Faceva freddo, quella sera.
Per essere novembre faceva davvero freddo. Fin troppo, direi.Le strade e le villette colorate del suo quartiere erano ricoperte da una nebbia fitta, densa, quasi tangibile; fumo bianco che circondava e nascondeva ogni cosa, confondendo la gente e accarezzandone i visi scoperti.
Ma io non ero confuso, quella sera. Tutt'altro.
Ero davanti a casa sua — di nuovo —, immobile, mentre l'umidità mi entrava pian piano fino alle ossa. La stavo aspettando.Lei era stesa sul suo letto, quella sera, con la luce accesa e le finestre serrate. Le tende leggermente spostate mi lasciavano intravedere l'intera scena; probabilmente aveva soltanto scordato di rimetterle a posto: da un paio di giorni, infatti, aveva ricominciato a nascondersi, con più attenzione, però. Neanche sua madre, questa volta, era riuscita a trascinarla fuori di casa. Nessuno ci sarebbe riuscito. Quindi non mi restava altra scelta: sarei dovuto andare io da lei.
Stava leggendo un libro, ricordo. Non riuscivo a decifrarne il titolo da così lontano, ma ero più che certo che fosse uno di quelli importanti, difficili, di un certo spessore; un libro da persone intelligenti, come lei, di quelli che riempiono le biblioteche di chi sarebbe in grado di cambiare il mondo.
I capelli erano sciolti, lisci come seta, e ogni tanto le scivolavano con dolcezza davanti al viso, costringendola a riportarsi i ciuffi ribelli dietro alle orecchie. Non era truccata e non era vestita di tutto punto come al solito, ma ai miei occhi era comunque bellissima, forse anche di più. Era più naturale, più sincera. Ed era perfetta; perfetta sotto ogni aspetto.
Non aveva guardato fuori dalla finestra una sola volta, quella sera, e di conseguenza non mi aveva notato.
E a me stava bene — benissimo —, perché sapevo che se mi avesse visto avrebbe tirato le tende o se ne sarebbe andata, spaventata; avrebbe chiuso a chiave la porta e si sarebbe nascosta sotto al letto; avrebbe urlato e avrebbe cercato invano di chiamare la polizia o i suoi amichetti.Ma io non stavo facendo nulla di male; la stavo solo guardando. Come al solito.
La guardai, appunto, mentre sbadigliava dolcemente, coprendosi la bocca con una mano e chiudendo gli occhi.
La osservai mentre chiudeva il libro, infilando un segnalibro tra le pagine.
La fissai mentre si allungava per spegnere la luce.
La contemplai, infine, mentre, nel buio più totale, si infilava sotto alle coperte e si rannicchiava, per stare al caldo.Sembrava così tranquilla, così rilassata. Pareva che tutta la paura e tutta l'ansia che aveva provato nei giorni precedenti fossero scomparse, lasciando posto ad una calma innaturale.
Sorrisi: era arrivato il momento che avevo tanto atteso, tanto desiderato. Mi incamminai verso la porta e la aprii senza sforzo, silenziosamente, tentando di ascoltare i rumori all'interno della casa. Non c'era nessuno, solo Lydia. Bene.
Salii lentamente le scale, passo dopo passo, facendo attenzione a non emettere un singolo suono. Non volevo che si svegliasse. Ma avrei dovuto immaginare che lei, in realtà, non stesse affatto dormendo.
Arrivai di fronte alla sua stanza e, muovendomi quasi a rallentatore, entrai, spingendo con delicatezza la porta accostata.
Mi ripromisi di dirle che avrebbe dovuto chiuderla, quella porta. Non era sicuro lasciarla aperta, con tutti i malati di mente che giravano a Beacon Hills in quel periodo.
Ma tanto io sono qui per proteggerla, pensai. Nessuno le farà del male, se resterò con lei.
Mi sedetti accanto a lei sul letto, ammirandola in silenzio mentre tenevo le mani in grembo. Sembrava quasi una bambina, e in fondo lo era davvero, in confronto a me.
Le accarezzai una guancia, sfiorandola appena. Lei parve accorgersi di quel tocco leggero.«Cosa ci fai qui?» sussurrò, senza muoversi di un millimetro; non aprì neanche gli occhi.
«Come fai a sapere chi sono, Lydia?» chiesi in risposta, con voce appena bisbigliata.
«Ti ho sentito mentre salivi le scale» disse, irrigidendosi un poco mentre cercava di mandare giù un fastidioso groppo in gola. Voleva nascondere la sua agitazione. «Era lo stesso passo dell'altro giorno. Lento e controllato, regolare, spaventoso.»Sorrisi, continuando ad accarezzarla. «E perché non sei scappata, allora, Lydia?»
Un brivido le attraversò la schiena, mentre serrava le palpebre con forza, tremando. «So che mi avresti... mi avresti trovata» balbettò.
«Shh» bisbigliai, facendo scorrere le dita dalle sue spalle fino alla schiena lasciata parzialmente scoperta dal lenzuolo. «Stai tranquilla.»«Tu mi fai paura» confessò, piagnucolando. «Sono terrorizzata da te.»
«Non devi» risposi. «Io sono qui per proteggerti.»«Tu sei l'unica persona da cui devo essere protetta» sentenziò, aprendo appena un occhio e lanciandomi un veloce sguardo, come per controllare che io fossi realmente lì, che non se lo stesse solo immaginando. Poi lo richiuse. «Sei tu il nemico.»
«Io non ti farei mai nulla» risposi, ferito dalle sue parole. Come poteva non capire? «Io ti amo.»Lei respirò profondamente. «A te importa solo di te stesso» commentò, con un brivido nella voce. «Di sopravvivere. A discapito di tutti gli altri.»
Mi avvicinai un po' di più al suo viso, riempiendo le narici del dolce profumo del suo shampoo al miele. «Cosa credi che stia facendo adesso, Lydia?» sussurrai, solleticandole la pelle delicata con il mio fiato. «Dove credi finisca tutto il tuo dolore? Che fine credi faccia tutta la tua angoscia?»
Lei, per un qualche motivo, spalancò gli occhi. «Pensi che sparisca, semplicemente?»
«No, no» bisbigliai, sorridendo e scuotendo la testa lentamente. «Sarebbe uno spreco.»«Perché io?» piagnucolò lei, sistemandosi meglio la coperta addosso. «Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?»
Appoggiai la mia mano sulla sua, impedendole di ritrarla. «Ti sono capitate così tante brutte cose, Lydia» le dissi, stringendo le sue dita tra le mie. «Così tante sfortune» ripetei, tra me e me.«A un sacco di persone capitano brutte cose» replicò, con voce straordinariamente ferma. La guardai di sottecchi, inclinando la testa e sollevando appena gli angoli della bocca. «È vero» le diedi ragione. Mi avvicinai a lei. «Ma tu sei speciale, tesoro.»
Lei rabbrividì, affondando più in profondità la testa nel cuscino e chiudendo gli occhi, come a volermi sfuggire.
«Lo sei sempre stata» le soffiai sulle labbra, ormai a pochissimi centimetri dal suo viso spaventato. Una lacrima le solcò la guancia e bagnò il materasso.
Mi piegai su di lei, lasciandole un piccolo bacio sulla guancia morbida. «Sogni d'oro, Lydia.»
Lei rabbrividì ancora.
Forse non avrebbe mai smesso di farlo.
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Haunted | Teen Wolf - Stydia
Fanfiction❝My thoughts were destroying me. I tried not to think. But the silence, oh god the silence, that was a killer too.❞ Uno. Un cuore che batte sempre più forte. Due. Passi incerti sulla moquette. Tre. Dita che picchiettano su un mobile. Quattro. Un...