24: Egidio

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«Questo non mi rende felice».

Alzo gli occhi al cielo mentre scendiamo l'ennesima rampa di scale: da quando Andrea gli ha comunicato che dovrà affiancarmi nel tentativo di far parlare il prigioniero, Dario non fa che tenere il broncio e ripetere quanto sia scontento del compito che gli è stato affidato. Ha persino provato a convincermi che la sua presenza è superflua – probabilmente sperando che mi sarei fatta portavoce del suo scontento – ma quando Andrea prende una decisione in genere è irremovibile, e io non sono certo così sciocca da cercare di fargli cambiare idea. Neanche la chiacchierata che abbiamo avuto ieri pomeriggio è servita: Dario è talmente restio al pensiero di dover discutere ancora con quel Jinn che si è guardato bene dall'aiutarmi a elaborare una strategia per farlo parlare.

Quindi ora siamo qui, nelle segrete della sede dell'Ordine, e un piano alla volta affondiamo sempre di più nelle viscere della terra, accompagnati soltanto da un impiegato e dalle continue rimostranze del mio compagno.

«Smettila di lamentarti, Dario, o potrei cambiare opinione riguardo al non torturare le persone» ringhio. Le sue continue lamentele mi stanno esasperando, e se continua così, finirò col prendermela con il Jinn sbagliato: lui!

Dario borbotta qualcosa d'incomprensibile e continua a mugugnare sottovoce: non è quello che speravo, ma è comunque un miglioramento. Non appena siamo in vista della cella che ci interessa, finalmente Dario si zittisce.

La cella del Jinn è buia come l'ultima volta che l'ho vista; non c'è neanche un lumicino, tutto è immerso in un'oscurità a malapena rischiarata dalla luce fioca delle lampade poste sul muro del corridoio, e il suo ostinato occupante è come sempre rincantucciato nell'angolo più lontano, ben nascosto.

Faccio cenno all'impiegato che ci ha scortati che può andare e mi avvicino alla cella. «Dovresti accendere la luce» dico senza emozioni. «Se persisti nel restare al buio, alla lunga ne ricaverai soltanto dei danni alla vista».

«Non voglio la vostra luce» risponde gelido il Jinn.

Allungo la mano verso l'interruttore sul muro e lo faccio scattare: immediatamente una luce vivida riempie la cella, eliminando qualsiasi zona d'ombra. Il Jinn geme e si copre gli occhi con le mani, temporaneamente accecato.

«Visto? Cominci già ad accusare i primi disturbi» aggiungo. Il prigioniero si scopre cautamente gli occhi e mi scocca uno sguardo rancoroso. Gli indico una serie di interruttori all'interno della cella. «Con quelli puoi scegliere quante e quali lampade accendere: prova a trafficarci un po'. Ti consiglio di lasciare accesa solo una piccola lampada, per ora, e di riabituarti gradualmente alla luce, altrimenti rischi soltanto di peggiorare».

Il Jinn ringhia di frustrazione, ma dopo alcuni lunghissimi minuti decide di darmi retta; fa scattare vari interruttore finché non rimane accesa soltanto una piccola lampada da notte. Nonostante ciò, continua a battere le palpebre come se fosse in pieno sole.

Avevo previsto questa possibilità: infilo una mano in tasca e recupero uno boccetta di collirio, in realtà piena di acqua delle vasche di rigenerazione. Infino una mano guantata attraverso le sbarre.

«Prendilo» dico sbrigativa. «Una goccia per occhio ogni sei ore, fino a quando la tua vista non sarà tornata normale».

«Cos'è, un modo creativo per avvelenarmi?» mi accusa il prigioniero.

Spazientita, svito il tappo della boccetta e faccio cadere una goccia di liquido prima nel mio occhio sinistro, poi nel destro, facendo in modo che il Jinn dentro la cella possa vedermi bene.

«Potrebbe funzionare solo sui Jinn» insiste l'uomo nella cella.

Con un gesto rapido lancio la boccetta a Dario, che ripete i miei gesti e mi restituisce il flaconcino. Finalmente il Jinn prigioniero sembra non avere più obiezioni; tappo di nuovo la boccetta e gliela lancio dentro la cella. Lui la prende al volo e l'appoggia sul tavolo con un gesto plateale. Immagino di non poter chiedere di più: avrebbe potuto distruggerla, e non averlo fatto significa che sta pensando di usarla. Anche se piccolo, questo è un primo passo nella giusta direzione.

Il Sacro Ordine della Croce Armata (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora