Capitolo 43

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"Arthur?" chiamo. Lascio che la porta di vetro si chiuda da sola alle mie spalle. L'aria cada e il solito profumo di caffè mi accolgono: sorrido. Per me non è semplice non pensare al fatto che oggi Harry partirà senza sapere quando farà ritorno. E' incredibile come solo qualche settimana fa io fossi così preoccupata di farlo riammettere a scuola ed ora non veda altro problema in questa situazione se non il suo stato psico-fisico. Perché mi preoccupo per lui in questo modo? E' sicuro che ha già fatto cose di questo genere in passato, altrimenti i ragazzi non lo farebbero andare, tanto per cominciare. 

"Arthur?" domando ancora guardandomi attorno. Tolgo il capotto e appoggio la borsa su una sedia. Non faccio un salto in questo posto da tempo, sembra passata un'eternità ed invece sono solo pochi giorni. E' chiaro che Arthur non è qui, o forse è di sopra a fare un pisolino, come suo solito. Non vorrei disturbarlo se così fosse, quindi prendo la decisione di fare il meno rumore possibile. 

Prendo a sistemare alcuni libri che sono stati abbandonati in modo disordinato sul bancone. Mi rimbocco le maniche, raccolgo i capelli in una coda disordinata, inforco gli occhiali ed osservo gli scaffali in cui dovrò riporli. Il primo ha una soffice copertina di velluto rosso scuro, il titolo dorato è scritto in una lingua a me sconosciuta. Il secondo presenta una copertina nera, rigida, non ha un titolo. Ci sono libri dalla copertina così vecchia che potrebbe sfaldarmisi in mano, altri di edizioni più recenti e moderne. Una cosa che ho compreso, lavorando qui, è che è possibile trovare di tutto: sopratutto se quel tutto è molto strano. 

Mi ritrovo a pensare alla mia condizione sociale attuale. Se da una parte mi sento estraniata dal contesto scolastico, viste le numerose persone che nemmeno osano più rivolgermi la parola, dall'altra non so quanto potermi ritenere integrata nel gruppo dei ragazzi. Loro si impegnano moltissimo per non farmi mai sentire esclusa, ma è difficile non sentire il distacco quando si tratta di ridere ad una battuta che verte attorno ad un evento che tutti conoscono o che tutti hanno vissuto, tranne me. So chi sono e so di non dover instaurare con loro un rapporto identico a quelli che già hanno: essere arrivata dopo ha anch'esso la sua ricchezza. Devo solo sforzarmi di trovarla. 

Forse il mio più grande problema è che io un gruppo non l'ho mai avuto. Loro sono nati e stanno crescendo insieme, probabilmente questo tipo di legame non può nemmeno essere definito di amicizia. Ecco perché di volta in volta mi sento come se partecipassi ai loro eventi, sopratutto se molto profondi (come la perdita dei genitori), osservando il tutto dall'alto. Cerco di comprende e di condividere la loro voglia di vendetta nei confronti di Snyder, ma perfino questo mi risulta difficile. Forse per un fatto puramente egoistico quello a cui penso quando quel nome salta fuori è a un processo equo, che possa condannarlo alla peggiore delle pene, ma non a sanguinosi scenari di giustizia fai-da-te. Questi pensieri mi fanno sentire una traditrice: dovrei comprendere il male che ha fatto e condividere il loro punto di vista. Ma non posso odiare qualcuno che non conosco, non nel modo viscerale in cui fanno loro. 

Finiti di sistemare i libri lancio un'occhiata al luogo. Noto il vecchio telefono che sembra invitarmi. Non chiamo a casa da parecchio tempo ormai. Vorrei poter provare del rimorso o, meglio ancora, del desiderio che mi faccia anelare attorno al mio nucleo famigliare. Ripenso al fatto che Natale è vicino e a come verranno trascorse queste feste a Londra. Preferisco pensare a questo piuttosto che a come le passerò io. Questo è il mio primo Natale lontano da casa. Di sicuro i ragazzi faranno qualcosa: avranno una loro tradizione, come tutti. Sono più entusiasta o spaventata dall'idea di farne parte, prima o poi? Decido di tagliare la testa al toro e di chiamare mia madre. 

Mi metto seduta per terra accanto al tavolino da caffè, afferro la cornetta e digito il numero di mia madre. Lo faccio così lentamente che ho paura di non riuscire a terminare mai la sequenza di numeri. Una parte di me, una parte di me che mi fa vergognare, si trova a desiderare che non risponda. Come sempre. 

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