattoppare quello che già c'è ma avere il coraggio di buttare giù il muro, rimanere temporaneamente nudi, lasciandosi frustare dalle intemperie mentre si costruisce quello nuovo, in mattoni, solido.

Ma direi che non sono molto ferrata sulla carpenteria" dissi concludendo con una risatina come per sdrammatizzare.

Lei però non rise, si limitò a fissarmi come per invitarmi ad andare avanti nel discorso e nelle riflessioni, così feci.

"Ehm, dicevamo della persona...non credo però sia necessario dire addio a quella vecchia amica, anzi.

Credo debba rimanere, come un'ombra alle mie spalle, non in senso negativo, ma come ricordo di ciò che sono stata e che in parte rimango ma come qualcosa che ho accettato come parte di me, che so esistere e che apprezzo comunque con le sue imperfezioni.

Non è una strada semplice l'imparare ad ascoltarsi come non lo è accettare chi siamo o chi stiamo diventando, ma forse è vero che è meglio perdersi in un viaggio impossibile che non partire mai"

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Come sempre non so cosa dire, spero che il capitolo vi piaccia, se state continuando la mia storia.

Grazie di ogni momento che spendete a leggere queste righe per me importantissime.

Non è più  molto la storia d'amore che vi aspettavate, ma chi lo sa che non possa tornarlo e chi lo sa che non possa piacervi anche qualche capitolo un po' più introspettivo diciamo.

Mi rendo conto che ci sono milioni di persone la fuori nel mondo sicuramente migliori nello scrivere e migliori nell'analisi interiore, ma questa sono davvero io e scrivo ciò che sento.

E sento che ogni piccola fiamma merità di avere un po' di legna che le permetta di diventare un grande fuoco scoppiettante.

Grazie di essere il mio ceppo di legno.

Chiara







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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 28, 2016 ⏰

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