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Non sarei potuta andare al loro concerto, a quello degli One Direction. Loro erano tutto per me e anche se poteva sembrare infantile avere degli idoli su cui basare un po' della propria felicità, a me non importava. Vederli cantare dal vivo era stato il mio sogno fin da quando, due anni prima, avevo ascoltato per la prima volta una canzone intonata da quelle cinque splendide voci.
Avevo esultato per le loro vittorie, e pianto quando Zayn aveva deciso di andarsene dalla band.
Ognuno di loro per me era importante e unico a modo suo: Harry con i suoi riccioli, che ormai gli arrivavano quasi alle spalle e gli occhi verdi, era il componente più giovane della band; Niall aveva la risata sempre pronta e mi piaceva immaginarlo come quello che tirava su il morale a tutti; Liam era il "papà" degli One Direction, quello su cui si poteva sempre contare, e infine c'era Louis.
Bé, che dire di Louis? Per me era perfetto, fin da quando sembrava che i suoi unici vestiti fossero camicie a righe bianche e blu, pantaloni rossi e bretelle.
Quando ero riuscita ad essere una delle 70.000 persone che li avrebbe visti dal vivo, non ci potevo credere. Per cinque mesi non avevo pensato ad altro, e così da brava ragazza, mi ero impegnata nello studio, avevo obbedito sempre e svolto tutti i compiti che i miei mi davano.
E ora? Ora avrei dovuto rinunciare al mio sogno. Non poteva essere vero, quello doveva essere un incubo.
Tremavo tutta. Appena riuscivo a calmarmi per il fatto che ormai la notte da sogno che speravo di avere, era sfumata nel nulla, tornava a tormentarmi il pensiero che tra una settimana sarei stata su un aereo con un biglietto in tasca di sola andata per "La Grande Mela".
Dovevo parlare con qualcuno, avevo bisogno di confidarmi.
Presi il cellulare e chiamai Elena, l'unica persona che poteva veramente capirmi, anche se immaginai che sarebbe stata dura dirle che non ci saremmo più potute vedere.
Con lei riuscivo ad essere veramente me stessa; ci conoscevamo fin da quando, all'asilo, un nostro compagno di classe di nome Alessio, che era diventato poi, a detta di El, "Il Bello e Impossibile", mi aveva strappato il disegno più bello che avessi mai fatto; la mia futura migliore amica, dopo aver assistito alla scena, prese le mie difese stracciando quello del bambino.
Lei era sempre stata così, non poteva sopportare le ingiustizie, e non si faceva certo problemi a farlo notare. E per questo la ammiravo, per questo e per i suoi capelli biondi e fluenti sempre in ordine, e i suoi occhioni blu che conquistavano sempre tutti.
Dopo due squilli la voce della mia amica mi accolse.
Stranamente il suo tono allegro mi fece stare ancora più male di quello che già non stavo; involontariamente ripresi a piangere e a singhiozzare.
<<Anna? Stai piangendo?>> la sentii chiedermi tutta preoccupata.
<<No...Cioè sì...>>
Cercai di calmarmi cominciando a fare dei lunghi respiri, mentre El paziente aspettava una mia spiegazione.
Quando finalmente riuscii a parlare e a tenere a bada le lacrime, spiegai con calma quello che era successo.
Silenzio. Elena non diceva più una parola.
<<El? Ci sei ancora?>> domandai titubante, tirando su col naso.
<<Sì...>> rispose; poi, come se avesse capito solo in quel momento che cosa implicava tutto quello che le avevo raccontato, mi domandò quasi urlando: <<Cosa?! Come andrai a New York?! Stai scherzando, vero?>>
<<Magari fosse uno scherzo! No! E' tutto vero, io e la mia famiglia andremo in America.>>
Faceva ancora più male doverlo dire ad alta voce.
<<Ma...noi...e la nostra amicizia?! Come farò a sopravvivere alla terza superiore senza di te?>>
<<Bè, ci sarà Francesca con te!>> le risposi cercando di alleggerire la tensione.
Francesca era una delle ragazze più popolari della scuola, e inoltre era la figlia dell'ormai ex capo di papà. Si credeva tanto importante solo perché era piena di soldi, e guardava dall'alto in basso ogni singola persona che non fosse stata plasmata da lei, e io ed Elena eravamo due di quelle. In realtà Elena avrebbe potuto benissimo essere alla sua altezza, ma essendo mia amica e preferendo stare con me, era stata relegata nella "casta" delle persone belle, ma non accettabili fino in fondo.
<<Allora con questa consapevolezza mi sento molto meglio!>> mi disse irritata.
Sorrisi sotto i baffi.
<<E quando partirai?>> aggiunse dopo un po' con tono rassegnato.
<<Sabato.>>
<<Come parti sabato? Ma sabato non c'è il concerto degli "One Destrection"?>> chiese storpiando il nome della band.
<<Già, appunto, il concerto degli "One Destrection".>> dissi imitando la pronuncia di El, invece di correggerla come avrei fatto di solito.
<<Non è possibile, ho faticato molto per avere i biglietti e ora non posso usarli! Credo proprio che l'universo mi odi!>>
<<No, dai non dire così. Magari i tuoi hanno sbagliato a dire il giorno della partenza, si saranno confusi...>> cercò di rassicurarmi, anche se ormai non ne vedevo più il senso dato che l'inevitabile stava per accadere.
<<I miei genitori che si sbagliano a dire una cosa del genere, perfettini come sono?>>
<<C'è sempre una prima volta!>>
Rimanemmo a parlare ancora per poco e poi la salutai. Guardai l'orario sul display del cellulare: 15.15.
"Desidero che la mia futura vita a New York non sia poi così male."
Da qualche parte avevo letto che Liam esprimeva sempre un desiderio alle 11.11; non sapendo il perché lo facesse proprio a quell'ora, mi documentai e scoprii che quando le ore e i minuti sono uguali si può chiedere qualcosa che si vuole. Sapevo che era una cosa stupida, ma date le circostanze, decisi che valeva la pena provare.
Qualcuno bussò alla porta. Non volevo vedere nessuno in quel momento. Non risposi sperando che la persona che aspettava fuori, prendesse il mio silenzio come un rifiuto di una qualunque interazione umana.
Bussò ancora.
"Non demorde." pensai
<<Anna ci sei? Mi fai entrare?>> domandò la voce di mio papà.
Mi guardai velocemente allo specchio asciugandomi le lacrime, constatando con piacere che non si vedeva affatto che avevo appena smesso d piangere.
Girai le chiavi, e aprii lentamente la porta lasciandolo entrare.
Rimase a guardarmi per un po', indeciso su cosa dirmi o cosa fare.
<<Stai bene?>> mi chiese alla fine.
La domanda peggiore che potesse farmi.
<<Certo papà! Sto benissimo, soprattutto dopo aver scoperto che dovrò andare dall'altra parte del globo, dove non conosco nessuno, e per di più non potrò andare al concerto degli One Direction.>>
Non mi piaceva essere così dura con lui, ma doveva capire che ormai non ero più una bambina che acconsentiva a tutto quello che mi dicevano di fare.
Si sedette sul letto, facendomi segno di andargli accanto.
<<Mi dispiace pulce. Ma vedi non c'è alternativa. Tu e Marco dovete andare a scuola entro lunedì prossimo altrimenti perderete l'anno scolastico. Ho provato a chiamare tutte le compagnie aeree che fanno voli intercontinentali per trovare dei posti su un aereo e poter spostare il volo dopo il concerto, ma non c'è stato nulla da fare.>>
Dubitavo che l'avesse fatto davvero, ma non dissi nulla.
<<E i biglietti? Che fine faranno?>> chiesi invece, parlando con un tono apprensivo tale da fare sembrare che i due pezzi di carta, fossero delle persone indifese da salvare.
<<Bé, credo che li daremo a Francesca.>>
<<Cosa?! E perché proprio a lei?>> piagnucolai.
Avrei preferito bruciarli io stessa piuttosto che darli a quella lì.
<<Perché primo non si possono restituire, e secondo tra un po' sarà il suo compleanno, e così ho pensato che le potremmo fare un regalo anticipato.>>
Il suo compleanno! Quello era stato il regalo per il MIO compleanno, non per quello di Francesca.
So che il mio comportamento era un po' infantile considerando i miei 17 anni, ma era pur sempre un concerto per la miseria!
Non riuscivo più a vedere niente, sentii che la bile cominciava a ribollirmi dentro e le mie mani a formicolare.
Lei non meritava di avere quei biglietti, a maggior ragione dopo tutto quello che mi aveva fatto passare in tutti quegli anni.
<<Non possiamo darli a qualcun altro? Suo padre non è più il tuo datore di lavoro, ormai non devi più fargli dei favori per tenertelo amico!>>dissi io, ma subito dopo aver pronunciato le ultime parole, me ne pentii amaramente.
Mio papà mi lanciò un'occhiataccia che mi fece sentire piccola, piccola. Avevo oltrepassato il limite.
Cominciai a tormentarmi il labbro inferiore; perché i miei non si erano presi la briga di avvisarmi per tempo invece che solo sette giorni prima? Tanto valeva farmelo sapere quando eravamo già in volo!
<<Stai attenta.>> mi avvisò puntandomi un dito contro:<<Questa è l'unica soluzione.>> concluse.
Poi il suo sguardo si addolcì, mettendomi una mano sul polso.
<<Ci troveremo bene là.>> cercò di rassicurarmi.
Io non lo guardavo, tenendo gli occhi fissi sul mio copriletto.
Aprì la bocca come per dirmi qualcos'altro, ma poi la richiuse senza emettere alcun suono.
Avvicinò una mano ai miei capelli con l'intento di accarezzarmi, ma io mi ritrassi. Così si alzò e se ne andò, lasciandomi da sola.
Afferrai un cuscino e ci urlai dentro, fino a che non sentii la mia gola pizzicare.
Li odiavo. Mio padre, mia madre, Francesca. Odiavo tutto quello che mi stava intorno. Mi rintanai sotto il piumone in modo che l'unica cosa che potessi vedere fosse il nero, e senza nemmeno accorgermene mi assopii.

Ore 15.15...Esprimi un desiderio.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora