6. A modo suo mi vorrà bene?

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Io e Steve eravamo rientrati in classe al cambio dell'ora, almeno per quel giorno non avrei rivisto Smith. I nostri compagni di classe lanciarono occhiate complici a Steve: volevano sapere i dettagli di dove, come e quando mi aveva trovata. Niente di più palese.

Le altre ore passarono in maniera scorrevole, i professori spiegavano e noi prendevamo appunti. Non mi dispiacquero le materie che ci furono, anzi mi sembrava proprio di aver scelto la scuola giusta.

Terminate le ore di lezione sistemai le mie cose nello zaino. Il mio stomaco brontolò, una sola parola mi frullava in testa: cibo. Poco prima che se ne andasse domandai una cosa a Steve: «C'é una mensa qui?»

«Ovvio, vuoi che ti accompagni?» mi rispose col sorriso sulle labbra.

«No no, la trovo da sola» lui prese una strada ed io un'altra. Arrivata in mensa, mi accolse una fila chilometrica per prendere il cibo che di certo non era d'aiuto al mio stomaco brontolante. Dopo circa un quarto d'ora potei finalmente iniziar a prendere da mangiare e, dopo essermi curata per bene di aver riempito il vassoio, andai in cerca di un tavolo. Per la gioia del mio stomaco ne trovai uno con qualche posto libero, mi sedetti e mangiai. Mi sentivo già meglio a stomaco pieno.

Quel giorno non erano state programmate lezioni pomeridiane, dunque ogni studente aveva il pomeriggio libero. Optai di andare a casa a prendere le mie valigie. In segreteria mi diedero il permesso di uscire date le mie motivazioni, ma non vedevano di buon occhio lasciare l'istituto (anche se per qualche ora) già il primo giorno.

In una mezz'ora col treno arrivai a casa. Aprì con le mie chiavi ed entrai. Mia madre mi scrutò da capo a piedi, gli dispiaceva vedere ancora il mio volto quando si era assicurata di non vederlo per un anno.

«Come mai qui?» domandò scocciata

«Devo prendere le valigie, stamattina non sono riuscita a causa della sveglia...» allungai lo sguardo verso mia sorella, nascosta dietro la porta della cucina ad origliare: sapevo che era stata lei a disattivarla.

«Sei sempre la solita! Non sei per niente seria, scommetto sarai arrivata in ritardo! Non è servito a nulla educarti come si deve! Ti senti grande perché ora sei maggiorenne! Vai dai prima che...»

Speravo mi accogliesse in maniera migliore nonostante sapessi già com'era fatta. Come dice il detto: "la speranza è l'ultima a morire". Uscii subito di casa prima che finisse l'ultima frase. Era esagerato desiderare una madre amorevole? A modo suo mi voleva bene, probabilmente. Infondo se mi avesse odiato non mi avrebbe dato una buona istruzione, dei vestiti...devo ritenermi anche fortunata per questi altri aspetti.
Stavo per chiudere il cancello di casa quando mia madre mi fermo e schiaffeggiò:

«Il rispetto Layla, il rispetto!! Prima non mi ascolti mentre parlo, poi te ne vai senza salutare...non ti riconosco più»

«Scusami» erano le uniche parole che mi uscirono di bocca. Non avevo voglia di litigare, sapevo che era una battaglia persa in partenza.

«Non fare finta che ti dispiaccia! Vai ora e cerca di non fare cose "sbagliate" in giro o mi senti»

«Certo, buona giornata.» Mi congedai da lei. Sentivo le guance bollire. Il morale era a pezzi. "Mi vorrà bene, a modo suo" continuavo a ripetermi sul treno, nel viaggio di ritorno al college. Avrei voluto sprofondare nella disperazione, ubriacarmi come fanno in tanti, drogarmi, qualsiasi cosa per dimenticare...ma non lo feci. Non ne avevo il coraggio, tantomeno il denaro.

Sicuramente direte che é stupido, futile dopotutto era solo qualche schiaffo...ma quando ti ritrovi sola, in una realtà più grande di te che devi e stai per affrontare solo con le tue forze, sfido chiunque a non cadere.

I need someone who needs me (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora