4. Those who lost everything

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Scott's point of view*

Lydia aveva ragione: quello che stavamo facendo era pericoloso, forse la cosa più pericolosa che avessimo mai fatto. Quella che aveva giustamente definito una missione suicida poteva, di fatto, essere la nostra fine; un solo sbaglio, e saremmo morti tutti. Ma, oltre alle nostre stesse vite, avevamo altro da perdere, ormai?

A tutti noi era stato portato via qualcosa, chi più e chi meno. Derek non aveva più qualcuno con cui punzecchiarsi tutto il giorno, lo sceriffo non aveva più un figlio, una famiglia.

E poi c'ero io, che avevo perso quello che da sempre avevo considerato come un fratello, che era stato al mio fianco per anni, nonostante tutto e tutti; nonostante i lupi mannari, il sovrannaturale in sé, i mille pericoli che incombevano su di noi.

Era sempre rimasto lì, seduto su quella jeep celeste che adesso non apparteneva più a nessuno, pronto a correre ovunque fosse necessario, insieme a me. Parte integrante del mio branco, e ora era andato. E Allison, anche lei; il mio primo amore, la ragazza che più avevo amato - e che forse avrei amato per sempre, mio malgrado.

Ma Lydia, per lei era diverso; a lei non era rimasto più nulla. Nemmeno se stessa, forse.

Ed era esattamente quello il motivo che aveva spinto tutti noi a partire. Quella missione potenzialmente suicida la stavamo facendo per Stiles — certo — e anche per me, per noi, ma prima di tutto per Lydia, per tentare di salvare la piccola parte di lei che era ancora integra. Nessuno di noi poteva sopportare di vederla soffrire ancora.

Un paio di settimane prima, durante una riunione del branco a cui lei aveva scelto di non partecipare, Noshiko e Deaton — che da quando era successo quel disastro avevano passato ogni minuto delle loro giornate a cercare una soluzione — ci avevano rivelato di aver scoperto qualcosa. O, meglio, qualcuno.

Ci avevano parlato di una certa Lara, una vecchia conoscenza di Noshiko, una ragazza bionda, non troppo alta e con gli occhi a metà fra il verde e il nocciola, che probabilmente in quel momento si trovava a New York. A Brooklyn, per la precisione.

Non sapevamo altro. Solo che, al momento, era l'unica persona che poteva aiutarci; la nostra ultima speranza. E si sa: la speranza è l'ultima a morire.

E così, quasi sei ore dopo aver salutato Lydia, ci ritrovammo a Brooklyn, in un quartiere chiamato Brownsville. Saranno state le cinque del pomeriggio, e le strade erano deserte. Fummo quasi contenti della tranquillità che ci circondava, anche se, per Kira, era un segnale poco rassicurante. Ma ignorammo la questione e continuammo a camminare.

Deaton e la signora Yukimura non ci avevano dato indicazioni precise. Quando gliele avevamo chieste, avevano risposto che Lara avrebbe trovato noi. Ma, in realtà, neanche loro sapevano chi diavolo fosse quella ragazza.

«Secondo me ci siamo persi» commentò Isaac ad un certo punto, fermandosi e guardandosi intorno. «È la terza volta che passiamo davanti a questo palazzo.»

«Non è vero» risposi, sulla difensiva: li stavo guidando io. «Non ci siamo mai passati.»

Derek mi fissò, corrucciato. «Sei sicuro di sapere dove stiamo andando?»
«Perché, tu sì?» sbottai, con una punta di ironia nella voce, guardandolo di striscio.
Lui si strinse nelle spalle. «Potrei.»

Isaac non mi diede il tempo di rispondere: «Resta il fatto che ci siamo persi» insistette lui, impassibile.
«Sei monotono» lo canzonò il ragazzo di fianco a me, guardandosi attorno distrattamente.

«No, ha ragione: ci siamo persi» rincarò la dose Kira, lanciando al ragazzo un velato sguardo d'intesa che lui non colse.

Derek stava ancora una volta per replicare, ma Isaac, improvvisamente attento, lo batté sul tempo: «Ragazzi» ci chiamò, «Quella è sempre stata lì?»

Stava indicando una ragazza girata di spalle a una settantina di metri da noi, troppo lontana perché potessimo riconoscerla.

«Chi è?» chiese immediatamente Kira, ingenuamente.
«Non lo so» rispose ovvio il riccio. «Potrebbe essere chiunque» continuò, guardando prima me e poi Derek con fare speranzoso.

«Compresa Lara» sussurrò il più anziano, iniziando lentamente a camminare. Tutti noi lo seguimmo, senza nemmeno essere sicuri che quella fosse veramente la ragazza che stavamo tanto disperatamente cercando. Anche se, tutto sommato, non avremmo mai potuto esserne certi: dovevamo andare ad intuito. E l'intuito ci diceva che, quel giorno, avevamo voglia di sentirci fortunati e di averla già trovata. Per una volta, desideravamo che fosse tutto semplice.

Man mano che la distanza tra noi diminuì, distinguemmo dei capelli biondi e lisci, lunghi fino a metà schiena. Sarà stata alta un metro e sessanta, sessantacinque al massimo. Proprio come doveva essere Lara.

Una volta arrivati ad un metro scarso da lei, ci fermammo. Lei non si era mossa nemmeno di un centimetro, sebbene fossi certo ci avesse già notato.
Ci guardammo ancora, improvvisamente insicuri e tremendamente confusi. Nessuno sapeva cosa fare.

Poi, quando Derek mi tirò una gomitata nello stomaco che — licantropo o no — si fece sentire, mi decisi a parlare.

«Lara?» le chiesi, osservandola attentamente, con paura della sua reazione. Lei si girò lentamente — un passo dopo l'altro — e ci squadrò uno per volta, con una calma inspiegabile e quasi maniacale. Poi puntò gli occhi — erano verdi — su di me e inarcò un sopracciglio.
«Sì?»

*ogni volta che racconterò del "branco" utilizzerò il punto di vista di Scott

Haunted | Teen Wolf - StydiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora