Il viaggio in metro sembrò volare e quando ritornammo sulla superficie, il mio naso fu invaso da una zaffata di smog.
Tossicchiai per un po' mentre Jackie continuava a tormentarsi le mani.
Marco era lì ad aspettarci e non appena ci vide ci venne incontro; o per meglio dire, andò incontro a Jackie, dato che praticamente non si accorse della mia presenza.
<<Dovrai tenere a bada i nostri genitori, mi raccomando.>> mi sussurrò all'orecchio quando la mia amica si fu allontana per chiamare l'ascensore.
Ah ecco, mi sembrava strano che non mi chiedesse favori.
Annuii, ma sottolineai che lo facevo solo per Jackie.
Arrivati davanti alla porta di entrata, suonai il campanello.
Quando questa si aprì, per poco non mi misi a ridere.
Mia mamma aveva un vestito anni cinquanta, che non le avevo mai visto e sopra portava un grembiule a pois rossi; mio padre era, come al solito, in giacca e cravatta ma i capelli erano pettinati in modo da farlo sembrare un bambino al primo giorno delle elementari, con la riga ben definita e con così tanto gel da poterci appiccicare sopra qualsiasi cosa.
Guardai Marco che nel frattempo guardava me con aria rassegnata.
Mi feci da parte per lasciare a Marco il compito di fare le presentazioni.
Mia mamma sfoderò il suo sorriso più cordiale e fece accomodare la mia amica.
<<Allora Jackie...>> iniziò mio papà <<Cosa ti piace fare nel tempo libero?>>
Marco gli lanciò un'occhiataccia ma lui non se ne accorse.
Per i dieci minuti seguenti la conversazione proseguì più o meno in questo stesso modo: io papà faceva domande e Jackie rispondeva.
Mio fratello tentava ogni volta di inserirsi nel discorso e sviare l'attenzione dall'invitata, ma i suoi tentativi erano del tutto inutili.
Dal canto mio, non mi ero mai sentita così in pena per un'amica.
<<Non senti anche tu questo odore di bruciato, caro?>> chiese mia madre ad un tratto, sottolineando l'ultima parola.
Papà arricciò il naso e annusò l'aria.
<<Non mi sembra di sentire nessun odore particolare...>>
<<Invece si! Vieni andiamo a controllare il pollo.>>
Lo prese per un braccio e lo portò in cucina, chiudendosi la porta alle spalle.
Marco si rilassò sul divano e tirando un sospiro di sollievo.
Finalmente potei lasciare uscire la risata che stavo trattenendo dall'inizio di questo strano evento.
Jackie mi lanciò un cuscino facendo il broncio.
<<E se le mie risposte non gli fossero piaciute?>> piagnucolò.
Stavo per rispondere, quando capii che in quel momento era Marco a doverle tirar su il morale.
Lui le scivolò accanto mettendole un braccio dietro le spalle e cominciò a sussurrarle all'orecchio qualcosa, che non riuscii a sentire; ma a giudicare dalla risata sommessa di lei e dall'aria sollevata che le si disegnò, doveva essere una di quelle battute squallide che Marco tirava fuori nei momenti di tensione.
Li osservavo con discrezione, cercando di non farmi notare: i gesti premurosi di Marco, l'espressione beata di Jackie fra le sue braccia. A Pensarci bene, non ricordavo più da quanto tempo era che non stavo abbracciata in quel modo ad un ragazzo. Doveva essere più o meno da due anni o giù di lì, dato che dopo il bastardo del mio primo ragazzo, ero stata ben lontana dall'amore.
<<Tutti a tavola!>>
Mia mamma mi riportò bruscamente alla realtà.
Tutti ci mettemmo a tavola, che per l'occasione era stata apparecchiata con il servizio buono.
Una cosa che dovevo ammettere su mia madre, era che sapeva cucinare in un modo assolutamente divino.
Incredibilmente finii tutto quello che avevo nel piatto, ottenendo delle occhiate incredule e orgogliose da mio padre e mio fratello. Quello che era successo quella giornata mi aveva messo appetito.
Mentre mamma serviva il dolce, che poi non era altro che del gelato con delle fragole, mio papà si schiarì la voce e rivolgendosi a Jackie si scusò per il suo comportamento, ma dato che era la prima volta che uno dei suoi figli gli presentava qualcuno di speciale, non sapeva bene come comportarsi.
Marco diede una piccola gomitata di intesa a Jackie.
<<Ora tocca a te Anna. Quand'è che ci porterai a casa il tuo fidanzatino?>>
Guardai mia madre. Era seria, non stava scherzando...
Feci finta di non aver sentito. Ma che domande erano?!
<<Domani in francese interroga?>> domandai.
Una perfetta sviata, ottimo lavoro Anna.
Non detti troppa attenzione a quello che mio fratello mi rispondeva, perché per la prima volta mi misi ad osservare la reazione di mia madre: sembrava delusa e un pochino triste...
Probabilmente prima o poi ne avremmo dovuto parlare, con calma, di quello che aveva fatto, che ci aveva fatto. Ma ogni volta che prendevo il coraggio a due mani, sentivo solo una grande rabbia crescere dentro di me.
<<Posso?>> domandò Jackie alzandosi dalla sedia e andando verso lo stereo.
<<Certo, fai pure.>> rispose mio padre.
Accese la radio e si diffuse una di quelle musichette ripetitive che ti rimangono in testa. Cominciai a canticchiarla e mi accorsi che era quella che Kevin aveva registrato sul telefono con la sua voce.
"Don't let me go" diceva; quanto avrei voluto che qualcuno me lo dicesse. Ma stavo divagando troppo.
Mi misi in piedi anche io, cominciando ad ancheggiare, seguita a ruota da Marco e mio padre.
Mamma se ne stava seduta a guardarci, con un piccolo sorriso malinconico.
Contro il mio volere le andai incontro e la tirai per un braccio, portandola nella mischia.
Continuammo a ballare e muoverci come degli idioti, per tutta la durata della canzone e lei sembrò divertirsi.
Improvvisamente mi sentii in colpa per tutte le cattiverie che avevo detto su di lei, per colpa de Il Fattaccio; ma in fondo lei aveva fatto tutto da sola in quel caso e io non avevo nulla di cui pentirmi.
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Ore 15.15...Esprimi un desiderio.
Jugendliteratur"Quello che mi preoccupava veramente era come avrei fatto io a sopravvivere in un mondo completamente diverso da quello in cui ero abituata, con nuove persone che parlavano una lingua diversa dalla mia, timida e insicura com'ero. Il fatto era che po...