Da giorni ormai Lydia non aveva più notizie dei suoi amici.
Erano passati gradualmente dal chiamarla cinque o sei — ogni tanto anche sette — volte al giorno a sparire: prima quattro telefonate, poi tre, due, uno e zero; fine.La banshee, almeno inizialmente, si era preoccupata — come suo solito — e aveva cercato più volte di contattarli. Aveva pensato anche di raggiungerli, per aiutarli; poi, però, si era ricordata del fatto che non aveva la minima idea di dove diavolo fossero. Per qualche motivo non gliel'avevano mai detto.
Solo dopo aveva realizzato che non aveva avuto nessun brutto presentimento — fino ad ora, si era detta —, nessuna voce le aveva detto che i suoi amici sarebbero morti e non aveva avuto alcuna visione. Non era ancora tranquilla, certo, ma si sentiva un po' più sollevata. Solo un po'.
Una cosa che non la tranquillizzava affatto, invece, era lei; da quando tutte quelle visioni avevano cominciato a perseguitarla aveva paura di se stessa. E non c'era nessuno con cui potesse parlarne, in quel momento. Perciò si teneva tutto dentro, rischiando di esplodere.
Piangeva, urlava, riguardava le vecchie foto di Stiles, piangeva ancora e urlava più forte; urlava con tutto il fiato che aveva in gola, fino a far tremare il pavimento.
Ma loro — le visioni — non se ne andavano.
Lo vedeva quando, in un momento di estremo coraggio, sbirciava fuori dalla finestra — lui era sempre lì —, quando camminava per strada; lo notava fuori dalla porta della sua classe, nei corridoi della scuola, in camera sua; lo sognava quando dormiva. Era ovunque.
Indipendentemente da dove rivolgesse lo sguardo, lo vedeva. Anche quando chiudeva gli occhi restava lì, a dir la verità. Impresso a fuoco sul retro delle sue palpebre.Stava davvero impazzendo e ne era consapevole.
Ormai il sonno era un emerito sconosciuto e il caffè il suo migliore amico, mentre la scuola e il mondo esterno parevano il pericolo allo stato puro. Nonostante sapesse che tutto quello stava accadendo solo e soltanto nella sua testa — ti piacerebbe, eh? —, pensava ancora che all'interno di quelle quattro mura fosse al sicuro.Ma si sbagliava. Non era mai al sicuro.
Restò a casa per un paio di giorni, fingendo con sua madre di avere la febbre — non che lei si fosse preoccupata così tanto di lei, forse non l'aveva nemmeno notata —, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la sua paura. Anche se avrebbe preferito qualsiasi altra cosa a questo.
E fu così che, in quello che credeva fosse un qualsiasi venerdì di un qualsiasi mese — quanto si sbagliava —, afferrò il coraggio a due mani e, dopo essersi preparata psicologicamente al tutto, scese le scale e uscì di casa.
Stavolta scelse di andare in macchina: sperava che non l'avrebbe visto, se avesse impiegato meno tempo ad arrivare a scuola.Si concentrò unicamente sull'asfalto liscio e grigio davanti lei, stringendo il volante con troppa forza e tremando lievemente. Però, almeno, lui non si fece vivo. Questa, per lei, era già una vittoria.
Arrivò a scuola appena in tempo e entrò velocemente nell'edificio.Non la seguii dentro: sapevo che non sarebbe successo nulla di interessante, in quelle ore di lezione. Mi sarei soltanto annoiato, probabilmente.
Ma devo ammettere che fu una decisione difficile, perché scegliendo di continuare ad osservarla da vicino avrei potuto ammirarla in tutta la sua bellezza. Fu un peccato, perché quella mattina era più bella del solito. Meravigliosa, direi.
Avessi potuto, sarei rimasto ad osservarla per tutta la vita.***
«Ehi, Lydia!»
Erano passate sei lunghissime ore e la ragazza dai capelli biondo fragola stava camminando nel parcheggio, cercando con lo sguardo la sua macchina.
Mi girai a guardare la ragazza che l'aveva chiamata. Era quella che l'aveva aiutata quando era stata male a ginnastica; quando era stata male a causa sua.
Lydia la osservò per un istante, confusa, ma si riprese velocemente. Si ricordò poi di come, qualche giorno prima, non si fosse neanche ricordata del suo nome. Sorrise: le faceva piacere, dopo tutto quel tempo, vedere un viso amico. O almeno non nemico.
«Ciao, Grace» la salutò, rigirandosi le chiavi tra le mani.Quella ragazza era arrivata a Beacon Hills da poco e aveva perso i primi giorni di scuola, forse addirittura due settimane. La banshee non sapeva molto di lei, ma, d'altro canto, non avevano avuto molto tempo per parlare. Lei, però, si era sempre dimostrata gentile e disponibile con la rossa e Lydia, in quel momento così difficile, le era davvero grata per questo.
Grace la raggiunse correndo. «Stai meglio?» chiese, col fiatone. «Non ti ho più vista a matematica.»
Lydia si morse il labbro. «Oh, sì» borbottò, abbassando lo sguardo. «Non sono stata molto bene.»
«Mi dispiace» commentò subito la mora davanti a lei, con sincerità.
Lydia sorrise istintivamente. «Non preoccuparti» la rassicurò, scrollando appena le spalle.«È a causa di quello che è successo l'altro giorno a ginnastica?» indagò l'altra subito dopo con voce tremante, senza guardarla negli occhi e lasciando trasparire tutta la sua insicurezza, ma al tempo stesso con un'audacia spiazzante. «Sembrava che stessi proprio male, sai? Eri immobile e continuavi a fissare un punto, sempre lo stesso, ossessivamente. Cosa stavi guardando? Che cosa c'era?»
Il sorriso sparì dalle labbra di Lydia. «Pensavo...» balbettò, con un groppo in gola. «Pensavo di aver visto qualcuno.»
«Oh» rispose. «Chi?»Nonostante la considerasse una ragazza davvero adorabile, in quel momento odiò con tutto il cuore la sua invadenza. Non la capiva, principalmente: perché da un momento all'altro aveva cominciato a interessarsi così tanto di lei?
«Un vecchio amico» mentì, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. Tentò di nasconderle, ma Grace le vide comunque. Annuì lentamente e abbassò la testa imbarazzata, osservando le scarpe dell'altra e pensando a cos'altro dire per evitare che la conversazione finisse in quel modo così assurdo. Ma non le venne in mente nulla.
Dopo qualche istante si decise finalmente ad alzare lo sguardo, incontrando gli occhi verdi di Lydia puntati su di lei. Una cosa alle sue spalle, però, la distrasse.
«Lydia...» sussurrò, inarcando un sopracciglio. «C'è un tizio che ti sta fissando» disse, continuando a guardarlo insistentemente.
Lydia si girò, seguendo la direzione che gli occhi di Grace le suggerivano.
Il suo cuore perse un battito.Non è possibile, pensò.
«Tu... tu lo vedi?» balbettò incredula, indicandolo. Notò che la sua mano stava tremando. Ancora.
«Certo che lo vedo» asserì ovvia Grace, confusa. «Perché non dovrei?»La rossa però non le rispose. Era concentrata soltanto sul ragazzo che, a qualche metro da lei, la stava osservando; fissandola come se fosse la sua preda. Le girò la testa.
Poi, però, fece una cosa che nelle sue visioni non aveva mai fatto: si mosse. Le sorrise, per la precisione. E non fu un sorriso normale, assolutamente. Agli occhi della ragazza parve una minaccia non verbale.
In quell'istante Lydia capì che il suo peggior incubo si era avverato: era tutto reale; tutte le sue paure erano schifosamente reali.
Una lacrima le solcò la guancia mentre scuoteva energicamente la testa.No, si ripeteva, non può essere tutto vero.
Lui annuì impercettibilmente — come se riuscisse a leggerle nel pensiero — e questa cosa la terrorizzò ancora di più. Le lacrime scendevano più velocemente, ora.
Capì che la sua vita stava per cambiare irrimediabilmente, e di certo non in meglio. Perché lui era reale. Lui era davvero lì e la stava davvero perseguitando.
Sentì un brivido attraversarle lentamente la schiena, seguendo lo sguardo famelico del ragazzo di fronte a lei. Raggiunse ogni cellula del suo corpo e si portò con sé la sensazione che, da allora in poi, avrebbe provato quasi in ogni istante: paura.
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Haunted | Teen Wolf - Stydia
Fanfic❝My thoughts were destroying me. I tried not to think. But the silence, oh god the silence, that was a killer too.❞ Uno. Un cuore che batte sempre più forte. Due. Passi incerti sulla moquette. Tre. Dita che picchiettano su un mobile. Quattro. Un...