Alcune ore dopo mi trovo sola a strisciare come un serpente per le strade deserte di questa città. Non è certo una metropoli ma non è poi nemmeno così piccola. Ad una prima occhiata l'impressione era stata quella perché la parte vivibile della città è molto ristretto, basta allontanarsi di poco per ritrovarsi in spiazzi quasi completamente disabitati, edifici fatiscenti, erbacce, oggetti abbandonati in mucchi sporadici di pattumiera dove animali randagi cercano rifugio. Ho cercato di non inoltrarmi troppo in quelle zone non sapendo cosa aspettarmi. Non so come funzionano le cose in questa città senza nome, ed io sono nuova e sola. Che potrebbe essere il riverbero perfetto della situazione che sto vivendo anche alla Douglas Hight School, con la differenza che quello è un territorio circoscritto ed osservato. Quello che questo posto mi trasmette per ora è solo la sensazione di solitudine: un luogo dimenticato da chiunque lasciato al deperimento. Che potrebbe essere un altro infelice parallelismo con la mia vita. Ho conosciuto Millicent, ed ora anche Hunter e Roger, ma sono passati solo pochi giorni, e non basta certo un pranzo con alcuni gentili sconosciuti a farmi dimenticare quello che è, a quanto pare, il declino della mia vita. A soli diciotto anni.
Un vento secco e freddo mi colpisce la pelle come se fosse dotato di lame, allora mi stringo di più nel cappotto e cerco di assottigliare gli occhi per riuscire a capire dove sto andando.
Sono così abbandonata a me stessa che pur di fuggire i miei demoni ho quasi trovato conforto a pensare a quello che Millicent mi ha riferito sui bulletti della scuola. E poi è stato Hernandez stesso a darmi altro materiale a cui attingere venendomi a parlare senza nessuna apparente motivazione.Non è da molto che sto camminando quando noto una piccola vetrina illuminata di una calda luce gialla. Si trova in fondo alla strada e deciso che non è poi così importante tornare subito in quello squallido Hotel e che posso fermarmi a dare un'occhiata. Cerco di osservare l'interno ma il vetro è troppo sporco, e si riflettono immagini non troppo nitide da quello che dovrebbe essere un caldo paradiso rispetto alle intemperie. Sul vetro lordo c'è una scritta che cade a pezzi che recita Libreria.
Entrando alcuni brividi mi percorrono immediatamente tutto il corpo. E' come ricevere uno shock termico. Quando ormai la mia mente non si deve più occupare di sfregare le braccia per riscaldarsi, mi lascio andare all'esplorazione del posto, piccolo e angusto, ma accogliente. Davanti a me si presentano pile e pile di libri, la maggior parte sono per terra, altri sono sugli scaffali impolverati. Il legno che compone il pavimento ha decisamente bisogno di essere pulito, magari con una passata di cera. Sposto gli occhi dallo scaffale principale ed osservo che dietro di esso ci sono tre tavolini rotondi pieni di giornali, libri, macchie di caffè, ci sono solo tre sedie di legno. Gli scomparti che mi sono trovata davanti all'ingresso, e che celano i tavolini alla vista dei passanti, continuano appoggiandosi al muro principale, ma anche qui i libri sugli scaffali sono pochi, la maggior parte sono per terra, o come ho detto prima, sui tavoli. Nella parete opposta alla libreria appoggiata al muro c'è una specie di bancone di legno scuro, dietro di esso un'altra libreria.
L'unico muro libero, ovvero quello di forte a me, presenta un piccolo camino acceso, il fuoco scoppietta meravigliosamente riscaldando il posto. Accanto ad esso c'è un tavolino da caffè con dei fiori secchi appoggiati sopra e una macchina, probabilmente rotta, per fare il caffè e, sempre lì vicino un telefono fisso: uno di quelli dove per digitare i numeri devi girare la manovella.
Accanto al tavolino da caffè è presente una porta, che ben presto si apre rivelando la figura di un vecchio con tanti capelli bianchi in testa, un viso sciupato, le spalle ricurve, dei pantaloni marroni che gli stanno addosso solo grazie alla grossa cintura, con dentro infilata una camicia, e sopra di essa una gilet color arancio spento.
"Buon pomeriggio signorina." sorride mentre arranca fino a dietro il bancone. "Come posso esserle d'aiuto?" mi chiede.
Scuoto la testa riformando i miei pensieri: in effetti sono qui solo per una casualità. Non sono sicura di avere niente da fare. Ma forse dirla così lo sorprenderebbe in negativo. Mi guardo intorno visibilmente spaesata, poi gli occhi mi cadono sul telefono. Mi infilo la mano in tasca e da lì traggo fuori un fazzoletto e pochi spiccioli. Forse non potermi permettere un telefono, da quando i miei mi hanno tolto quello che possedevo in precedenza e tagliato i fondi, per una volta, può risultarmi utile.
"Posso usare il telefono?" gli chiedo timorosa.
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Sheol
FanfictionTra le macerie di un posto che cadeva a pezzi non ci eravamo resi conto che quelli più distrutti eravamo noi. Noi che cercavamo di salvarci dai nostri demoni, noi che tentavamo, invano, di tenere nascosti i nostri segreti, noi che ci imponevamo di n...