6. Ready or not, here I come

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Vi ho messo un video tra i media, una specie di "colonna sonora". Ascoltatelo mentre leggete per favore.

Dopo essere scappata dal parcheggio della scuola, Lydia si nascose in camera sua. Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, cercando di dare una spiegazione logica a tutto quello che era appena successo. Ma non la trovò.

Non capiva per quale assurdo motivo la stesse seguendo — e soprattutto perché proprio lei —, non sapeva che cosa volesse e non aveva la minima idea di cosa fare.

Si chiese anche come avrebbe fatto a dirlo a Scott e, stavolta, la risposta arrivò immediatamente: non poteva. Se l'Alpha avesse saputo che quell'essere — non sapeva neanche come definirlo — era ritornato, avrebbe mandato all'aria tutto il piano e sarebbe tornato subito a Beacon Hills, rischiando di perdere ancora qualcun altro. Come Stiles e Allison, sussurrò. Poi scosse la testa, asciugandosi con le mani le lacrime che scorrevano veloci.

No, si disse, nessun altro si farà del male.

Decise che sarebbe stata lei — lei e basta — a restare ferita. Sapeva che sarebbe finita così. Ve l'avevo detto, io: era una guerra. E lei l'aveva finalmente capito.

La paura le suggeriva di nascondersi e di sperare — inutilmente — che non succedesse nulla, che lui scegliesse di risparmiarla. Ma, in cuor suo, sapeva che, presto o tardi, avrebbe dovuto reagire. In quel momento, però, non ne aveva la forza.

Le sarebbe bastato chiamare uno dei suoi amici — Stiles, più che altro — e chiedere aiuto; un consiglio, almeno. Ma l'unica persona con cui avrebbe voluto parlarne — l'unica persona che avrebbe potuto farla sentire bene — era scomparsa, rimpiazzata da un essere che di lui conservava solo l'aspetto. Un mostro.

Lydia non seppe dire, poi, se in quell'istante, quando sentì la porta di casa spalancarsi, capì immediatamente che si trattava proprio di lui.

Sperava che ci avrebbe impiegato un po' più di tempo a trovarla, sperava che non l'avrebbe perseguitata fino a quel punto; ma lui era un mostro — appunto —, e i mostri non si fanno scrupoli.

Nessuno seppe mai cosa successe, quel giorno; non ne parlò neanche una volta.
Ma io so che lei, prima di scendere le scale e andare incontro a quella che sperava essere sua madre, controllò — da persona prudente quale era — chi fosse entrato, sporgendosi appena dalla sua stanza. E so che lo vide.

So che le fece male, malissimo, vedere il modo in cui i suoi occhi saettavano malignamente da una parte all'altra dell'ingresso, cercandola.

So che sentì il sangue gelarle nelle vene e il cuore battere all'impazzata, mentre l'aria cominciava a mancarle.
E so tutto questo perché io ero lì, ai piedi delle scale, e stavo cercando proprio lei.

Ero sempre stato io. Fin dall'inizio.
Ero stato io a origliare la sua conversazione con Scott.
Ero stato io a seguirla durante il suo primo giorno di scuola.
Io l'avevo aspettata davanti a casa sua, senza però essere notato.
Ed ero sempre io, quello che le aveva sorriso nel parcheggio.
Ero sempre stato io. Ero io il suo peggior incubo.

«Vieni fuori, Lydia» l'avvisai, facendo qualche passo in avanti. «Non mi obbligare a venire a cercarti.»
Suonò come una minaccia bella e buona. Forse lo era; dipende dai punti di vista.

Lei si mosse, facendomi sentire chiaramente il rumore delle sue scarpe sul pavimento. Era al piano di sopra.

Portai le mani dietro alla schiena, stringendole tra loro.
«Vieni qui» ribadii, inclinando la testa per avere una visuale migliore della stanza. «Sai che non voglio fare il cattivo.»

Respirò affannosamente, in una maniera così rumorosa da sembrare quasi ingenua; in realtà, era solo tremendamente spaventata.
Aveva paura di me.

Lì, in quel momento, non sapevo se facesse bene o male, a temermi. Probabilmente non lo so ancora.
Avrei potuto tranquillamente salire a grandi falcate le scale, raggiungere la sua stanza nel giro di qualche istante — perché, oh, sapevo perfettamente che era lì — e trovarla, ma volevo darle la possibilità di comportarsi bene con me. Volevo darle un'opportunità per dimostrare che provava ancora qualcosa per il povero Stiles.

In fondo, a lei erano sempre piaciuti i cattivi ragazzi. Perché io dovevo fare eccezione?

«Questa è la tua ultima chance, Lydia» le ricordai, marcando con un tono smielato il suo nome. «Conto fino a dieci.»

Uno. Un cuore che batte sempre più forte.
Due. Passi incerti sulla moquette.
Tre. Dita che picchiettano su un mobile.
Quattro. Una porta che si chiude.
Cinque. Qualcuno che si siede a terra.
Sei. Singhiozzi disperati.
Sette. Un "non farmi del male" appena sussurrato.
Otto. Il rumore di qualcosa che si rompe.
Nove. Altri singhiozzi.
Dieci. «Pronta o no, io sto arrivando.»

Un sorriso malato mi si dipinse sul viso mentre salivo lentamente le scale, godendomi ogni singolo istante di quell'attesa così appagante.
Percorsi con una calma innaturale il piccolo corridoio che mi separava dalla sua stanza. Afferrai la maniglia, l'abbassai pian piano, facendola cigolare e aprii la porta.

Le rivolsi un sorriso. «Eccoti.»
Era seduta contro al muro, con la testa fra le mani e i capelli sparsi ovunque. Non mi guardava nemmeno. Stava piangendo, disperata. Sperava fosse solo un incubo.
«Oh, Lydia» sussurrai, avvicinandomi a lei. «Te l'avevo detto che sarei arrivato.»

«Non farmi del male» ripeté, balbettando. Mi piegai sulle ginocchia, arrivando alla sua altezza. «Non ho intenzione di farti del male» sussurrai, accarezzandole dolcemente i capelli biondo fragola. Lei rabbrividì.
«Non devi avere paura di me» le bisbigliai all'orecchio.

Lei sollevò appena la testa, quel che bastava perché i suoi occhi verdi trovassero i miei. «Come posso non aver paura di te?»
Le accarezzai una guancia, contemplandola in tutta la sua bellezza. «Sono pur sempre il tuo Stiles.»
Lydia si allontanò di poco, lasciando la mia mano sospesa a mezz'aria. «Stiles non c'è più» dichiarò, con voce tremante.
Il sorriso sparì dalle mie labbra. Mi sedetti a terra lentamente, guardandola negli occhi. «Tu lo amavi, Lydia. Lo sai.»

Una lacrima sfuggì al suo controllo e le solcò la guancia arrossata. Per non farmela notare si voltò verso la finestra, ma la mia mano era già tesa, pronta ad asciugargliela. «E io sono ciò che resta di Stiles» continuai, disegnando dei cerchi immaginari col pollice sulla sua gote delicata.

Si girò appena. «Tu non sarai mai lui.»
«Andiamo» la esortai, ridendo sprezzante. Una risata gelida, tutt'altro che felice. «Non ti piacevano i cattivi ragazzi, qualche tempo fa?»

La vidi irrigidirsi davanti a me. Gli occhi sembrarono farsi più scuri. Una certa sicurezza la pervase, seppur in minima parte. «Tu non sai niente di me.»
«Oh» risposi, avvicinandomi al suo viso. «So più di quanto pensi, Lydia

Mi piaceva tanto il modo in cui suonava il suo nome, quando lo dicevo. Sembrava quasi poesia.

Lei non riuscì a dire una singola parola. Stava tremando come una foglia; una piccola, fragile e indifesa foglia.
Prima di alzarmi da terra portai il mio viso vicino al suo e la lasciai un lieve bacio sulla guancia. Quasi una carezza.

Lei sembrò rendersi conto solo in quell'istante di essersi cacciata in qualcosa di grosso, un guaio troppo grande persino per lei; sembrò capire solo quando me ne stavo andando che lei era la mia ossessione. E che non l'avrei lasciata andare per nulla al mondo.

Haunted | Teen Wolf - StydiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora