15. She'd never understand

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Non chiuse occhio neanche quella notte.
Si era quasi abituata a perdere ore di sonno, ma questa volta fu diverso: di solito faticava a dormire per colpa mia o per degli incubi in cui le rovinavo la vita in mille modi diversi — in realtà, io volevo solo starle affianco; non le avrei mai fatto del male. Questa volta, però, come dicevo, non fu merito mio.

Uno strano rumore la tenne sveglia per tutto il tempo. Un fischio, un sibilo che non riusciva a riconoscere.

Non era continuo: iniziava nell'istante in cui il sonno cominciava ad attirarla a sé, nel momento in cui i muscoli si rilassavano e il respiro si faceva più tranquillo; finiva, poi, quando, esasperata, apriva gli occhi e in uno scatto si metteva in piedi, cercando con lo sguardo la fonte di quel rumore così assordante.

Le prime volte si alzò anche dal letto e, rabbrividendo appena per il freddo, guardò fuori dalla finestra, sperando di capirci qualcosa.
Ma non capì nulla.

Poi pensò che fosse soltanto uno scherzo di cattivo gusto organizzato da alcuni ragazzi della sua scuola, che ridevano del fatto che Lydia Martin sentisse delle voci e fosse probabilmente pazza. Aprì quindi le finestre e urlò "Non è divertente!", sperando in una qualsiasi risposta.
Ma non rispose nessuno.

Si rimise perciò a letto e affondò la testa nel cuscino, coprendosi con forza le orecchie e tentando inutilmente di non sentire più quel fastidioso fischio.
Ma continuò a sentire tutto.

Infine gettò la spugna; cedette. Non cercò più di scoprire da dove arrivasse quel rumore.

Restò soltanto lì, stesa, con le mani appoggiate sul grembo e lo sguardo puntato sul soffitto bianco, e pensò a tutto quello che le stava succedendo: i suoi amici erano spariti, Grace stava diventando sempre più misteriosa e lei non riusciva più a nasconderle tutto quanto; e poi c'ero io: l'incubo.

Ero il suo groppo in gola, il vuoto che aveva nel petto, il tremolio che le attraversava tutto il corpo.

Cominciò a piangere.
Si liberò di tutte le lacrime che per troppo tempo aveva trattenuto. E, contro ogni aspettativa, il fischio smise di tormentarla, sovrastato dai suoi singhiozzi.

Ma lei non se ne accorse nemmeno, mentre si addormentava con il viso rigato dalle lacrime.

***

Non sapeva neanche come diavolo fosse arrivata a scuola. Aveva un vuoto: si ricordava soltanto della nottata infernale che aveva passato, e poi era lì, nella classe di matematica. Alla quarta ora.

Non si interrogò troppo sul motivo di quel buco: ormai aveva smesso da tempo di soffermarsi su questi dettagli. Se vivi a Beacon Hills, questo genere di cose è quasi parte della tua quotidianità, devi farci l'abitudine. Per forza.

Si vedeva che quel giorno non stava affatto bene. Aveva addosso una sensazione orribile e continuava a sentire quel fastidiosissimo suono, che le impediva di ascoltare le parole del professore.
Adesso era continuo, senza pause. Ma non riusciva ancora a collegarlo a qualcosa di concreto.

«Lydia?» la chiamò Grace.

La rossa si voltò, aspettandosi che l'amica le chiedesse di rispiegarle qualche concetto di cui il professore aveva appena parlato. Le sembrava strano, però, che avesse bisogno del suo aiuto dopo dieci minuti di lezione.

Ma, quando la vide, si sorprese: era in piedi, con la borsa sulla spalla destra e un paio di libri in mano.

«Che è successo?» chiese, facendo saettare gli occhi da una parte all'altra della classe. Era vuota.
«Come?» domandò di rimando l'amica, guardandola preoccupata. «È finita la lezione, Lydia...»
Lei scosse la testa. «No, è cominciata da dieci minuti» replicò, con voce tremante.

Grace guardò qualcosa sul banco. «Devi aver perso la cognizione del tempo mentre disegnavi» disse.
Lydia piegò la testa da un lato, confusa. «Non ho disegnato nulla, Grace.»
In tutta risposta, la nuova arrivata indicò con un veloce cenno del capo il quaderno di Lydia.

Lei si girò lentamente. Davanti a lei c'era il suo quaderno, chiuso.
Lo prese in mano, senza fretta, e, deglutendo nervosamente, cominciò a sfogliarlo. Vide pagine e pagine imbrattate con gli stessi, identici scarabocchi.
Delle frecce.

***

«Lydia, sei sicura di stare bene?»

La rossa, che stava camminando velocemente verso la sua macchina, neanche si girò. «Sì, sicura.»
«Non mi sembra» rispose Grace, ma l'altra la ignorò, continuando per la sua strada.

Dopo poco, però, si fermò improvvisamente, a una ventina di metri dall'ingresso, vicino ad un gruppetto di ragazzi del secondo anno. Grace la raggiunse.
«Che c'è?» chiese, guardando a sua volta il gruppo che l'amica stava fissando.

Erano cinque ragazzi che nessuna di loro aveva mai visto. Uno di loro aveva in mano il giornale locale e stava leggendo ad alta voce un articolo di sport che a Lydia non interessava minimamente.
Il dettaglio che aveva attirato la sua attenzione non era certamente il risultato di una stupidissima partita di football; no. Era lo fotografia in prima pagina. E appena riconobbe il ragazzo ritratto nell'immagine, il suo cuore perse un battito. Thomas.
In cuor suo, sapeva già il motivo per cui si era meritato un articolo sul giornale. Ma, sperando di sbagliarsi, lesse comunque il titolo.

«Diciottenne scomparso a Beacon Hills.»

Barcollò, finendo addosso a Grace che l'afferrò prontamente.
«Quel ragazzo...» sussurrò, ma l'altra aveva già visto tutto e sapeva a cosa si stesse riferendo. Non disse nulla, però; non ci riuscì.

Lydia stava per ricominciare a piangere, quando — rimettendosi maldestramente in piedi — mi vide.

Ero nello stesso punto dell'altro giorno. Stessi vestiti, stessa posizione. Come se non me ne fossi mai andato, come se l'avessi aspettata per tutto quel tempo.

Anche questa volta le sorrisi, per farle capire che sì, aveva capito bene: ero stato io.
Non mi piaceva quel ragazzo, non era affidabile. Non potevo permettere che facesse qualcosa alla mia Lydia.

In quello stesso istante quel fastidioso sibilo ricominciò a tormentarla, facendola cadere definitivamente a terra. Si portò le mani alle orecchie e se le tappò con forza, continuando a guardarmi.

Grace si precipitò al suo fianco e la chiamò a gran voce, ma Lydia non la sentì. Il frastuono era troppo forte.

Sentì anche una voce, questa volta, e il sangue le gelò nelle vene. Non capì quasi nulla; soltanto una parola.
Isaac.

Aveva voglia di urlare.
Aveva come la sensazione che se non l'avesse fatto quel suono l'avrebbe uccisa, facendole esplodere il cervello e sciogliere le orecchie.

Aprì la bocca, pronta. Prese fiato, serrò le palpebre.
Ma, tutto ad un tratto, il fischio scomparve. Da un momento all'altro, senza preavviso.

Riaprì gli occhi, incerta. Non mi vide più.
Ero scomparso, insieme a quel frastuono. Era tornata la tranquillità.

Si voltò verso Grace, spostando lentamente le mani dalle sue orecchie. Lei l'aiutò a rimettersi in piedi.

«Cosa è successo?» domandò, urlando quasi. Lydia era immobile. La fissò, con gli occhi spalancati.
«Io... devo andare» disse, facendo qualche passo indietro.
«No» si impuntò Grace, avvicinandosi. «Tu adesso mi spieghi tutto.»

Lydia si fermò per un istante. Non poteva capire; non avrebbe mai capito.

«Non puoi neanche immaginare come stiano le cose» disse soltanto, voltandosi e ricominciando a camminare verso la sua machina.
Aveva percorso qualche metro, quando la voce di Grace — bassa e roca, appena udibile — la costrinse a fermarsi ancora.

«Sei anche tu un lupo mannaro?»

Haunted | Teen Wolf - StydiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora