8. Cannot escape

2.9K 310 52
                                    

Da giorni ormai Lydia non usciva più di casa.
Non andava a scuola, non si sporgeva dalla finestra, non metteva piede in giardino; aveva scelto di nascondersi.

Io, però, ero sempre lì. Ero sempre vicino a lei, anche se lei non poteva saperlo.
Mi sedevo sul prato bagnato di notte, mi accovacciavo dietro alle macchine parcheggiate in strada, mi fermavo sotto alla sua finestra, attendendo che l'aprisse, ma questo non successe mai.

Era terrorizzata, lo sapevo. Ma io dovevo vederla. Sentivo che sarei impazzito se non l'avessi vista.

Fortunatamente, dopo quasi un'intera settimana — un'intera settimana passata sotto casa sua —, sua madre la costrinse a tornare a scuola. Non aveva capito nulla di quello che stava accadendo a sua figlia e forse non se ne interessava nemmeno. Le fui immensamente grato per questo.

Quando Lydia uscì di casa, quella mattina, feci attenzione a non farmi vedere, perché non volevo che lei si spaventasse e scappasse di nuovo nella sua stanza; non volevo sprecare la mia unica possibilità.
Perciò aspettai che arrivasse fino alla sua macchina, prima di muovermi. Fui paziente, per una volta, per la prima volta.

Lei si guardò intorno un paio di volte, respirando rumorosamente, con il cuore a mille. Riuscii a sentire tutto il suo terrore, tutto il suo dolore, ma non mi bastava. Ne volevo di più; molto di più.

I capelli erano leggermente mossi, spettinati, quella mattina, e si era vestita con un semplice vestito blu. Non si era quasi truccata; forse non era più la sua priorità, mostrarsi perfetta: tutti, ormai, avevano capito che non lo era affatto. Ed era forse quella la sua vera bellezza.

«Sei bellissima, oggi» le sussurrai all'orecchio destro, mentre appoggiava una mano sulla maniglia dell'auto.
Non mi aveva sentito arrivare e, in un primo momento, non si spaventò neanche troppo. Poi, però, sollevando lo sguardo, vide il mio riflesso nel vetro della sua macchina. Per la prima volta, non penso neanche per un istante che fossi Stiles.

Gli occhi le si bagnarono di lacrime e aprì la bocca per urlare, mentre apriva velocemente lo sportello.
Io le sorrisi, rassicurante, e me ne andai.

***

Una volta arrivata a scuola corse al suo armadietto e lo aprì in fretta, più che determinata ad arrivare in classe prima di vedermi ancora.

Quando attirò a sé l'anta di ferro grigio, però, un pezzo di carta cadde a terra e attirò la sua attenzione. Lo osservò in silenzio per quelle che parvero ore, sperando con tutte se stessa che non fosse opera mia. Poi, deglutendo rumorosamente, si piegò sulle ginocchia e lo raccolse con delicatezza, rigirandoselo un attimo tra le mani prima di leggerlo, con le dita che tremavano appena. Quando si decise a portarselo davanti agli occhi, tirò un sospiro di sollievo. In fondo al messaggio, con una calligrafia quasi impeccabile, c'era scritto il nome di Grace.

Stai bene? Non ho più avuto tue notizie e mi sono preoccupata. Spero di vederti a matematica.
Grace

Sorrise e lo ripose nella sua borsa, decidendo che avrebbe ringraziato la ragazza qualche ora dopo a lezione.
Stava afferrando distrattamente un libro, pronta finalmente a incamminarsi, quando un altro particolare le saltò all'occhio. Incollato sul quaderno che aveva in mano, infatti, c'era un nuovo biglietto.
Lo staccò, tremando.

Non essere spaventata da me, dolcezza. Io voglio soltanto starti vicino.

Questa volta non ebbe bisogno di vedere la firma del mittente per capire chi glielo avesse inviato.

***

Subito dopo la lezione di biologia scappò in bagno. Decise che avrebbe saltato l'ora seguente; non le importava. Non ce la faceva più. Era troppo per lei.
Andò verso il lavandino e aprì l'acqua, lavandosi abbondantemente la faccia per cercare di calmarsi.

Si stava guardando allo specchio in silenzio, contemplando le profonde occhiaie e le labbra screpolate, quando il suo telefono squillò. Le era arrivato un messaggio.

Pensò inizialmente che fosse Grace che voleva sapere perché non si trovasse a matematica. Pregò fosse davvero così, almeno. Ma poi si ricordò di non averle mia dato il suo numero.

Cercò il suo cellulare nella borsa con una mano, senza neanche essersela asciugata, quasi ad occhi chiusi. Quando lo trovò, aspettò un istante prima di sbloccarlo.
Aveva tre nuovi messaggi da un numero sconosciuto. Rabbrividì.

Non capisco perché continui a scappare da me. Ti ho fatto qualcosa di male?

Non puoi continuare ad ignorarmi, Lydia. Non è educato.

Lo sai che vincerò io, alla fine.

Io ero a qualche passo da lei, fuori dalla porta del bagno, e la stavo guardando. Osservai il modo in cui strabuzzò gli occhi quando lesse quello che le avevo scritto, percepii tutta la sua preoccupazione e tutto il suo nervosismo; sentii il suo cuore battere velocemente — ad un ritmo fin troppo irregolare — e non potei fare a meno di sorridere.

Mi piaceva l'effetto che avevo su di lei. Mi faceva impazzire.

Si sedette senza forze a terra e continuò a fissare ossessivamente lo schermo del telefono, pregando che i messaggi si cancellassero da soli, come se non fossero mai esistiti. Ma quando ciò non accadde si mise le mani nei capelli e urlò.

Urlò come se fosse sola, come se nessuno in quella scuola potesse sentirla, come se gridando le cose sarebbero cambiate.

Cominciò a piangere e a singhiozzare disperata, coprendosi gli occhi con le braccia. Dopo poco, però, si accorse del telefono che ancora reggeva in mano e ammutolì. Smise quasi di respirare. Si bloccò per qualche secondo e venne a crearsi un silenzio assordante.

Quando vide di nuovo i tre messaggi, però, non riuscì più a trattenersi. Esplose.

Si alzò da terra e a grandi falcate raggiunse la finestra.
Prese un respiro profondo, cacciò indietro le lacrime e, con tutta la — poca — forza che aveva in corpo, lanciò il suo cellulare nel cortile della scuola.
Cadde a terra qualche istante dopo, rompendosi in mille pezzi.

Sentendo il rumore che fece quando si distrusse, Lydia sorrise a occhi chiusi, beandosi del silenzio. Pensò di essere più libera, adesso.
Ma io ero ancora lì.

«Hai sbagliato, Lydia» bisbigliai appena, appoggiandomi allo stipite della porta. Si voltò immediatamente verso di me, spalancando gli occhi.
Percorsi con calma lo spazio che ci divideva, sorridendo, le presi il viso tra le mani e le accarezzai una guancia. «Non avresti dovuto farlo» sussurrai ancora.

Lei rabbrividì e serrò le palpebre con forza, sperando che sparissi. Riprese a singhiozzare.

Mi avvicinai al suo orecchio. «Mi hai solo dato un motivo in più per restare sempre al tuo fianco.»

Haunted | Teen Wolf - StydiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora