capitolo 22.

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Il viaggio di ritorno a Roseto é stato bruttissimo. Non piú in macchina con i ragazzi e Alice, ma bensì con i miei genitori e mio fratello.
Tremila raccomandazioni sul fatto che appena arrivata a casa, avrei dovuto cominciare a fare tutte le cure.
Non vorrei, ma sono obbligata.
"Niente piú sigarette." "Niente piú alcool." "Niente piú discoteca."
E quando cercai di ribattere per quest'ultima raccomandazione, dicendo che avevo vent'anni e che sarei stata piú attenta, mi é stata fatta una bella ramanzina su quello che é successo.
La mia preoccupazione piú grande é Gianluca.
Che cosa gli avrei detto? Che scuse gli avrei inventato? Come potergli dire che invece di stare con lui, avrei dovuto passare i miei giorni in ospedale a fare le cure per una dannata malattia?
Oppure, invece di complicarmi la vita, potrei semplicemente dirgli la veritá.
Da una parte vorrei farlo, vorrei condividere questa cosa con lui, ma dall'altra parte, non saprei poi come andrebbe a finire.
A breve dovrà partire per gli Stati Uniti e non voglio rovinargli nemmeno un pochino il lavoro.
Guardo l'orologio e oltre a rendermi conto che sono ancora le otto di mattina, mi viene in mente che oggi é Ferragosto.
I miei genitori non possono dire nulla, lo devo passare con Gianluca e gli altri.
Abbiamo organizzato da tempo un enorme pranzo all'Obló.
É invitata anche la mia famiglia, quindi non potranno mancare.
Tra l'altro, giá durante il mostro soggiorno a Torre del Lago avrei dovuto conoscere i genitori di Gian, ma non c'é stato proprio tempo.
Alice mi ha detto che sono venuti a farmi visita in ospedale mentre ancora dormivo e poco prima di portare via i ragazzi per le prove della seconda data.
Li ho sempre visti di sfuggita e mi sembrano persone gentili e carine. Il problema é che ho una paura matta di non piacergli.
Il telefono squilla e senza neanche guardare chi é che chiama, rispondo.
-Luc!- per un attimo la voce al di là del telefono mi ricorda quella di Matteo.
Stacco il telefono dall'orecchio e sospiro sollevata leggendo che si tratta del mio amico Luca. -Ma ti pare che devo venire a sapere dai miei genitori che stavi quasi per morire?-
Cazzo. Mi sono completamente dimenticata dei miei amici di Bologna. É infuriato, si capisce dal suo tono di voce troppo alto.
-Hai ragione, scusami.
E comunque non stavo per morire.-
Spero veramente che i miei genitori non abbiamo aperto bocca sulla malattia, altrimenti penso che non potrei piú neanche guardarli in faccia.
-Ho ragione? Scusa? Lucrezia, cazzo!- Capisco che le cose si stanno facendo serie non appena sento che mi chiama con il mio nome intero.
Non mi ha mai chiamata cosí, mai.
Mi alzo velocemente dal letto e per evitare di far sentire le grida ai miei genitori, esco in terrazza. -Per caso ti sei dimenticata di noi?-
-Che cosa? No, Luca!- comincio a gridare anche io, non posso proprio sentirle dire certe cose.
Loro sono i miei amici e lo saranno sempre. Lo ammetto, in questo periodo mi sono fatta sentire poco con loro, ma certamente non mi sono dimenticata di chi sono!
-É colpa di quello li. Da quando state insieme, non ti fai piú sentire.- i ruoli si invertono. Il suo tono di voce é ritornato basso, mentre il mio ora si alzerà di brutto.
-Non mettere in mezzo Gianluca, okay? Non ti permettere. Lui non c'entra assolutamente niente.-
Mi verrebbe da insultarlo solo per il fatto che ha messo in mezzo Gianluca, ma per ora cerco di rimanere calma.
Come puó solo pensare che sia colpa di Gianluca se ci sentiamo meno?
-Invece é proprio colpa sua! Non sono come ancora fai a starci insieme dopo l'altra sera.-
Questa risposta mi tramortisce un po.
-Perché?-
-Andiamo, Luc. Se non l'avessi seguito fino a quel concerto non avresti avuto nessun incidente e niente sarebbe successo.-
La mente mi si annebbia per un momento ma no, io non riesco veramente a dare la colpa a Gianluca per quello che é successo.
-Smettila Luca! Gianluca non c'entra niente. Non parlerò un secondo di piú conte se intendi ancora dargli la colpa di tutto! Sono io una stupida, sono io una cretina che nonostante abbia un cazzo di tumore continuo a fare la bella vita come se niente fosse.
Stai zitto, non voglio sentirti piú parlare!-
Riattacco velocemente il telefono e lo butto per terra.
L'aria fuori é fresca, tipica della mattina presto in estate.
Infilo le mani fra i capelli, quasi come se non sapessi piú cosa fare.
Ho svelato dopo fin troppi anni al mio migliore amico che ho una malattia e non ho lasciato neanche il tempo di sentire la sua risposta.
Sto bene. Ho soltanto un piccolo nodo in pancia, mi viene da piangere e vorrei gridare che tutto questo mi fa male. Ma si, sto bene.
-Un cosa?- una voce maschile a me troppo conosciuta mi fa mancare un battito.
Certe volte mi dimentico che Gianluca é il mio vicino di casa e che le nostre terrazze sono praticamente attaccate.
Mi volto e lo vedo.
Ha la faccia bianca e tiene una mano dietro la nuca. Indossa dei pantaloni grigi di tuta e una maglietta nera leggermente consumata.
Perché non sto mai zitta?
-Che cosa hai, Lucrezia?-
Indietreggio lasciando il mio sguardo attaccato al suo. Posso leggere tristezza e confusione nei suoi occhi.
Arrivo fino al muro e mi lascio cadere per terra.
Non riesco a pensare a niente, riesco a sentirmi soltanto maledettamente in colpa per non averglielo detto prima. L'ha saputo cosí, e posso quasi immaginare che cosa stia provando in questo momento.
Improvvisamente é davanti a me, che lentamente si china prendendomi le mani con cui mi copro il volto disperato.
-Da quanto?- domanda stringendomi forte la mano destra.
Prendo coraggio, abbandonando per un momento tutto quello che fino ad oggi ho pensato e cerco di spiegargli.
-Da quando ho diciassette anni.-
-Perché non me l'hai mai detto?- i suoi occhi luccicano.
-Fino ad oggi lo sapeva solo la mia famiglia.- mi si forma un nodo in gola.
Odio tutto questo.
-Capisco se sei arrabbiato, ma ti prego non gridarmi contro. In questo momento ho bisogno di qualcuno che mi aiuti psicologicamente e che mi stia vicino.-
Sorride leggermente lasciando trasparire un espressione dolce.
-É quello che faró. Non ti abbandono proprio adesso.-
Sento le sue braccia forti intorno alle mie spalle e per un momento mi tranquillizzo.
Sono sicura che con lui al mio fianco tutto andrà un pochino meglio.
Non me ne frega della distanza, degli impegni e del lavoro, perché so che lui riuscirà a non farmi mai sentire qualsiasi mancanza anche a distanza di migliaia di kilometri.
Ed é proprio questo il bello di lui. Colma ogni singola parte del tuo corpo qualunque cosa faccia. É un pregio che pochi hanno, ma che tutti dovrebbero avere.

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