34. Dichiarazione

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Da piccola ero un'inguaribile romantica. Il mio primo bacio lo avevo sempre immaginato come nei romanzi rosa, nei film romantici...qualcosa di estremamente dolce e che avrei desiderato più di tutto. Pensavo che mi sarei trovata su una panchina, di sera a parlare con la mia dolce metà quando lui decideva di prendere il mio volto tra le sue mani e lì...ci sarebbe stato il momento magico. Le nostre labbra che si univano, indissolubilmente.

Accadde invece che, durante il culmine di un litigio, lui mi baciò. Posò le sue labbra sulle mie. Una scossa elettrica che mi pervase il corpo. Volevo respingerlo, schiaffeggiarlo ma il mio corpo non rispondeva ai comandi e al posto di odiarlo lo desideravo, lo volevo mio. Ricambiai il suo bacio, desideravo riassaporare le sue labbra. Entrambi lo volevamo. Nuovamente le nostre labbra si unirono, le lingue che si sposavano alla perfezione.

Dopo qualche minuto ci distaccammo. Nessuna parola. Io me ne andai a fare la doccia e lui prima di andare negli spogliatoi, sistemò lo scatolone che avevo fatto cadere a terra.

***

Mi svegliai. Era mattina, sentivo le ossa a pezzi. Doveva essere colpa dell'allenamento della sera precedente. Connie russava. Istintivamente portai le mani alle labbra: avevo baciato Lucas e non Steve. La cosa peggiore è che l'avevo voluto e sapevo che avrei rifatto lo stesso se mi fossi ritrovata nella stessa situazione. Ma chi stavo diventando? Dovevo chiarire la situazione e fare mente locale. Mi vestì con una t-shirt e dei pantaloni da tuta, una felpa perché la mattina faceva freddo e le solite scarpe da ginnastica. Avrei ripreso a correre. Non lo facevo da quando...bhé da quando avevo visto Lucas baciare la mia compagna di stanza. Erano all'incirca le 6:40 del mattino e iniziavo scuola alle 9:00. Avevo tutto il tempo che volevo. Poggiai la borsa con il cambio negli spogliatoi e sperai di vedere Lucas. Mentre percorrevo sola quel giro che sembrava non terminare più, pensavo in continuazione a quanto avrei voluto baciarlo un'ultima volta, o sapere che io ero l'unica che voleva per se, che non stesse con Connie e che non baciasse chiunque capiti a tiro. Già, perché avevo visto incrociare le sue labbra anche con altre ragazze e al solo pensiero mi sentivo stupida e fragile. Avevo ceduto alla tentazione. «Sarà stata la stanchezza, la rabbia, il fatto che fossi stanca ed era notte inoltrata», mi ripeteva la mia coscienza.

Terminai la corsa e non lo incrociai. Ero veramente stupida. Mi feci una doccia e mi cambiai vestendomi con un maglione color salmone e dei jeans scuri. Ai piedi le solite converse nere. Inutile dire che amavo la comodità. Non mi truccai, perché ero assonnata e di certo non sarei riuscita a mettermi decentemente nemmeno il mascara. Andai in classe e mi preparai per la prima lezione del giorno: letteratura. Presi il quaderno degli appunti e mi tenni pronta per scrivere.

«Dopo i vari romanzi di cui abbiamo parlato, é ora di addentrarci in quelli rosa. Ne esistono delle più disparate tipologie, ma i migliori come si sa sono i soliti classici scritti nel periodo tra la fine del settecento e l'inizio dell'ottocento. Analizzeremo varie opere importanti, anche di nostri compatrioti tra le quali "Cime tempestose", "I promessi sposi", "Anna Karenina" ed "I dolori del giovane Werther". Sono tutti libri eccellenti, che leggeremo uno ad uno. Inizieremo da "I dolori del giovane Werther" per il quale dovrete fare una relazione del primo libro una volta rientrati dalle vacanze invernali.» Spiegò il professore. «Fate anche qualche ricerca sulla biografia dell'autore» ci furono delle lamentele sul troppo carico di lavoro come al solito, ma il professore non si scompose «Mi congedo facendovi riflettere su una delle importanti citazioni di questo autore: "La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti."»

Suonò la campanella ed uscì dall'aula seguito dagli studenti della classe. Nei corridoi c'era il solito via e vai di gente e si faceva fatica a camminare a passo svelto per raggiungere l'aula successiva. Sbattei contro qualche persona e raggiunsi l'aula. Le ore passarono ed era già mezzogiorno passato. Mangiai un panino con del salame preso dal bar e mi diressi in biblioteca per prendere il libro che avrei dovuto leggere durante le vacanze di natale. Era il 22 dicembre, mancavano tre giorni a Natale e due al ballo studentesco.
Mi squillò il cellulare. Lessi il nome sulla schermata e rabbrividii: "mamma", c'era scritto.

«Dimmi» risposi alla chiamata.

«Ah vedo che dopo cinque telefonate ti decidi a rispondere, é questo ciò che ti ho insegnato?»

«Ero a lezione» risposi pacamente. Avevo il telefono lontano dall'orecchio da quanto la voce di mia madre fosse forte.

«Comunque, per Natale devi essere a casa. A pranzo vengono degli amici di Patrick e persone di famiglia. Ci saranno anche Daniel e Rose, almeno non stressi col fatto che non c'entri niente con noi»

«Va bene, ma la vigilia c'é una festa a scuola e non so per che ora riuscirò ad arrivare a casa.»

«Verrà a prenderti Patrick per le 5:30»

«Perché così presto?» odiavo quando mia madre prendeva decisioni per me senza tenere conto di ciò che io pensavo.

«Dovrai prepararti ed aiutarmi con alcune pratiche. Non voglio che tu rovini tutto come sempre dunque vedi di mettere la testa a posto per quando tornerai, ciao.» Mi chiuse la telefonata. Bel Natale quello che avrei passato. Mia madre non la sentivo da circa un mese, dopo la volta in cui mi aveva sbattuto fuori casa avevamo parlato al telefono del mio rendimento scolastico. Un bellissimo rapporto madre-figlia, insomma. Stavo camminando ancora verso la biblioteca quando il mio cellulare squillò nuovamente.

«Che c'é ancora?» diedi per scontato che l'altro interlocutore era mia madre.

«Layla, sono Steve: tutto okay?» guardai lo schermo del cellulare: sì, era proprio lui. Che figura di merda.

«Si si scusami, pensavo fosse ancora mia madre e non ne potevo più»

«Ti va di pranzare assieme?» realmente avevo già pranzato, ma il mio stomaco brontolava ancora «Okay, ma prima devo passare dalla biblioteca per prendere un libro...»

«Te lo presto io, ti aspetto fuori» mi chiuse anche lui la telefonata. Sembrava ansioso, come se dovesse vedermi subito per liberarsi di un peso. Aveva trasmesso anche a me dell'ansia. Passai dal bagno scolastico per sistemarmi il più possibile ed andai direttamente nel parcheggio. In quel momento sentii vibrare il cellulare ma lo ignorai. Stavo cercando la macchina ed il volto di Steve tra le tante. «Sono qui» un sorriso mi si dipinse in volto. Ci salutammo con un abbraccio e salimmo in auto. Una volta arrivati entrammo ed ordinammo il cibo. Io optai per del roast beef, mentre lui il classico fish and chips. «Di quale libro hai bisogno?» mi domandò dopo aver ordinato. «Il professore, dicendo che andremo all'incirca in ordine cronologico, ha detto che inizieremo con "I dolori del giovane Werther"» mi guardò pensieroso

«Si, dovrei avere tutti e due i libri» mi sorrise «Come facevi a sapere di avere già i libri che ti avrei richiesto?» quella domanda mi risultò spontanea, dopotutto non seguiva quel mio stesso corso. «Possiedo tantissimi libri, soprattutto i grandi classici. Mio padre é a capo di una casa editrice» istintivamente avrei voluto chiedergli di presentarmelo, fare un colloquio di lavoro ed ottenere così uno degli impieghi dei miei sogni. Ma era troppo presto. «Ah, wow» mi limitai a rispondere. Nel frattempo arrivarono i nostri piatti. «Pago io comunque» affermai sorridendo. Lui non controbatté, come se avesse qualcos'altro in mente di più importante. Guardandolo mi sentivo in colpa per il bacio che ci eravamo dati la sera precedente io e Lucas. Non che fossi la ragazza di Steve, ma stavamo in un certo senso creando qualcosa ed era scorretto nei suoi confronti dopo tutto ciò che mi aveva sempre dimostrato. Terminammo il pranzo e mentre la cameriera portava via i piatti, ordinò due caffè. «Layla io non riesco a far a meno di te» quelle parole mi colpirono dal più profondo, non avrei mai e dico mai immaginato che qualcuno potesse dipendere da me. «Usciamo» mi limitai a dire, non avremmo di certo parlato di un argomento del genere in un posto rumoroso ed affollato come quello. Pagammo ed andammo nel parchetto adiacente al ristorante, sedendoci su una panchina. Gli sorrisi con le gote arrossate e lui riprese a parlare: «Con ciò che ho detto prima intendo che ti vorrei mia, solo mia» gli occhi mi divennero lucidi, come faceva a dire sempre la cosa giusta al momento giusto? «I-io non ti merito» pronunciai con la voce strozzata, mi sentivo terribilmente in colpa per il gesto con Lucas ma dovevo considerarlo capitolo chiuso. Non potevo desiderare persona migliore di Steve e non potevo farmelo sfuggire per colpa di un gesto senza senso da un'altra persona, o almeno cercavo di non darci senso. «Shhht» posò il dito indice sulle mie labbra zittendomi per poi baciarmi.

I need someone who needs me (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora